La terapia di Sebastian Fitzek: trama e recensione della serie tratta dal fortunato romanzo tedesco
Scopriamo trama, cast e recensione de La terapia di Sebastian Fitzek, la miniserie di Prime Video
Se siete abbastanza “grandi”, ricorderete senz’altro l’uscita de Il codice Da Vinci, il libro di Dan Brown che tutti, ma proprio tutti - inclusi quelli che non avevate mai visto con un libro in mano - stavano leggendo.
Ebbene, in Germania in contemporanea a Il codice Da Vinci era uscito La terapia, il romanzo d’esordio dello scrittore berlinese Sebastian Fitzek, che contendeva il titolo di romanzo più venduto a Dan Brown.
Giusto per darvi un’idea del successo in patria. Dal 2006 sono passati molti anni ma Prime Video ha deciso di portare La terapia di Sebastian Fitzek - con questo titolo - sullo schermo, in una miniserie in 6 episodi, uscita il 26 ottobre 2023.
Ecco la recensione di questo thriller psicologico ottimamente interpretato da Stephan Kampwirth, già protagonista di Dark, incentrato sul peggior incubo di qualsiasi genitore: un figlio che si perde mentre era con lui.
La trama de La terapia di Sebastian Fitzek
Nell’introduzione vi raccontavo del protagonista, volto noto ai fan di Dark su Netflix. Ed è proprio l’effetto Dark, come lo chiamo io, che condiziona irreparabilmente le serie tedesche prodotte dopo il suo grandissimo successo.
Perché La terapia di Sebastian Fitzek soffre molto della volontà di rendere visivamente complicato ciò che è in realtà semplice. Si capisce subito la situazione, che non vi svelo per evitare spoiler. Si intuisce chi e cosa ci sia al centro della narrazione, insomma. Ci sono dei risvolti che emergono nel finale di stagione, impossibili da indovinare e per questo avvincenti, ma non ci sono grandi sorprese. Una sola, sufficiente a mio parere.
Se gli autori non avessero voluto giocare su quell’effetto Dark rafforzato molto dalla presenza di Stephan Kampwirth, per inciso sempre bravissimo, sono abbastanza sicura che sarebbe stato più difficile intuire subito cosa stava succedendo.
Ciononostante, pur rimproverando la volontà di complicare eccessivamente il mistero imitando la celebre serie di Netflix, devo riconoscere che La terapia funziona.
Il cast è perfetto. Tutto. Tanto che alcuni personaggi sembrano sviare i nostri sospetti, cosa ottima in un thriller psicologico che mette alla prova lo spettatore, sfidandolo a capire cosa succeda.
E poi c’è un’attenta ricostruzione degli ambienti, una fotografia accattivante e delle bellissime scenografie. Sarà il fatto che è girata e ambientata in Europa, e quindi oggettivamente ricca di sfondi più “antichi” e artistici rispetto alle solite case americane. Fatto sta che La terapia esercita un fascino visivo importante sullo spettatore.
Al punto che la prevedibilità della trama passa in secondo piano, tanto sono godibili le sequenze dei 6 episodi.
L’intreccio dei personaggi, dalla clinica alla splendida villa di famiglia di Viktor, il ricordo del passato con i suoi genitori, le incomprensioni con Isabell e il racconto della “ribellione” di Josy in seguito alla frequentazione della figlia di un collega di Viktor, il dottor Roth (Trystan Pütter, Anonymous)… Tutto funziona facendo il suo lavoro nel calderone di una trama prevedibile ma complessa grazie al coinvolgimento di tanti personaggi e diverse sottotrame che riguardano i colleghi - assistenti incluse - di Viktor e anche il suo avvocato nonché miglior amico, Wolfgang Riegger (Samir Fuchs, Le Bureau - Sotto copertura).
Continuo ad aver da ridire sulla volontà di imitare lo stile visivo di Dark in una parte importante della narrazione, ma anche se ho previsto lo sviluppo non mi sono annoiata. Il che non è sempre scontato in una storia di questo genere. Soprattutto se hai già capito cosa sta succedendo.
Buono quindi il lavoro degli adattatori del romanzo: Don Bohlinger (già sceneggiatore del riuscito film The Experiment), Alexander M. Rumelin (Transporter: The series) e Christian Limmer,(Oktoberfest: birra e sangue), che avrebbero giusto potuto giocarsi le tempistiche in modo diverso, ottenendo un effetto “mistero” decisamente più riuscito.