Steven Spielberg: il regista, diviso tra sogno, storia e realtà, al quale non smettiamo di guardare

Dal trauma personale ai capolavori: viaggio nell'universo cinematografico del maestro che ha reinventato Hollywood

di Andrea Giordano

«Un film è a tutti gli effetti un mosaico, composto da frammenti, e che alla fine di tutto forma un volto».

Con questa frase Steven Spielberg chiudeva la conferenza stampa nel 2023 alla Berlinale (dove ricevette dalle mani di Bono Vox l’Orso d’Oro alla carriera, ndr), rispondendo a cosa per lui volesse dire realizzare un lavoro cinematografico.

Questa è anche una delle immagini del documentario “Spielberg - Il Re di Hollywood”, in onda su Sky Documentaries

il 25 ottobre alle 22.50, in streaming su NOW, diretto da Michaël Prazan, e che ancora una volta prova a spiegare il lavoro del grande regista americano, la sua vita famigliare, i traumi, le fragilità, i temi portanti, il suo essere onnivoro.

A differenza di “Spielberg”, l’altro documentario in questo caso di Susan Lacy, uscito nel 2017, che di fatto ne celebrava la produzione artistica, attraverso interviste di attori e colleghi, qui assistiamo ad una carrellata cronologica (anche inedita di filmini) riguardo a quello che da oltre 50 anni riesce a regalare.

Già perché Spielberg, come Fellini, Kubrick, Tarantino e pochi altri, non è solo un (cog)nome, si è trasformato nel tempo in un aggettivo, in uno stile riconoscibile, che nel suo caso è riuscito a spaziare tra lavori di grande successo e di intrattenimento, a storie più intime e personali, a raccordi legati alla storia (americana, ma non solo), a personaggi entrati nell’immaginario. Dire oggi che quel film è “spieberghiano” ci rimanda al suo autore senza nessun dubbio.

Frammenti di memoria ed epica.

La realtà, quella che cambia la storia. È lì che il regista ha trovato ulteriori spunti, ispirazioni, provando a connettere il valore delle azioni, quanto quello degli ideali. Lezioni di cinema e di stile. Come in Schindler’s List, il suo capolavoro assoluto, premiato da sette Oscar, tra cui miglior film e regia, in cui è riuscito ad elaborare la tragedia dell'Olocausto, i campi di concentramento, e la figura vera, eroica, di Oskar Schindler, appartenente al partito nazista, che da quell'orrore salvò 1100 ebrei. O come in Salvate il soldato Ryan (altri cinque Oscar, tra cui la regia) che ha segnato un ulteriore analisi riguardo la Seconda Guerra Mondiale (bellissimo in questo caso anche L’impero del sole), a far da sfondo ad un incredibile racconto, pieno di coraggio, nel quale Tom Hanks, sbarcato in Normandia, prova a recuperare un soldato, unico (forse) sopravvissuto di quattro fratelli. Esperienze, fatti di cronaca, ricostruiti sempre con minuzia e astuzia, in modo da renderli affascinanti e coinvolgenti: da Munich, narrando quanto accadde alle Olimpiadi di Monaco di Baviera, nel 1972, teatro di uno degli attentati più efferati e sanguinosi, a Lincoln, incentrato sulla figura di uno dei presidenti americani maggiormente cruciali, interpretato Daniel Day-Lewis, premiato dall’Oscar. E ancora Il ponte delle spie, spy movie superbo, ambientato durante la Guerra Fredda, The Post, incentrato sull’editoria e lo scandalo anni ‘70 dei Pentagon Papers, fino a Il colore viola, tra i più toccanti e belli, seppur sottovalutati dalla critica, nel quale si esplora la speranza e l’amore incondizionato fra due sue sorelle con una Whoopy Goldberg in stato di grazia.

Steven Spielberg e i traumi da bambino.

Spielberg è cresciuto, lo sentiamo nel documentario, traumatizzato in particolare dalla separazione dei propri genitori, avvolto però dal desiderio di raccontare la storia di sua madre, delle sorelle, una lotta fra arte e famiglia, tema emerso in molti dei lavori, e oltremodo emarginato per essere l’unico di origini ebree. Considerato immaturo, un regista “solo interessato a narrare dell’infanzia”, e a tratti poco celebrato per questo, in realtà si è avventurato fin dall’inizio di carriera in sfide personali, in rischi veri, diventati poi opere di culto da prendere ad esempio.

Basti a pensare a Duel (1971) e a Lo Squalo (1975), di cui quest’anno sono ricorsi 50 anni, e il cui set fu minato da sforamenti di budget e imprevisti (ad oggi lo possiamo considerare il primo successo al botteghino), nel quale si affronta la paura (invisibile) dell’ignoto, di un’America desertica e affollata. Un paese da raccontare, anche nel suo personalissimo e autobiografico The Fabelmans, dove eccezionalmente è riuscito ad aprire i propri ricordi, i sogni di ragazzino, la prima volta al cinema, abbagliato da Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. De Mille.

Lo Stakanovista del grande schermo, diventato Re dell’intrattenimento globale.

Da “Spielberg - Il Re di Hollywood”, oltre ai successi, le produzioni (con le società Amblin e Dreamworks) per registi come Zemeckis, Joe Dante e addirittura Akira Kurosawa, (ri)emergono lati nascosti del regista giovane, i continui spostamenti quasi senza radici. “Vivere con la paura fa parte del mio DNA. Davanti alla mia finestra, da bambino, in New Jersey, c’era un albero spoglio, spaventoso, sembrava che avesse dei tentacoli, braccia con dita e unghia lunghe, mi terrorizzava. Da allora ogni suo film ha creato attesa: in Ready Player One, nato dal romanzo-game di Ernest Cline, in cui il linguaggio ‘spielberghiano’ coglie oltremodo linfa vitale, ricostruendo la cultura pop anni Ottanta, inserita nel futuristico 2045.

Un gioco incredibile, che vale vivere fino al messaggio finale, “la realtà è reale”, ed è meglio di quella virtuale. Ma per lui sognare ha significato salire in sella alla bicicletta volante di E.T, nel prendersi cura del Grande Gigante Gentile, o di un Peter Pan (Hook) che ha dimenticato di volare, e prova allora a riconquistare figli ed identità. Ha significato aprirsi all’avventura (e all’archeologia), sia Indiana Jones, il personaggio creato dall’amico George Lucas, protagonista di ben quattro film, sia nel ricreare visivamente il mondo, a tema, di Jurassic Park. Avanguardia e preistoria, che si intrecciano a fattezze aliene (come ne La guerra del mondi), facendosi ingannevolmente rincorrere (Prova a prendermi), o rimanendo magari bloccate in aeroporto dalla burocrazia (The Terminal).

«Il cinema non è stato un mezzo per esorcizzare qualcosa di cui volevo liberarmi, in realtà era un modo per collezionare cose che volevo tenere con me per il resto della mia vita». Parole (e immagini) di Steven Spielberg, il Re di Hollywood.