Videogiochi come Banche? Il Bureau indaga

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Videogiochi come Banche Il Bureau indaga

Da quando i videogiochi hanno invaso internet sappiamo bene che le software house hanno escogitato sempre più modi per monetizzare, ed uno dei fenomeni più iconici dell'attuale generazione videoludica è sicuramente quello delle micro-transazioni. In modo da ovviare ad alcuni paletti piantati da vari governi che cercassero di tutelare i più giovani dalla spesa inconsulta, per esempio nell'acquisto delle tanto criticate lootbox - molti prodotti fanno uso di valute speciali - coin, gold, gems e quant'altro - conservate nel portafoglio del gioco stesso e teoricamente non scambiabili né ri-convertibili in denaro sonante.

Ciò non di meno, la micro [o macro?] economia che questo genere di scambi ha generato è saltata all'occhio dell'United States Consumer Financial Protection Bureau - CFPB - che come il nome stesso tradotto fa intuire è un organo governativo americano che si occupa di tutela dei consumatori. In un rapporto recentemente pubblicato, il CFPB fa infatti numerosi parallelismi tra la gestione dell'economia in seno ai giochi ed i reali istituti di credito bancario, con la differenza che non giocherebbero secondo le medesime regole, soprattutto in termini di sicurezza.

Il Parallelismo tra Videogiochi ed Economia Bancaria

"Per molti giovani giocatori oggi, il gaming può costituire la loro introduzione ad un'attività finanziaria - recita il rapporto, con un'accezione addirittura positiva sul fenomeno - Per esempio, il gioco fornisce ai giovani l'opportunità di apprendere le basi dell'ottenimento della valuta, la gestione delle proprietà e l'acquisto. Le compagnie del gaming possono vedere nei giovani giocatori un'opportunità per creare molto presto dei consumatori fidelizzati a vita. Molte compagnie affermano che i contenuti dei loro giochi non hanno valore monetario, non sono riscuotibili sotto forma di valuta corrente e il loro ecosistema sia un mercato chiuso. D'altro canto, questi mercati possono essere piuttosto porosi e i contenuti di gioco possono avere un valore considerevole, anche al di fuori del gioco."

A sostegno di questa tesi, il CFPB cita la possibilità di scambiare assets tra i giocatori, in modo da creare una sorta di baratto standardizzato che si traduce in un vero e proprio scambio economico. L'esempio più estremo pare risieda nel videogioco Habbo Hotel in cui i giocatori hanno cominciato a commerciare tra di loro utilizzando come valuta le sedie di plastica presenti nel gioco.

La mancanza di Sicurezza

Ciò che maggiormente allarma il CFPB è però il fatto che l'economia interna dei videogiochi non offra né garantisca lo stesso livello di sicurezza a cui è invece tenuto provvedere un istituto di credito propriamente detto. Tanto per cominciare, si parla proprio di sicurezza informatica applicata agli account dei videogiochi: le cronache di settore sono infatti tristemente piene di casi di hacking o di furto di account, per i quali le compagnie non fornirebbero neanche un adeguato supporto.

"Molti giocatori hanno segnalato tentativi di hacking, furti di account, scam, transazioni non autorizzate e perdita di accesso alla valuta di gioco o agli oggetti virtuali, ma hanno ricevuto un rimborso limitato da parte delle compagnie. Queste spesso adottano un approccio di tipo informativo, lasciano sulle spalle dello specifico giocatore il peso di evitare lo scam e i tentativi di phishing. Possono bloccare o bannare gli account dei giocatori sospettati di scam e phishing, ma fanno poco per offrire rimedio alle vittime. Per esempio, gli oggetti rubati su Steam non sono restituiti, in parte per motivi di mercato. Steam afferma infatti che il valore degli oggetti virtuali è in parte determinato dalla rarità dell'oggetto e che se nuove copie fossero aggiunte il valore in questione calerebbe."

La cosa si estende anche a chi è accusato di comportamento illecito, che con l'account bloccato o bannato perde l'accesso a tutte le risorse su cui ha investito denaro: "Quando un giocatore perde l'accesso al proprio account perché accusato di violazione dei termini di servizio, i publisher affermano di non aver alcun obbligo di rifondere i giocatori per la perdita dei loro assets o di rimborsarli per ciò che hanno investito."

Attualmente il rapporto non muove nessuna accusa specifica né avvia provvedimenti di alcun genere, ma si ripropone di analizzare ulteriormente la situazione e di proporre nuovi obblighi per le società: "Le leggi per la protezione dei consumatori si applicano alle banche ed ai sistemi di pagamento che conservano e scambiano valuta. Stiamo monitorando i mercati non-tradizionali in cui i prodotti e i servizi finanziari possono essere offerti ai consumatori, inclusi quelli in cui tali prodotti sono forniti dalla connessione con una piattaforma di gioco proprietaria."

Avremo quindi presto l'autenticazione a due fattori ogni volta che vorremo acquistare una skin di Fortnite? Lo scopriremo solo vivendo...