Wake Up Dead Man, recensione: l'entusiasmante saga di Knives Out gioca finalmente a carte scoperte

Knives Out continua a essere uno dei pochissimi franchise cinematografici su Netflix a funzionare davvero: merito di un Rian Johnson davvero, davvero in forma.

Wake Up Dead Man, recensione: l'entusiasmante saga di Knives Out gioca finalmente a carte scoperte

Con Wake Up Dead Man lo sceneggiatore e regista Rian Johnson può finalmente giocare a carte scoperte: il terzo film di Knives Out conferma infatti quali siano le vere intenzioni e le priorità del suo creatore, più ambiziose, profonde e politiche persino di quelle dei suoi ispiratori, a partire da Agatha Christie. Se infatti la regina del giallo, di Natale in Natale, per decenni ha regalato ai suoi lettori un delitto e un’investigazione da risolvere che le permettevano di esercitare un’ironia pungente ma raramente davvero tagliente sull’Inghilterra prima classista e colonialista e poi decadente e malinconica del secondo dopoguerra, Rian Johnson fa dell’ironia sociale qualcosa di molto più incisivo, brusco e ficcante. Giunti al terzo caso dell’investigatore Benoit Blanc (Daniel Craig) è impossibile non notare un filo rosso tematico che va ben oltre l’omicidio.

Wake Up Dead Man, recensione: l

Ancora una volta ci troviamo negli Stati Uniti, e più precisamente nello stato di New York. Siamo però lontani dalla grande metropoli, perché la fascinazione di Knives Out è tutta per contee, cittadine e, in questo caso, parrocchie “vecchio stile”, dove dovrebbe in teoria risiedere la tradizione e lo spirito statunitense più antico e autentico. Come nel caso del vecchio maniero del primo Knives Out e della reggia tech di Glass Onion, Johnson insiste invece su quanto la “vecchia America” sia un concetto tanto costruito quanto artificioso. Il prete protagonista, interpretato da Josh O’Connor, a un certo punto guarda sconsolato la chiesa che gli è stata affidata, con il suo stile neogotico austero e opprimente, e afferma che "ha più cose in comune con Disneyland che con Notre Dame". È uno dei passaggi più brillanti e taglienti di un film che ha una vera vocazione per denunciare la superficialità dell'identità statunitense.

La prima finzione di Knives Out, come sempre, sta nel concetto stesso di Stati Uniti, presentati come autentici solo nella loro ossessiva costruzione di un canone, di una messa in scena che sfiora la pantomima, all’interno di una comunità in cui, ancora una volta, l’unica vera legge è quella del denaro. Il denaro, anche in parrocchia, è la misura su cui si costruisce la gerarchia sociale, espressione di un classismo scellerato, opprimente, punitivo. A guidare la parrocchia e i suoi fedeli come un vero despota c’è monsignor Jefferson Wicks (Josh Brolin), un uomo che interpreta la fede cattolica come un'arma e sé stesso come un soldato. La fede diventa una minaccia con cui piegare i cittadini più in vista della sua comunità, ottenendone potere e soldi.

Knives Out continua a raccontare gli Stati Uniti governati dal denaro, anche ai piedi dell'altare

Il punto di vista attraverso cui esploriamo questo mondo, molto prima che Daniel Craig faccia la sua apparizione, è quello di un outsider ricco solo in spirito. Josh O’Connor interpreta il reverendo Jud Duplenticy, un giovane prete cattolico con un passato da pugile alle spalle, inviato a sostegno di Wicks nel suo diaconato, che si ritrova coinvolto in una guerra di fede: uno scontro tra due modi differenti di intendere la costruzione di una comunità pastorale e, infine, in un omicidio.

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Ancora una volta, dunque, nell’intreccio di Knives Out al denaro e alle “dinastie familiari” statunitensi, qui declinate in una forma ecclesiale particolarmente scandalosa, corrisponde un livello di finzione e di marciume umano che diventa il vero oggetto d’indagine di Rian Johnson, mentre Benoit Blanc tenta di togliere dai guai il reverendo Jud, la cui qualità redimente è proprio quella di essere autentico e genuino, a partire dalla sua fede.

Dopo gli old money del primo film e i new money del tech e della finanza del secondo, come se stesse raccontando un regno antico, Johnson si concentra sul potere spirituale, scegliendo non a caso la confessione cattolica, da sempre percepita negli Stati Uniti come la più decadente e scandalosa. Wake Up Dead Man ha come fulcro questa chiesa opprimente e al contempo finta nel suo modernismo, con una croce che non c’è: dietro l’altare rimane solo l’ombra di un crocifisso, traccia di un atto di vandalismo dissacrante che rappresenta il punto di partenza del complesso caso affrontato da Benoit.

