Lazarus di Harlan Coben: una serie mystery che fallisce su ogni fronte
Sei puntate frutto della penna del popolare scrittore, con protagonista uno psicologo che parla con i morti per indagare sull'omicidio della sorella di molti anni prima. Su Prime Video.
Joel "Laz" Lazarus è uno psicologo forense che si è costruito una rispettabile carriera nel campo della criminologia. Quando riceve la notizia che suo padre, il rispettato dottor Jonathan Lazarus, si è tolto la vita lasciando accanto a sé un biglietto criptico e confuso, Joel fa ritorno nella casa d'infanzia per stare vicino alla sorella Jenna e affrontare il lutto. Ma nello studio del compianto genitore, Joel inizia ad essere testimone di esperienze paranormali che non riesce a spiegare, visite da parte di presenze che sembrano comunicare con lui, tutti ex pazienti deceduti di chi prima psicanalizzava tra quelle quattro mura.
Tra queste manifestazioni soprannaturali riceve anche consigli proprio dal padre, e tutti i suoi contatti col presunto aldilà sembrano volerlo guidare il protagonista verso un unico filo conduttore, relativo al tragico omicidio della sorella di Joel, Sutton, uccisa venticinque anni prima. Un omicidio per il quale non è mai stato trovato un colpevole e che ora, forse, il protagonista ha la possibilità di risolvere una volta per tutte, rischiando di scoperchiare un vaso di Pandora dai segreti inimmaginabili.
Lazarus e di chi è senza peccato
Harlan Coben negli ultimi anni è diventato una vera e propria gallina dalle uova d'oro per il mercato streaming, con un accordo quinquennale con Netflix che ha portato alla produzione di numerose serie basate sui suoi romanzi o su storie originali. La premessa è spesso similare: un evento di un passato più o meno remoto torna a perseguitare i protagonisti, segreti familiari vengono alla luce in un racconto dove, ovviamente, nulla è come sembra, per culminare in una serie di colpi di scena sulla carta imprevedibili ma alla prova dei fatti assai scontati.
Coben ha trovato una formula che funziona innegabilmente bene per il pubblico mainstream e la ripete ossessivamente, con variazioni minime da una produzione all'altra. Lazarus segna il passaggio da Netflix a Prime Video, dopo la conclusione dell'accordo quinquennale, e promette ancora una volta di fare faville sulla relativa piattaforma.
Nei sei episodi però non vi è un solo momento genuinamente sorprendente. Ogni rivelazione è telefonata con largo anticipo, ogni falsa pista è talmente incongruente da essere scartata a priori, ogni cliffhanger è preceduto da indizi così evidenti che persino uno spettatore distratto potrà anticipare cosa stia per accadere. La sceneggiatura è stancamente meccanica, e anche la gestione delle visioni che uniscono forzatamente passato e presente risulta spesso illogica e priva di una vera e propria coerenza, tanto che la casualità dell'intreccio narrativo lascia più volte basiti nella sua esibita ingenuità.
Tasselli da unire in un quadro fuori posto
Ci troviamo davanti ad un puzzle del quale immaginiamo già la composizione finale e il principale problema è che nelle varie puntate latita anche quella tensione di genere che dovrebbe spingere chi guarda ad andare avanti, per scoprirne di più sul cuore di tenebra di personaggi principali e secondari, tra villain dati per certi e altri pronti a diventarlo.
L'elemento soprannaturale, che dovrebbe essere il punto di distinzione della serie, viene trattato con una superficialità sconcertante. Come già accennato sopra, non ci sono regole chiare su come funzionino queste visioni, quando appaiano, perché alcuni morti scelgano di comunicare col protagonista e altri no. Un approccio tremendamente arbitrario, con i fantasmi che si materializzano esattamente quando la trama richiede una svolta conveniente a farla andare avanti. Non c'è alcuna esplorazione seria delle implicazioni psicologiche o etiche di possedere questo tipo di abilità, né alcun reale sviluppo emotivo.
E che dire di dialoghi talmente esplicativi da risultare imbarazzanti? I personaggi parlano pronunciando battute che nessuno messo di fronti a tali circostanze si sognerebbe mai di dire, in una fiera delle banalità che fa concorrenza agli autori dei bigliettini che si trovano nei biscotti della fortuna ai ristoranti cinesi.
Sam Claflin, attore britannico che ha altrove ha dato prova di talento, si ritrova qui intrappolato come il suo alter-ego in un ruolo che gli chiede principalmente di guardare nel vuoto, sguardo in camera, con espressione gratuitamente tormentata. Il resto del cast non brilla per carisma e impatto scenico, a cominciare dalla guest-star Bill Nighy nelle vesti del "ritornante" genitore, in una delle interpretazioni più scialbe di una carriera di tutto rispetto.
Probabilmente Lazarus scalerà ben presto la classifica dei titoli più visti, ma se siete in cerca di una scrittura di qualità e di storie appassionanti che esulino dai soliti cliché, il nostro consiglio è quello di starne alla larga.