Recensione Chambers

La teoria cellulare alla base della nuova serie horror Netflix

di Aida Picone

Il catalogo di Netflix si amplia con una nuova serie tv fantascientifica che presenta tra i suoi protagonisti Uma Thurman. “Chambers”, disponibile in streaming sulla piattaforma dal 26 aprile, racconta gli avvenimenti soprannaturali che coinvolgono la giovane Sasha (Sivan Alyra Rose) che, a seguito di un trapianto al cuore, sembra essere catapultata nella vita della ragazza alla quale l’organo è stato asportato. Lça vita della donatrice,  Becky Lefevre (Lilliya Reid), e il mistero sulla causa della sua morte coinvolgerà a pieno la vita della giovane Sasha, soprattutto perché i genitori di Becky si intrometteranno nella sua vita.


Provate a superare la lentezza delle prime puntate, perché essa viene sopperita dagli eventi che si susseguono nel corso della stagione. Il tema centrale della serie non è qualcosa di nuovo; la cinematografia, così come la letteratura, hanno teorizzato in passato sulla fantasia della "memoria cellulare". Quella teoria secondo la quale l'organo, una volta donato, lascia con se i ricordi della vita del donatore. Leah Rachel, creatrice e produttrice, riesce a conferire al trapianto di organi un’ottica new age nata dall’unione del misticismo navajo alla medicina tradizionale, con una certa carezza alla demonologia. Ma la magia non è tutto.

Il file rouge che lega ideologicamente Sasha e Becky è sicuramente il loro rapporto con la famiglia, con la madre in particolare. In più episodi viene mostrato allo spettatore l’unione femminile gerarchica, elemento che conferisce la forza sentimentale necessaria alla serie. Essenziale, sotto questo punto di vista è il ruolo di Uma Thurman, una madre in lutto che affronta a pieno il suo dolore cercando di vincere la follia che esso porta con se. Le fasi della perdita ci vengono mostrate attraverso le espressioni dell’attrice, le sue azioni segnano profondamente ciò che viene messo in scena, riuscendo ad essere centrale anche quando il personaggio non lo è. Attraverso alcune scelte sceniche, la potenza femminile viene mostrata in ogni sua sfaccettatura. Legato a questo aspetto, infatti, al termine della stagione si può fare attenzione ad un particolare legato alla conoscenza del mito della Genesi che non a tutti potrebbe essere visibile (Ma cerco di evitarvi lo spoiler).


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Altro volto noto è quello di Tony Goldwyn che interpreta il padre di Becky. Anche in questo caso siamo davanti a un attore degno di nota che riesce a muoversi bene nelle varie “fasi” che il suo personaggio affronta nel corso delle puntate.

Il mistero, però, è facilmente intuibile. Uno spettatore attento più comprendere le “cause” di quel che accadrà a breve, ma effettivamente il tutto diviene marginale se tenuto conto del fatto che questo può essere solo il primo tassello in un disegno che si espanderà nel corso della seconda stagione.

L’occhio dello spettatore viene appagato dal taglio della telecamera e dagli effetti scenici. I primissimi piani, i dettagli costituiscono il punto di forza nella creazione dell’atmosfera tensiva. I movimenti di macchina uniti al gioco dei contrasti e degli specchi restituiscono bene l’idea di ciò che si vuol far intendere. La volontà di “mostrare raccontando” riesce perfettamente proprio grazie alla sapienza con cui viene giostrato “quel che si vede”. In alcune puntate la regia gioca proprio con questo aspetto, presentando così diversi punti di vista così da dare un quadro ben più grande di quel che viene concesso allo sguardo del pubblico.