Giunti a questo terzo tassello narrativo, il ritratto degli Stati Uniti tracciato da Johnson è davvero a tinte fosche e ricorda certe dinastie corrotte e ubriache di potere dei tempi antichi. Eppure Knives Out rimane uno dei pochissimi franchise cinematografici capaci di integrare, e al tempo stesso irridere, ossessioni e posture assolutamente contemporanee. Qui, per esempio, compare un giovane non caucasico con ambizioni politiche che incarna un’assoluta mancanza di idee e ideali, se non quello di emergere sposando il punto di vista più estremo e visibile possibile: la logica degli influencer traslata nella politica.

Johnson però non dimentica che si parla anche, e soprattutto, di fede, cioè dell’interiorità più autentica di chi crede o di chi, come lui, si definisce “un orgoglioso miscredente”. Ci sono passaggi bellissimi in Wake Up Dead Man in cui Benoit, Jud e la devota perpetua Martha Delacroix (Glenn Close) si confrontano con punti di vista dissonanti su cosa sia Dio e su come lo si possa trovare all’interno di una comunità crudele e manipolatoria come quella guidata dal monsignore.

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Il duo investigativo O'Connor Craig è un grande regalo di Johnson allo spettatore

In questo senso è davvero splendido il personaggio interpretato da Josh O’Connor, così bravo a sostenere il film attraverso le tribolazioni personali e lo scontro con Wicks che i 40 minuti iniziali in cui Benoit non compare scorrono in un attimo. Da un lato perché nel suo tormento interiore, legato al passato e alla pretestuosità della fede del monsignore, si trova la riflessione più autentica del film sul rapporto con il divino; dall’altro perché O’Connor si conferma ancora una volta un interprete eccezionale, capace di dare spessore e umanità al personaggio pur rimanendo perfettamente all’interno dei confini dark e brillanti dell’invettiva sociale e investigativa di Johnson.

Johnson che, se non è in stato di grazia, è certamente in ottima forma, sia come regista sia, soprattutto, come sceneggiatore. Al di là del commentario sociale, Wake Up Dead Man è anche e soprattutto un giallo intrigante, che punta a uno dei format più amati dagli appassionati: il delitto impossibile in una stanza chiusa, qui declinato in una microscopica sacrestia nascosta dietro una porta segreta sull’altare della chiesa. Le oltre due ore e venti di durata servono a Johnson per rileggere più volte gli eventi del film, stratificando il racconto investigativo su diversi livelli di complessità. Il primo è abbastanza intuibile per uno spettatore mediamente attento, così come per Jud, tanto che Benoit sembra quasi superfluo; ma è ovviamente solo lui, dal suo pulpito investigativo, a riuscire a ricomporre l’intero e intricatissimo puzzle.

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Anche Daniel Craig qui funziona molto meglio rispetto ai capitoli precedenti. Benoit Blanc è un personaggio così sopra le righe e talvolta caricaturale da avergli creato qualche difficoltà iniziale, mentre ora l’attore appare perfettamente a suo agio e, con piccoli tocchi, ne esplora un’interiorità profonda e finora quasi inesplorata. Vederlo recitare in duetto con O’Connor è un piacere enorme, amplificato ulteriormente dalla presenza di Glenn Close. L’attrice, veterana del genere, interpreta una perpetua pungente, bacchettona e involontariamente comica nel suo apparire alle spalle dei personaggi, che si rivela però, poco alla volta, un personaggio sorprendentemente solido, gestito con grande professionalità.

Wake Up Dead Man - Knives Out

Durata: 144'

Nazione: Stati Uniti

8

Voto

Redazione

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Wake Up Dead Man - Knives Out

Wake Up Dead Man è tra le pochissime proposte Netflix all’altezza di quella promessa che la piattaforma aveva fatto a suo tempo al pubblico: qualità, audacia, grandi investimenti messi al servizio di sfide brillanti e complesse. È un film di consumo, è una pellicola natalizia, è la cosa più simile alla tradizione del romanzo annuale di Agatha Christie che possiamo goderci in questo secolo, alimentata dall’evidente passione di Rian Johnson per il genere e, ancora di più, dall’altra agenda della saga, politica e sferzante nella sua satira nera. Il terzo capitolo non raggiunge l’equilibrio perfetto del primo, ma rappresenta un deciso passo avanti rispetto al secondo e soprattutto conferma Knives Out come uno dei prodotti più entusiasmanti degli ultimi anni, che vale la pena rendere una tradizione cinefila e natalizia. Senza dimenticare l’ennesima conferma di quanto Josh O’Connor sia uno dei migliori attori della sua generazione.

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