Wayward - Ribelli, recensione: una comunità dove nulla è come sembra
Serie Netflix canadese in otto episodi, è ambientata in un'idilliaca cittadina dove si trova un misterioso istituto che "accoglie" ragazzi problematici. Con Toni Collette e Mae Martin.
La bucolica cittadina di Tall Pines appare, almeno in superficie, come la comunità progressista per eccellenza, il luogo ideale per chi desidera una vita tranquilla. Quando Alex Dempsey, poliziotto trans in fase di transizione da donna a uomo, si trasferisce lì con la moglie incinta Laura, nessuno sembra sorpreso e anzi la coppia viene accolta nel migliore dei modi. L'identità di genere di Alex sembrerebbe non rappresentare alcun problema e il futuro che si prospetta loro davanti pare roseo e libero da problemi.
Ma nel cuore della vicina foresta ha sede un istituto per ragazzi problematici e proprio il suo primo giorno in servizio Alex si imbatte in uno di loro, fuggito di nascosto da quella particolare scuola, gestita dalla misteriosa Leanne, una ex hippie che tra quelle mura cela inquietanti segreti. L'arrivo di due nuove ragazze, tra loro migliori amiche, finite lì per caso o per necessità, genera nuove vicissitudini e Alex finirà suo malgrado per scoprire spaventose verità sulla cittadina.
Wayward: di ribelle vi è ben poco
Esiste una promessa nascosta in ogni storia che fa del mistero la sua premessa di partenza, ovvero quella di risucchiare lo spettatore in una spirale di paranoia, costringendolo a dubitare di qualsiasi cosa e di ogni personaggio. Quando questa non viene mantenuta a dovere, ciò che resta è un guscio vuoto, una visione superficiale dove il meccanismo narrativo gira a vuoto, limitandosi a seguire uno schema artificioso che toglie via via credibilità agli eventi.
Wayward - Ribelli, serie canadese in otto episodi che si presentava con le credenziali di un mystery claustrofobico e con a disposizione l'enorme talento di Toni Collette nelle vesti di guru-villain, rischia di afflosciarsi purtroppo proprio in questo limbo narrativo, configurandosi come un'opera che vorrebbe promettere rivelazioni a non finire ma si espone in realtà assai prevedibile, rendendo complicato e non complesso, esibito e non stratificato, abbondando quando sarebbe stato meglio asciugare la storia e gli eventi in essa presenti.
Lasciamo stare le forzature nella gestione della coppia principale, quel poliziotto trans e quella moglie incinta che ha pur diversi scheletri nell'armadio. La componente investigativa soffre particolarmente nella gestione dei vari colpi di scena, con le classiche situazioni da setta che vengono risolte in maniera sin troppo approssimativa, con un paio di flashback in diverse puntate ad accompagnarci nella genesi di quell'idilliaca cittadina costruita su falsità e omertà.
Diventare adulti in un mondo che non cresce
Dove Wayward - Ribelli riesce a tratti a centrare il nocciolo è nella gestione degli adolescenti protagonisti, rinchiusi in quell'istituto correttivo degli orrori e degli errori, mentre il mondo esterno - a cominciare da figure genitoriali troppo ciniche e assenti per essere effettivamente credibili - o ignora volutamente o ne è consapevolmente complice. Legami in divenire, alcuni dei quali appena introdotti e altri troncati quando non dovevano, con l'amicizia tra Leila ed Abbie che vorrebbe farsi centro emotivo del racconto, salvo scadere in situazioni risapute e improbabili, puntata finale in primis.
La serie moltiplica le sottotrame e le figure secondarie in modo quasi compulsivo, ma dimentica di approfondirne le psicologie e l'epilogo è tutto fuorché risolutore, lasciando anzi fin troppe incognite anche senza essere dichiaratamente aperto a potenziali proseguimenti.
Creata da Mae Martin, comica canadese che si dichiara non binaria e che qui interpreta il personaggio del giovane poliziotto prossimo a diventare padre, Wayward - Ribelli vorrebbe coniugare istinti più drammatici e tensivi ad altri sopra le righe e di deriva ironica e satirica, ma non riesce a trovare il giusto equilibrio tra le due anime.