Detroit Become Human

David Cage è uno dei massimi esponenti di quella categoria di game designer ambiziosi e visionari. Una qualità pericolosissima, che può trasformarsi da positiva a negativa in un battere di ciglia. All'interno di questa stretta cerchia Cage è decisamente il più atipico, come ci ha tenuto a confermare anche Adam Williams (lead writer) nella nostra chiacchierata post hands on.

Un mondo da modellare

Con Detroit, non abbiamo cercato di dare risposte ad un argomento sempre più dibattuto come quello delle IA che possono provare emozioni, ma abbiamo messo nelle mani del giocatore gli strumenti per potersi fare una propria opinione…anche e soprattutto attraverso le scelte fatte nel gioco”. Con queste parole Williams ci ha descritto il progetto Detroit: Become Human.

Di fatto Cage non è nuovo al concetto di interactive drama. Un videogioco fortemente basato sulla narrazione, in cui le scelte fatte dal giocatore vanno ad influire in maniera sostanziale sul proseguo della storia. Storia che ci porta in un non troppo lontano 2038, a Detroit. Come l'auto nel precedente secolo (non a caso è stata fatta la scelta della città americana) gli androidi hanno rivoluzionato la società. Medici, autisti, inservienti, fattorini e molto altro; i ruoli un tempo ricoperti dagli umani stanno lentamente venendo rimpiazzati dagli androidi. In una società sempre più in bilico tra progressisti e frange a favore degli umani e del loro diritto al lavoro, si inserisce una variabile impazzita e non calcolata: alcuni androidi iniziano a sviluppare emozioni.

Noi prenderemo il controllo proprio di tre di questi androidi che “rompono gli schemi”, e durante il nostro hands on abbiamo avuto modo di conoscerli meglio. Markus è il badante di un anziano pittore infermo; la convivenza con un uomo così estroso e fuori dagli schemi lo ha portato a sviluppare un'inusuale vena creativa per una macchina, e questa scelta si rifletterà sulle scelte future che porteranno Markus a diventare un vero e proprio leader carismatico di una sorta di resistenza delle macchine (come si è intravisto nel trailer di qualche mese fa).

> Trailer di lancio

Kara, al contrario, è un androide che svolge le mansioni di una donna delle pulizie all'interno di una famiglia composta da un uomo - lasciato dalla moglie - e da una bambina di 9/10 anni. Il padre, oltre alla compagna, ha perso anche il lavoro a causa delle macchine, entrando per la disperazione nel tunnel della droga. La storia di Kara (senza indugiare nei dettagli) si svilupperà nel ramificato e complesso rapporto con la ragazzina, mostrando quei classici istinti materni e protettivi che si instaurano tra un adulto e bambino.

Infine, Connor darà una prospettiva differente (almeno per quello che abbiamo potuto vedere nel nostro hands on) a tutta la vicenda. Lui lavora per la polizia di Detroit e il suo compito è quello di scovare androidi difettosi o che hanno compiuto azioni fuori dagli standard di programmazione. Il suo rapporto con il partner umano (anche lui detective) e la conflittualità tra il suo lavoro e i suoi “simili” porteranno il protagonista a fare scelte sempre piuttosto difficili.

Tre personaggi, tre storie con focus differenti ma intrecciate da un unico comune denominatore: le nostre scelte.

Scelte che cambiano la vita

Se quindi sotto l'aspetto narrativo abbiamo tre personaggi e tre storie che al momento non sappiamo come e se si incastreranno, è bene spendere qualche parola sulla componente altrettanto importante dell'esperienza: quella ludica.

Il gameplay è tipico di un gioco di Cage. Avremo il controllo dei personaggi all'interno di un ambiente 3D attraverso lo stick di sinistra, mentre con quello di destra muoveremo la telecamera per cercare di "puntare" l'interesse della visuale su specifici oggetti. Un sistema leggermente più complesso del passato, ma che dopo qualche minuto di pratica è risultato decisamente più libero e profondo di quelli visti in passato. Come già visto in altri giochi di Cage, l'interazione passerà attraverso la pressione dei tasti del pad, QTE per i momenti più concitati e movimenti con la levetta o con la funzionalità del Sixaxis. Una quantità più densa di azioni per far sentire ancora più vicino il giocatore a quello che stanno facendo gli androidi all'interno della scena. Chi si aspettava una maggiore quantità di azione rimarrà probabilmente deluso dal sapere che ci troviamo nella stessa (più o meno) tipologia di interazione dei precedenti Heavy Rain o Beyond.

La forza di Detroit: Become Human è tuttavia da cercare all'interno di un prodotto che sembra - almeno per quello che abbiamo potuto provare - rispecchiare in tutto e per tutto l'ambizione del suo creatore. Detroit è una città che si plasmerà sulle nostre scelte, con una narrazione ramificata e ricca di bivi, ma soprattutto con un effetto farfalla che sembra sulla carta estremamente interessante.

A supporto di questa nostra frase c'è quello che gli sviluppatori hanno chiamato “flowchart”. Un vero e proprio schema che, alla fine di ogni scena, ci mostrerà le scelte da noi effettuate e tutte quelle che invece erano disponibili (sia chiave che secondarie).

Ad azione risponde una reazione

La cosa sicuramente più intrigante di Detroit: Become Human è proprio la densità e il peso specifico di queste scelte. Giocando abbiamo avuto la reale sensazione che ogni cosa fatta (o non fatta) avesse un reale impatto sul gioco. Scovare nei cassetti una pistola, ad esempio, nell'immediato potrebbe risultare quasi inutile, ma il modo in cui reagiremo a questa scoperta potrebbe cambiare drasticamente il futuro.

Di fatto si potrebbero perdere personaggi strettamente legati ai protagonisti, ed in alcuni casi addirittura i protagonisti stessi. Tutto questo andrà ad influire sull'umore e sulle relazioni, attraverso una sorta di termometro che renderà i vari soggetti amichevoli, ostili o neutrali.

Detroit Become Human

Non mancheranno anche i collezionabili, sotto forma di magazine digitali da leggere che ci racconteranno di come è cambiato il mondo sotto l'aspetto politico, sportivo e nelle relazioni internazionali.

Sotto l'aspetto puramente visivo il titolo si attesta sugli ottimi livelli già mostrati dalle ultime produzioni di fascia alta su console Sony. I personaggi sono molto espressivi e trasmettono il pathos del momento, mentre il full motion capture completa un modello 3D estremamente realistico nelle movenze e nell'interazione con l'ambiente di gioco.

Una chiosa anche sul doppiaggio che conferma l'ottima qualità che ormai Sony ha deciso di portare all'interno dei suoi prodotti. Dopo God of War un altro grande doppiaggio in lingua italiana.