La serie Netflix sul Mostro di Firenze funziona perché non ha risposte o colpevoli

La serie di Sollima sul Mostro di Firenze funziona perché riparte dai fatti criminali e dal clima sociale dell’epoca, senza l’urgenza di puntare il dito o trovare il suo colpevole.

di Elisa Giudici

A distanza di decenni dai delitti, dai lacunosi esiti processuali e dalla psicosi collettiva, le vicende del Mostro di Firenze rimangono perlopiù circondate da incognite, insicurezze, mancanza di punti fermi oltre ai cadaveri e all’orrore delle macabre uccisioni e successive mutilazioni. Eppure le decine di libri, podcast, video essay pubblicati ogni anno sul tema (siano firmati da esimi studiosi degli incarti processuali o mostrologi amatori dell’ultima ora) partono sempre da una solida, granitica certezza. Quella di aver individuato il colpevole, o quanto meno la pista giusta o almeno di poter escludere alcuni candidati eccellenti.

La prima stagione di Il Mostro si concentra sulla Pista sarda

Ciò che distingue in questo panorama di congetture la serie Netflix firmata da Stefano Sollima e realizzata per celebrare il decennale dallo sbarco della piattaforma nel Bel Paese è che parte proprio dalla mancanza di certezze e continua per tutto il tempo a muoversi in questa direzione. Per Sollima insomma la serie è un’occasione per ripartire da zero su un tema di cui si è parlato e straparlato tantissimo, ripercorrendo la lunga storia giudiziaria ancor prima che il Mostro diventasse tale, a partire da uno dei primi sviluppi delle indagini: la cosiddetta “pista sarda”.

Il Mostro di Sollima dunque non ha un volto né un nome da dare in pasto al suo pubblico. Anzi: nel corso delle quattro puntate che compongono la serie gli efferati omicidi raccontati dalla serie vedono la silhouette e le fattezze del mostro cambiare puntata dopo puntata, somigliando a quelle del sospettato di turno. La prima stagione de Il Mostro si concentra infatti sul racconto di come gli inquirenti cominciarono a mettere insieme i vari omicidi poi attribuiti al Mostro compiuti all’inizio degli anni ‘80 fino al celebre “ripescaggio” di un vecchio fascicolo polveroso risalente al 1968 divenuto poi il primo omicidio riconosciuto del serial killer. Centralissima nella narrazione diventa dunque il “ripescaggio” dell’uccisione di Barbara Locci e dell’amante, freddati da una scarica di colpi nella loro autovettura sotto lo sguardo attonito del piccolo figlio di lei Natalino.

La serie si muove dunque su due linee temporali: quella degli anni ‘80 con gli inquirenti che analizzano le posizioni di quattro sospettati chiave - Stefano Mele, Francesco Vinci, Giovanni Mele e Salvatore Vinci hanno tutti un episodio dedicato - e quella di vent'anni prima in cui emergono molte, possibili verità sui tragici eventi consumatisi nella vita dei coniugi Mele, fino all’apparizione e alla sparizione dell’arma del delitto compatibile con le barbare uccisioni degli anni ‘80.

Il Mostro ha una ricostruzione storica alle spalle quasi maniacale

Coscritto da Sollima insieme a Lorenzo Fasoli, frutto di un lavoro minuziosissimo di ricostruzione sul set (l’esperto Francesco Cappelletti ha assistito la troupe nella ricostruzione maniacale delle uccisioni e su altri aspetti storici della vicenda) l’approccio rigoroso del Mostro è ben sintetizzato da una battuta amara pronunciata da uno degli indagati. Indicando un pacchetto di sigarette vuoto Francesco Vinci commenta che accartocciandolo, svuotandolo del suo contenuto o ancora prendendone una confenzione intonsa la natura dell’oggetto non cambia, ma la sua percezione di chi lo guarda sì.

Ciò che intende dire è che ogni ricostruzione ha una sua coerenza interna e suona assolutamente verosimile mentre viene raccontata, non fosse che la puntata successiva propone un’ipotesi e un colpevole molto differenti e ugualmente credibili. L’unico particolare che rivela l’inaffidabilità di queste ricostruzioni apparentemente solide è che sono appunto concorrenti e antagoniste. I fatti possono venire riarrangiati e diventano un pacchetto vuoto, accartocciato. La natura degli elementi è quella, il difficile è capire appunto quale delle versione è poi quella successa davvero.

