La recensione di Tutta la luce che non vediamo, la nuova miniserie di Netflix

Scopriamo insieme la storia e la recensione di Tutta la luce che non vediamo, con un grandissimo Hugh Laurie

La recensione di Tutta la luce che non vediamo la nuova miniserie di Netflix

Il romanzo di Anthony Doerr, uscito nel 2014, ha vinto il prestigioso premio Pulitzer l’anno successivo. Nel 2021 Netflix ha acquisito i diritti per la trasposizione, annunciando una miniserie in 4 episodi scritta da Steven Knight (il creatore di Peaky Blinders) prodotta e diretta da Shawn Levy (Stringer Things). Si tratta di Tutta la luce che non vediamo, su Netflix dal 2 novembre 2023.

Marie-Laure LeBlanc parla alla radio. Si trova in una cittadina francese, sotto le bombe. Sotto l’occupazione nazista. Dice a suo padre di tornare, e che lei lo aspetta. E poi si mette a leggere un libro: 20.000 leghe sotto i mari. Lo legge in braille, perché Marie è cieca.

Le parole del soldato tedesco che la ascolta fanno riflettere. Su come anche i nazisti, quelli sul campo - non quelli a organizzare lo sterminio nei campi di concentramento - fossero in parte vittime. Vittime della propaganda nazista. Quella stessa propaganda che ancora oggi, quasi un secolo dopo, manda i soldati a morire mentre i gerarchi se ne stanno al sicuro, nel lusso, con ogni genere di comfort. Mentre i civili e i soldati se ne stanno sotto le bombe, o in mezzo al fuoco nemico.

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Ma c’è anche altro. Pochi minuti dopo l’inizio, subito dopo la sigla preceduta dal teaser, un nazista parla con il proprietario di un bistrot. E usa il termine “gasare” per raccontare come i tedeschi eliminano i nemici. Qualcosa che succede nei campi di concentramento. Quelli che tutti negavano di conoscere. Quell’attività disumana per la quale i tedeschi coniarono un apposito termine: “gasen”. Gasare, appunto.

Fra presente e passato, Tutta la luce che non vediamo ci racconta la storia di una bambina cieca, che da molto tempo attende il ritorno del suo papà. L’unica persona di cui si fida, prima di incontrare il Professore. E un soldato tedesco.

La trama di Tutta la luce che vediamo

Saint-Malo, Francia, 1934. Marie-Laure (l’esordiente Aria Mia Loberti) e suo padre Daniel (Mark Ruffalo, Il caso Spotlight) vivono sereni, insieme, in un mondo che Daniel fa scoprire alla piccola nonostante sia nata senza la vista. Dieci anni dopo, nell’agosto del ’44, durante l’occupazione nazista, Marie è rimasta sola. Parla alla radio che ascoltava da piccola, aspettando il ritorno di suo padre e ricordando le nozioni sulla luce di cui parlava il Professore che ascoltava per radio, di notte, sulla frequenza 13.10.  Si è allontanato oltre un anno prima, promettendo di tornare presto. Marie, sola, si fa compagnia con la radio e fa compagnia a chiunque possa ascoltarla. Incluso Werner (Louis Hoffman, Jonas in Dark), un soldato tedesco poco più grande di lei, cresciuto in un orfanotrofio tedesco insieme alla sorella. Werner ha imparato il francese da bambino. Ascoltava il professore. Ha superato una scuola durissima, riservata all’élite nazista, e ha trovato Marie perché trasmette sulla frequenza 13,10.

Per proteggere Marie, che trasmette informazioni in codice per la Resistenza - di cui fanno padre il padre e lo zio Etienne (Hugh Laurie, Dr. House), Werner ha ucciso. Soldati e ufficiali tedeschi.

Fra presente e passato, prima dell’occupazione nazista, la storia di Marie e di Daniel, dello zio Etienne e di Werner, ci viene raccontata dal principio. Fino al momento in cui arriva la Liberazione.

La recensione di Tutta la luce che vediamo

La recensione di Tutta la luce che non vediamo, la nuova miniserie di Netflix

In questa storia, il cui adattamento televisivo si può dire riuscito grazie a un ottimo cast - a cominciare da Laurie e Ruffalo - c’è la storia di una bambina cieca, ma soprattutto c’è una storia di guerra.

Ci sono i flashback sui traumi - immancabili, inevitabili - che la guerra lascia negli occhi e nel cuore degli uomini.

Ci sono la solitudine dei bambini cresciuti in orfanotrofio e la mancanza di luce negli occhi di una bimba che non ci vede, ma che ha lezioni da dare a tutti sulla voglia di vivere, la forza e il coraggio.

C’è l’emozione di incontrare qualcuno che ha fatto parte delle nostre vite, senza mai poterlo vedere.

Ma soprattutto ci sono le bombe, i nazisti, ma ci sono anche questioni storicamente controverse. Le informazioni che filtravano dai lager non erano oggetto di battute negli altri Paesi. Non potevano esserlo, perché nel momento stesso in cui i lager erano attivi, nessuno - o quasi - riusciva a far filtrare informazioni così precise. Non potevano.

E poi c’è la grande controversia: tutti negavano di sapere. Tutti l’hanno negato. Ma qualcuno - certamente chi viveva nei pressi dei campi di concentramento - conosceva la situazione. Certo: qualcosa si sapeva, ma qui la conoscenza è proprio al centro della narrazione.

