Un inganno di troppo: trama e recensione della miniserie Netflix di Harlan Coben

Un inganno di troppo si prende un po' gioco anche di noi, non solo spiazzandoci ma anche cambiando radicalmente ritmo narrativo.

di Chiara Poli

Di solito le storie di Harlan Coben mi piacciono, quando vengono trasposte in TV. È sicuramente il caso di Safe (con Michael C. Hall, su Netflix), Shelter (giallo per ragazzi, su Disney+) e The Stranger (sempre su Netflix).

Dalla prolifica produzione letteraria di Harlan Coben sono stati tratti anche diversi film, ma le produzioni televisive sono di solito - per ovvi motivi di diffusione - molto più apprezzate.

Nel caso di Un inganno di troppo, la novità di Netflix disponibile dal 1° gennaio 2024, le cose sono un po’ diverse.

La miniserie in 8 episodi, di ambientazione e produzione britannica, ha una storia piuttosto intrigante.

La trama di Un inganno di troppo


Il giallo di Harlan Coben narra la storia avvincente dell'ex capitano dell'esercito Maya Stern (Michelle Keegan), che si trova di fronte a un'immagine scioccante catturata dalla telecamera della sua tata. Con incredulità, osserva sua figlia di due anni interagire con suo marito Joe Burkett (Richard Armitage), assassinato brutalmente solo due settimane prima.

La trama solleva la domanda fondamentale sulla credibilità di ciò che vediamo con i nostri occhi, anche quando desideriamo disperatamente che sia diverso. Per ottenere risposte, Maya è costretta a confrontarsi con i segreti profondi e gli inganni del suo passato, un percorso necessario prima di affrontare la straordinaria verità su suo marito e su se stessa. In questo processo, Maya deve anche affrontare la potente e ricca famiglia di Joe, in particolare la suocera Judith Burkett (Joanna Lumley).

Le indagini sull'omicidio di Joe sono guidate dal detective Sami Kierce (Adeel Akhtar), che, nel frattempo, si scontra con i suoi segreti personali. Parallelamente, Abby (Danya Griver) e Daniel (Daniel Burt), i nipoti di Maya, cercano risposte riguardo all’omicidio irrisolto della madre avvenuto diversi mesi prima. Sorge spontanea la domanda: i due casi sono collegati?

I personaggi principali si avventurano in una caccia alla verità che rivela segreti cambiando le loro vite in modo irreversibile.

La recensione di Un inganno di troppo: una partenza confusionaria e poi l’indagine appassionante


Per qualche motivo, principalmente derivante da scelte di montaggio e narrazione, parte piuttosto male. Ci sommerge di informazioni tenendo un ritmo altissimo, come se ci bombardasse di nozioni e personaggi, inizialmente difficili da collocare nella trama quando non conosciamo le loro relazioni e parentele.

Dopo l'episodio pilota le cose già migliorano ma dal quarto episodio, esattamente a metà storia, Un inganno di troppo si trasforma. Radicalmente.

Per la precisione, tutto cambia dal momento in cui la protagonista Maya (un’adorabile Michelle Kegan, già protagonista della serie Our Girl) si ferma in un parco a parlare con il cognato Eddie Walker (Marcus Garvey, che ricorderete in quel gioiello televisivo di Broadchurch, sempre su Netflix). L’attenzione per quel lungo dialogo, le inquadrature, il montaggio, il sottofondo dei bambini che giocano all’aperto: tutto finalmente restituisce la degna attenzione alla cura per la messa in scena.

Scenografie, ambientazioni, fotografia, costumi: è tutto molto curato e solo dopo l’inizio si accompagna a una narrazione altrettanto attenta.

Da questa sequenza in poi, naturalmente, il ritmo narrativo cambia: diventa più “lento”, se vogliamo, ma molto più sensato. Diventa di fatto un’indagine condotta da un lato dalla polizia e dall’altro da Maya.

