Bugonia, recensione: tra i cospirazionisti Yorgos Lanthimos ritrova l’antica cattiveria

Lanthimos ritrova il mordente degli esordi grazie a una pellicola che spiega molto bene l’allure delle cospirazioni online. La recensione di Bugonia.

di Elisa Giudici

Le api stanno morendo e nemmeno l’umanità se la passa benissimo in Bugonia, la pellicola in cui il regista greco Yorgos Lanthimos riesce finalmente a fare con le star di Hollywood ciò che faceva a inizio carriera: guardare all’umanità con pessimismo cosmico e una crudeltà taglienti, forse ancora più che giustificati di un tempo.

Dopo il successo internazionale e i passaggi agli Oscar con pellicole come La favorita e Povere Creature!, i fan di vecchia data del regista si erano abituati alla sua versione più glamour e ingentilita di Lanthimos, per quanto possa essere gentile il cineasta dietro a un film come Kinds of Kindness. Che Bugonia sia però un ritorno alle sue radici lo si capisce subito dall’ambientazione del film, che si consuma per gran parte dentro una casa della periferia americana isolata e malmessa, rimasta ferma nel tempo a quando la sua occupante femminile non ha potuto più prendersene cura.

Quello di Bugonia è un regista che, sostanzialmente, può fare quello che vuole, anche farsi costruire la suddetta casa nei sobborghi di Londra e girare il remake di un’oscura commedia coreana del 2003 in VistaVision, un formato tanto sontuoso quanto costoso e scomodo da gestire per via della rarità e delle dimensioni delle cineprese necessarie.

Bugonia ha origini coreane, ma è puro Lanthimos vecchia scuola

Non è difficile capire perché Ari Aster (a proposito di pessimismo cosmico) abbia consigliato a uno come Will Tracy di recuperare la pellicola asiatica in questione, spingendolo poi a scriverne un remake americano e contemporaneo. Save the Green Planet infatti non parla solo di cospirazioni e della sensazione angosciante di essere spiati e manipolati, ma anche e soprattutto dell’inuguaglianza sociale nell’alveare umano che genera e amplifica queste sensazioni.

Lo sceneggiatore di The Menù e di alcuni episodi di Succession (ovvero progetti che si concentrano sull’assurda realtà in cui si muovono i ricchi più ricchi in un mondo che dominano) non poteva che venir attirato da questa storia che chiude nella stessa casa Michelle, Teddy e Don. Lei è una gelida direttrice d’azienda tutta scarpe Loubin e sveglia alle 4:30 del mattino per fare yoga e seguire una dieta restrittiva ringiovanente (che a quanto pare consiste nel non mangiare nulla per tutto il giorno), lui invece con vestiti consunti e coda di cavallo lavora in un magazzino di smistamento pacchi e spende il suo tempo libero tra arnie di api e podcast cospirazionisti.

Teddy (Jesse Plemons) è convinto che le api di mezzo mondo stiano morendo perché la terra sta venendo portata alla rovina dagli abitanti della galassia Andromeda, infiltratisi ai piani alti della gerarchia umana per controllare la popolazione. Decide dunque con l’aiuto dell'ingenuo cugino Don (Aidan Delbis) di rapire una delle CEO più importanti del paese, alla guida di un’azienda farmaceutica.

Inizialmente Michelle è convinta di venire liberata in poche ore data l'importanza del suo profilo. Tuttavia come sottolinea Teddy, lui è un insospettabile perché “a nessuno importa nulla di lui” e della gente come lui. Essendo un film di Lanthimos. essendo un progetto partorito nelle febbrili ore di confinamento da COVID dove ognuno intratteneva le fantasie più morbose nella propria tecnobolla online e social, Teddy ha ragione.

Nonostante Michelle abbia una laurea in psicologia e sia in grado di porsi in una posizione di dominio persino tra i suoi rapitori, si trova davanti un osso duro. A Teddy non interessano i soldi, il potere e nemmeno il sesso, anzi: lui e Don si sono sottoposti a una castrazione chimica casalinga per non farsi sedurre dalla CEO e dalle sue “tecniche manipolatorie aliene”. Michelle ha dunque tre giorni di tempo per portarli sulla sua astronave aliena in vista dell’eclissi di luna in arrivo, o per convincerli di poterlo fare e liberarsi. Isolato nella comunità e online, metodico nei suoi deliri e ricolmo di rabbia inespressa per un passato terrificante che pian piano viene suggerito allo spettatore, Teddy di rivela un avversario degno di Michelle. Il modo in cui i due si fronteggiano tira fuori tutta la disumanità di lei, il modo in cui indossa la sua identità aziendale e le sue emozioni coprendo un vuoto siderale, al solo fine di manipolare i suoi rapitori.

Bugonia è figlio delle angosce post pandemiche 

Scandito dagli splendidi brani orchestrali di Jerskin Fendrix (ormai collaboratore fisso di Lanthimos), stupendo nella confezione lussuosa della sua regia e della fotografia, Bugonia è come Eddington di Ari Aster un perfetto figlio di quel momento di febbricitante introspezione che è stata la pandemia, in cui ci siamo riscoperti ossessivi e arrabbiati di fronte a certe ingiustizie che abbiamo cominciato a mettere a fuoco. Il paradosso che tiene in piedi il film è che, per quanto assurde siano le cospirazioni aliene a cui Teddy crede, le angosce climatiche, economiche e sociali che alimentano la sua ricerca di un colpevole sono del tutto comprensibili. Michelle al contrario appena sotto la superficie è davvero aliena nel modo sterilizzato e manipolatorio in cui gestisce le sue relazioni umane con i suoi sottoposti, algida e distaccata dagli altri.

Nel terzo atto del film, quello in cui arrivano le risposte, appare più marcata l’origine coreana della pellicola, che Lanthimos e Tracy cercano di piegare alla loro sensibilità senza però riuscire del tutto a cancellarne la matrice. Proprio per dove va a parare e come va a finire Bugonia risulterà divisivo, ma lo sarà nel modo migliore possibile: perché prende una scelta forte, radicale, senza mezze misure e la porta fino a estreme conseguenze, indovinando una chiusa memorabile e apocalittica, coronamento delle torture fisiche e psicologiche che Michelle e Teddy si infliggono a vicenda inseguendo lo stesso obiettivo ma da posizioni opposte: lei con l’arroganza del vincente, lui con le risorse che la rabbia e l’irrilevanza donano ai perdenti.