La conoscenza contro la crudeltà

La recensione di Tutta la luce che non vediamo, la nuova miniserie di Netflix

La conoscenza che il Professore diffonde come strumento di intelletto, raziocinio, speranza contro le mostruosità della guerra.

La conoscenza - in qualsiasi forma, radiofonica o letteraria - fa parte degli strumenti a disposizione dell’uomo per non commettere gli stessi errori del passato.

Eppure, mentre scrivo la recensione di questa storia inventata, ambientata in uno scenario realmente esistito, non ci credo più. Non del tutto.

Senza la radio il partito nazista non sarebbe salito al potere.

Perché la propaganda ha funzionato come nulla prima. E perché la gente ha creduto che la propaganda fosse conoscenza, e ancora lo crede.

Mentre scrivo, oggi, le case degli ebrei francesi - proprio nel Paese in cui è ambientata questa storia - vengono marchiate con le stelle di David.

È difficile non pensarci, mentre assistiamo al modo in cui i nazisti tentano di plagiare la mente di un ragazzo dotato di grande talento. Werner ha un dono, è un genio delle trasmissioni radiofoniche e del funzionamento degli apparecchi.

Viene considerato ufficialmente un genio. I gerarchi lo chiamano così. Ma Werner non crede alla propaganda. Sa cosa è giusto e cosa non lo è perché l’ha imparato prima. Dalla radio. Dal Professore. Ha visto e fatto cose che nessuno dovrebbe mai vedere e fare, e cerca di fare tutto ciò che può per rimediare.

E poi, in uno strano gioco alla Indiana Jones, nella storia compare un gioiello maledetto. Una pietra preziosa, custodita del museo di Parigi di cui Daniel era il custode, che i nazisti credono magica.

I nazisti credono alla leggenda che circonda il Mare di Fiamma. Almeno uno, ci crede. Il maggiore Reinhold von Rumpel (Lars Eidinger, Babylon Berlin) è fermamente convinto che la superstizione attorno a quella pietra, che ne ha impedito l’esposizione in museo, sia reale. E dà la caccia a Marie perché è convinto che il Mare di Fiamma sia nelle sue mani.

Scienza e conoscenza

La recensione di Tutta la luce che non vediamo, la nuova miniserie di Netflix

Il contrasto fra la scienza (la conoscenza) e la superstizione (l’ignoranza) è uno dei temi ricorrenti nella storia.

Interessante anche tutto il racconto di come nascevano le reti della Resistenza, utilizzando le innocue donne anziane per carpire informazioni ai tedeschi e farle avere ai combattenti. Le strategie per proteggere Daniel e Marie, la strenua difesa dei gioielli nazionali perché non cadano in mano nazista, così come le opere d’arte che sono state salvate dalla razzia.

Von Rumpel ovviamente dà la caccia al diamante per sé, per la superstizione, ma anche e soprattutto per il suo valore: si tratta di un diamante enorme.

Ma il suo valore, per quanto alto, non raggiungerà mai il finale beffardo - per i nazisti - che la miniserie ha riservato a questa storia piena di dramma e dolore, ma anche di coraggio e rivincita.

Con la Liberazione seguita dalle immagini reali, le immagini di repertorio, della Francia ridotta in macerie ma finalmente libera. Con i bambini sopravvissuti che sorridono in cima a ciò che resta delle loro case. Perché la speranza, anche in tempi bui come questi, non deve mai spegnersi.

7.5

Voto

Redazione

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La recensione di Tutta la luce che non vediamo, la nuova miniserie di Netflix

Tratta dal romanzo premio Pulitzer di Anthony Doerr, la nuova miniserie in 4 episodi di Netflix scritta da Steven Knight e diretta da Shawn Levy, Tutta la luce che non vediamo, non può non colpire.

Racconta una storia drammatica, a tratti tragica, una storia ambientata nella Francia occupata dai nazisti. Ma questa storia è anche piena di coraggio e di speranza.

Parla di orrore, di propaganda, di scienza, di conoscenza, di superstizione.

Mette in contrasto due modi di vedere il mondo e la vita, mostra come venivano plagiati i giovani tedeschi, futura élite del Terzo Reich, e dimostra quanto la propaganda e il plagio restino in superficie quando la mente che si tenta di violare è intelligente. E colta.

L’importanza della cultura, della conoscenza storica e della relativa impermeabilità alla propaganda è il tema principale di questa storia commovente, drammatica, magistralmente interpretata da Hugh Laurie e Mark Ruffalo, sempre una spanna sopra a tutti gli altri.

La ricostruzione storica, con tanto di racconto di come nascevano le reti della Resistenza e dell’importanza della radio - delle radio illegali - per aiutare chi combatteva i nazisti: tutto è accurato. C’è perfino la controversa questione di cosa si sapeva sui lager e c’è, naturalmente, uno sguardo anche sui collaborazionisti. Quelli che per sopravvivere affiancano in qualche modo i tedeschi, consapevoli che se perderanno la guerra loro pagheranno con la vita.

Tutta la luce che non vediamo ci parla delle brutture del mondo e dell’orrore della guerra, di un animo umano scuro come le tenebre ma anche capace di diffondere luce. Perfino agli occhi di chi non vede, nel senso tradizionale del termine.