Tutta la prima parte della storia, invece, viene buttata lì fornendo troppi elementi allo spettatore, come se si presupponesse che abbia letto il libro da cui è tratta la serie. Ma non è così - non si deve mai fare un presupposto simile in un adattamento - e quindi tutto è molto confusionario, eccessivo (la proverbiale “troppa carne al fuoco”), poco verosimile. Non conosciamo gli antefatti, dimentichiamo presto la premessa datata 1996. Ci viene anticipato tutto ciò che verrà svelato solo in seguito col risultato di risultare incomprensibile e di perdere l’impatto emotivo che certe informazioni, se inserite al momento giusto, avrebbero sul pubblico.

A dirla tutta, dopo l'episodio pilota e l'inizio del secondo stavo per gettare la spugna e rinunciare a concludere la visione. Ma la deformazione professionale da analista e soprattutto da sceneggiatrice ha avuto la meglio: volevo proprio vedere come avrebbero gestito il resto della storia, fino alla sua sorprendente risoluzione. Il mio professore di Sceneggiatura alla Scuola di Cinema, tanti anni fa, sosteneva ridendo che gridare contro la TV non serviva, ma magari stavolta ha funzionato - perché a un certo punto, come per magia, tutto è cambiato.

Un inganno di troppo diventa un racconto razionale, carico di tensione e svolte inattese, con il tempo giusto dedicato a ogni scena. Il racconto è cambiato. Drasticamente.

Una trasformazione che dovrete attendere immagazzinando rapidamente informazioni, soprattutto nell’episodio pilota, ma che alla fine vi darà soddisfazione.

I personaggi: il vero punto di forza di Un inganno di troppo


Il motivo principale che ci spinge a superare un episodio pilota piuttosto caotico e disorganizzato sono i personaggi. Maya, la vedova ex militare che ha appena subito il suo secondo tragico lutto in un breve lasso di tempo. Judith, la matrona che manovra la famiglia e il suo infinito denaro, e che vive esclusivamente secondo le stesse vecchie abitudini. Sami, il poliziotto un po’ goffo ma simpatico che prende in giro il novellino che gli viene affibbiato - Marty, un altro personaggio interessante - e che ha un problema di salute misterioso.

Ce n’è abbastanza per stimolare la nostra curiosità. Per non parlare delle continue allusioni al passato da militare di Maya - che però ci verrà svelato solamente nel settimo episodio, a un passo dalla fine. Sarebbe stato molto più utile assistere al flashback in questione al secondo o terzo episodio, perché avremmo conosciuto a fondo la nostra protagonista e l’avremmo seguita con occhi diversi. E il finale sarebbe stato ancora più efficace.

Su tutti i personaggi vengono svelati dei segreti. Alcune di queste rivelazioni sono più facili da intuire, altre veramente spiazzanti. E ancora una volta, tutta la riuscita della serie si affida ai personaggi.

I personaggi sono l'unico mezzo per ribaltare la visione di una storia. Se ci affidiamo alle nostre impressioni, e alla vicinanza emotiva con i protagonisti, finiamo per credere a ciò che raccontano. Se tutte le loro parole devono essere in qualche modo riscritte, abbiamo bisogno di comprendere le loro ragioni. Questa regola vale sia per i buoni che per i cattivi, per intenderci.

Personaggi negativi possono compiere azioni estremamente positive, e viceversa. Confondendo i confini fra i due schieramenti classici. Così si spiazza lo spettatore. 

In sceneggiatura è fondamentale la conclusione della storia. Se arriva insieme a una serie di colpi di scena che ci costringono a rivalutare le nostre posizioni sui personaggi, allora è destinata a lasciare il segno.

Un inganno di troppo, a patto di non incappare in spoiler (e qui non ce ne sono), vi resterà impressa per il modo in cui ci indirizza verso una certa narrazione, per poi trascinarci nella direzione opposta.