Dangerous Animals – Recensione di un inaspettato horror acquatico

Jay Courtney è un memorabile serial killer "analogico" all'interno di un'estetica horror dai toni altrettanto vintage

Dangerous Animals - Recensione di un inaspettato horror acquatico

Dangerous Animals segna il ritorno di Sean Byrne dopo quasi dieci anni di silenzio, ricordando il notevole The Devil’s Candy del 2015. Il regista australiano ha curato un'opera, selezionata al Festival di Cannes, con il pregio di saper intrattenere alla grande grazie a una sceneggiatura tutt'altro che scema, e di questi tempi, specie nell'ambito horror, è non meno che oro.

Script che funziona alla grande per cui vale un doppio plauso a regista e produzione per aver dato fiducia all'esordiente Nick Lepard, che ha saputo mescolare con notevole abilità un survival thriller e la brutalità viscerale di un horror ambientato in mare, con due micidiali predatori: il serial killer, strepitosamente interpretato da Jay Courtney, e gli squali. Sotto la superficie da B-movie qualsiasi si cela una visione filmica di successo, con un montaggio che mantiene il ritmo e consente al talento visivo di Byrne di esprimersi alla grande. Vincente la scelta di non abbracciare a tutti i costi la modernità e l'evidente volontà di rifarsi a un’estetica horror più anni ’70–’80.

Un’ambientazione primaria e disturbante

La costa australiana come territorio selvaggio, dove il mare è una presenza viva e minacciosa, l’acqua una forza primordiale carica di significati simbolici. Tucker è il proprietario di una barca che offre escursioni alla scoperta del mondo acquatico e in particolare degli squali, che considera alla stregua di divinità. Il suo è un personaggio ritratto con sorprendente equilibrio, psicopatico che rapisce giovani donne per condurle verso un sanguinoso rituale, per giunta ripreso con tecnologia vintage analogica. Narrazione che peraltro non cede mai alla tentazione di spiegare troppo.

Il ritratto di questo folle assassino si esprime attraverso il rozzo e pesante incedere, la gestualità, il modo di esprimersi. Troppo spesso confinato all'interno di ruoli alquanto monodimensionali quanto muscolari, qui Courtney dimostra di aver metabolizzato a fondo la parte, regalando quella che a oggi è una delle migliori performance della sua carriera. Il suo Tucker non è il solito psicopatico urlante, ma un soggetto altamente disturbato che ha razionalizzato l’orrore fino a farne culto, anche nei particolari più raccapriccianti e meschini.

Dangerous Animals – Recensione di un inaspettato horror acquatico

Dangerous Animals - L’anti-final girl

Il controcanto di Courtney è rappresentato dalla brava Hassie Harrison, nei panni dell'asociale Zephyr, giovane donna che sembra vagare senza meta in cerca di un significato da dare alla propria esistenza oltre la giornata. Il suo vagabondare tra le spiagge in cerca dell’onda perfetta è un modo per restare fuori dal mondo. Byrne le cuce addosso un'aura di solitudine, così come gli basta poco per tratteggiarne il carattere forte e ribelle.

L’incontro con Tucker avviene per caso, ma il confronto che ne deriva ha qualcosa di arcaico. Due solitudini radicali si scontrano in un ambiente ostile, in cui ogni elemento è potenzialmente mortale: nessuna via di fuga, l'incapacità di chiedere aiuto o di poter fuggire senza rischiare la vita. Solo l’oceano, gli squali che girano attorno alle rispettive prede e la volontà di sopravvivere troppo spesso annichilita dal terrore assoluto.

Dangerous Animals – Recensione di un inaspettato horror acquatico

Dangerous Animals - Minimalismo e tensione

La struttura narrativa è essenziale quanto convincente, senza impantanarsi in inutili sotto trame, spiegoni psicologici o colpi di scena forzati. Dopo un prologo che chiarisce subito la posta in gioco e il tono spietato della narrazione, il film diventa una lunga sequenza di atti di sopravvivenza, scontro serrato tra predatore e preda, in cui i ruoli cambiano continuamente. Il copione di Lepard gioca con la linearità per concentrarsi sulla dinamica fisica dell’azione: ogni colpo, ogni ferita, ogni movimento nello spazio ha quasi sempre il giusto peso. In tal senso l'imponente Courtney riesce almeno in parte a coprire qualche eccesso di scrittura, senza i quali sarebbe ulteriormente progredito l'indice di credibilità: su tutti il momento in cui la nuca di Tucker entra violentemente in collisione con il bordo di un letto in ferro.

Al netto di alcune forzature, Byrne sa distinguersi nel modo in cui orchestra gli scontri corpo a corpo, nella chiarezza del montaggio, nell’uso intelligente della musica (con la scelta di strepitosi brani pop/rock e le notevoli composizioni di Michael Yezerski) così come del silenzio. Non ci sono jump scare gratuiti, né quell’editing iper-cinetico che affligge gran parte dell’horror contemporaneo. Ogni scena d’azione è costruita con logica spaziale e senso del ritmo. La fisicità delle scene più raccapriccianti resa con vincente realismo in virtù di quelli che appaiono come trucchi prostetici e non freddo CGI.

Dangerous Animals – Recensione di un inaspettato horror acquatico

Dangerous Animals - Limiti e intuizioni

Dangerous Animals non è un film perfetto: la prima parte poteva (forse) essere ulteriormente snellita, l’epilogo gioca con troppi falsi finali. Nell'economia di un film vincente si tratta comunque di difetti marginali, riuscendo a conciliare il puro intrattenimento con una regia consapevole. Byrne e Lepard sanno benissimo di muoversi in un territorio sovraccarico cliché, eppure riescono a costruire un'avventura ad alta tensione che non annoia.

C’è qualcosa di liberatorio in un film che accetta la propria natura di “genere” senza tentare di giustificarla o mascherarla con ambizioni pseudo-autoriali. Soprattutto per queste ragioni Sean Byrne – e non di meno Lepard – si confermano autori da seguire ancor più da vicino, capaci di dare nuova linfa a formule narrative che parevano esaurite da tempo.

Dangerous Animals

Rating: V.M. 14

Nazione: Australia

7

Voto

Redazione

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Dangerous Animals

Rara occasione in cui è il trailer a mettere in minoranza un'opera horror e non in contrario. Il ritorno di Sean Byrne alla regia dopo un periodo di lunga inattività è più che mai gradito, all'interno dell'asfittico panorama offerto dal cinema di genere. Survival thriller con momenti brutali e un Jay Courtney serial killer "analogico" da urlo, ma non è da meno il resto del cast: al netto di minori critiche alla sceneggiatura, difficilmente si arriverà rilassati ai titoli di coda.

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