Black Phone 2 e il ritorno del “Rapace” - La recensione
Non un puro sequel, sorprende la nuova messa in scena che racconta il presente illuminando un oscuro e tragico passato
Da Scott Derrickson e C. Robert Cargill, Black Phone 2 offre una narrazione meno usuale per quello che potrebbe diventare un franchise importante: “bruciati” sequel e prequel messi assieme, immersi in un'atmosfera ancora più densa e orrorifica.
Torna il Grabber, tra passato e presente
Ambientato nel 1982, il film apre qualche anno dopo gli eventi del primo capitolo. Trasformato in un individuo violento e rabbioso, Finney (Mason Thames) è sopravvissuto al serial killer cacciatore di bambini noto come The Grabber – Il Rapace. Non ha mai superato il trauma, continua a sentirne l’eco in forma di allucinazioni visive e uditive, tentando malamente di esorcizzarlo. La storia qui ruota maggiormente attorno alla sorella Gwen (Madeleine McGraw), tormentata da sogni premonitori e visioni di vittime devastate dalla furia del Rapace.
Farà leva per recarsi presso Alpine Lake, campo giovanile tra le montagne legato al passato della madre, apparentemente morta suicida. Insieme al fratello e al fidanzato Ernesto (Miguel Mora), la ragazza si ritrova ben presto ad affrontare brutali confronti con il male, tutti intrappolati in una battaglia che si consuma tra ghiaccio e sangue. Perché il “Rapace” è più violento e sadico che mai, perché il male non se n'è andato, ha solo cambiato forma.
Black Phone 2 - Morte in Super 8
Derrickson abbandona la claustrofobia urbana del primo, riuscito, film per un orrore più ampio e atmosferico. Le distese innevate sono illuminate da un'ambientazione tra luci e colori freddi e spettrali, con la firma del cinematographer Par M. Ekberg, smarriti per gelide lande dove la paura tende raccapriccianti agguati, terreno di scontro dove non tutto è di questo mondo.
Il regista gioca con i codici visivi dell’horror anni ’80, mescolando stile e filosofia alla base di Nightmare – Dal profondo della notte (1984) a suggestioni tra suoni e immagini, in una tensione crescente che sfiora lo splatter con volti maciullati e corpi bruciati. Le visioni di Gwen sono puro orrore dal retrogusto Super 8, quadro visivo lividamente sgranato, separato dalla realtà e per questo in forma ancor più spettrale. Ciò che le accade nel sogno si ripercuote nella realtà, con echi proprio dal franchise di Wes Craven e i suoi “Dream Warriors”.
Black Phone 2 - Il gelo è fuoco che divampa
Il maligno divora mente e corpo, il suo punto di forza affiora dal ghiaccio e non è per niente facile annichilirlo. Accompagnati anche in questo film da un inatteso quanto graditissimo e ben collocato brano dei Pink Floyd, scopriamo il destino della madre dei fratelli. La forma mutagena del “Grabber” cattura l'attenzione grazie a sensibilità e cultura cinematografico-musicale di Derrickson e alla bravura di Ethan Hawke.
A rendere Black Phone 2 ancora più sorprendente sono le tematiche a esso sottese. Il film intreccia l’horror sovrannaturale con riflessioni sul lutto, la fede e la colpa, senza timore di affrontare questioni spirituali. Gwen parla con l'onnipotente, prega nei sogni e sente la voce della madre dall’aldilà, in un dialogo che aggiunge una dimensione quasi mistica alla trama.
Al netto di alcuni passaggi didascalici, Derrickson convince per la visione d'insieme, a partire dal prologo che va in profondità senza shockare e forzare la mano. Si crea così un contrasto potente tra luce e oscurità, desiderio di redenzione e tentazione di abbandonarsi al male. Visione vietata senza aver vissuto il primo film, evitando il rischio di mal di testa, confusione e distacco.