Shuhei Yoshida e i budget dei giochi: siamo giunti al limite?
Recuperare l'investimento fatto è sempre più difficile per le compagnie

Quella di Shuhei Yoshida è senza dubbio una voce molto autorevole nel settore dei video game. Fra i più famosi veterani dell'industria, Yoshida è stato una figura chiave di PlayStation fin dagli albori del progetto, nei primi anni '90, ed ha fatto parte della divisione gaming di Sony fino al 2025, ricoprendo anche la carica di presidente di SIE Worldwide Studios dal 2008 al 2019.
La tendenza a fare giochi sempre più grossi
Nel corso di una intervista del canale Kit & Krysta, Yoshida ha condiviso una opinione molto interessante circa i budget dei video game. L'ex dirigente di Sony ha confidato che, nel passaggio da PS3 a PS4, PlayStation prese l'abitudine di realizzare giochi sempre più grossi, con budget più elevati (fino a 200 milioni di dollari). Può sembrare controintuitivo, ma più grossa era la produzione, più alte venivano percepite le chance di successo.
Questo perché, a detta di Yoshida, tutti volevano giocare con titoli dai valori produttivi più alti, con grafica più realistica e che durassero un maggior numero di ore. Questo atteggiamento ha avuto alcune conseguenze: in primis, le grandi compagnie hanno cominciato a realizzare meno giochi. In secondo luogo, le aspettative di vendita sono schizzate alle stelle: ai tempi di PS1, vendere un milione di copie era considerato un grande successo. Oggi, vendere 10 milioni è quasi ordinario.
Il budget dei giochi ha raggiunto il limite?
Tuttavia, questa tendenza non si è arrestata, ma ha continuato a crescere nel passaggio da PS4 a PS5. Yoshida rileva che questo salto generazionale non abbia comportato un grosso cambiamento della tecnologia, eppure i costi sono saliti ancora, al punto che in certi casi sono raddoppiati da PS4 a PS5. Per l'ex dirigente di Sony rischiamo di essere arrivati al punto in cui non sia più possibile recuperare gli investimenti fatti nei giochi.
Di conseguenza, bisogna fare qualcosa: secondo Yoshida, per la prima volta siamo arrivati ad un punto in cui le compagnie dovrebbero chiedere agli studi non di realizzare tutto ciò che sognano, bensì di badare a concepire dei progetti sostenibili.