La parte giudiziario-investigativa, il racconto di quanti danno la caccia al Mostro e come, è l’elemento più debole della serie. Il modo in cui gli investigatori parlano tra loro del caso è al contempo meramente espositivo e fortemente rimaneggiato, toccando il minimo le colpe di una squadra investigativa che, anche considerando i limiti tecnologici dell’epoca, maneggiò testimonianze e prove in modo tale da comprometterne l’integrità e la rilevanza. La serie racconta in parte anche il calvario del piccolo Natalino, sin da bambino sottoposto in orfanotrofio a una miriade d'interrogatori per tentare di capire se avesse visto e riconosciuto il Mostro, se fosse stato risparmiato dallo stesso e perché.

Il Mostro e i mostri al centro della serie Netflix di Sollima

Le uniche tracce di didascalismo della serie sono proprio nelle stanze della procura. Eliminando per esempio il celebre profilo tracciato dall’esperto dell’FBI e mettendo quell’intuizione della rilevanza centrale delle vittime di sesso femminile in bocca all’unica presenza femminile nel team investigativo, la serie sembra forza un po’ la mano di un sensibilità moderna su un’epoca molto differente. Per fortuna è un’empasse che dura pochissimo. Non avendo certezze investigative da dare al proprio pubblico, Sollima e il cosceneggiatore Fasoli puntano a un’altra verità: quella di due epoche socioculturali (gli anni ‘60 e ‘80) così ostili alle donne, così guidate dai precetti patriarcali loro imposti e così ostinate nell’associarle a proprietà e possesso da creare il sottobosco ideale per i barbari omicidi e mutilazioni del mostro.

Magari non sapremo mai se uno dei quattro possibili esecutori raccontati nella prima stagione sia nei fatti il Mostro di Firenze, ma tutti sono mostri di per sé per come si macchino di violenza, prevaricazione e brutalità nei confronti delle donne della loro vita. La vita di Barbara Locci per esempio, giudicata per la sua promiscuità in un’epoca in cui il delitto d’onore non era ancora illegale, diviene via via più tragica man mano che le varie ricostruzioni vengono elaborate nelle quattro puntate della serie. Violenze, stupri, prevaricazioni da parte del padre, del marito e degli amanti rendono la sua vita un inferno molto, molto prima che il Mostro la freddi, quale che sia la versione che va più vicina alla realtà dei fatti.

Forte di questa ricostruzione - che mette i brividi perché sottolinea come il contesto culturale in cui il Mostro agiva indisturbato non sia poi tremendamente diverso da quello in cui viviamo oggi - Il Mostro di Sollima si fa forte di una produzione con tutti i crispi, affiancata da fotografia, musiche, montaggio e comparto tecnico di assoluta qualità, più simili a una serie di aspirazioni internazionali che alla media dei prodotti originali italiani del catalogo della N rossa. Per dare un’idea del dettaglio di cui parliamo: Cappelletti è stato interpellato anche per capire se, in qualità di consulente storico, potesse ricostruire di che colore fosse il faldone polveroso degli anni ‘60 dentro cui rimase nascosto per anni il primo omicidio con la pistola legata ai delitti.

Similmente il cast impressiona per freschezza e puntualità dei volti semisconosciuti coinvolti, molto lontani dalla parata di star nostrane che ci si aspetterebbe a fronte di questo progetto. La priorità in questo caso è stata quella di trovare qualcuno in grado di gestire le inflessioni sarde delle voci dei personaggi protagonisti della pista omonima. C’è persino una sorta di scena post credit che introduce a mo’ di grande cattivo Marvel il personaggio di Pacciani, a cui Sollima sembra più che pronto a dedicare un’eventuale stagione due.

Senza mettere anzitempo il carro davanti ai buoi rimane il fatto che Il Mostro è una storia così ben realizzata, rigorosa nel suo racconto dei crimini e della violenza, dalla scrittura molto pulita e attenta, da accreditarsi già come una delle migliori serie dell’anno e non solo a livello italiano. Ovviamente si tratta di un titolo riservato al pubblico prettamente maturo, anche se non indulge mai nella pornografia della violenza, cercando di trattare con grande rispetto le vittime degli efferati omicidi. Ben prima delle ammazzatine, delle mutilazioni genitali e dell’angoscia degli inquirenti che a ogni pista sbagliata scateni un nuovo omicidio di risposta del Mostro, c’è tutta l’inquietudine di una realtà che in vent’anni (tra i ‘60 egli ‘80, ma anche tra il finire degli anni Ottanta e oggi) ha fatto pochissimi passi avanti per tutelare le donne dai mostri ordinari, familiari, prevaricatori.

Locci e le altre, pur dimostrando un carattere di ferro nell’inseguire la propria felicità nonostante il giudizio della gente e le reazioni della stampa, somigliano insomma a vittime ancor prima di venir crivellate di colpi.