I racconti delle Tartarughe Ninja: il ritorno seriale delle iconiche Ninja Turtles
Disponibili su Netflix e Paramount+, i dodici episodi della prima stagione ci accompagnano in una nuova avventura nella quale i protagonisti devono riscoprire se stessi.
In occasione del suo sbarco anche su Netflix (la serie è già disponibile da tempo nel catalogo di Paramount +) vi parliamo su queste pagine de I racconti delle Tartarughe Ninja, dodici episodi che si propongono come una sorta di ponte narrativo tra il fortunato film Tartarughe Ninja - Caos mutante (2023) e il sequel cinematografico previsto per il 2026.
Una nuova avventura seriale - tra pochi giorni uscirà la seconda stagione - che ha il compito tutt'altro che semplice di mantenere l'entusiasmo generato dal reboot firmato da Seth Rogen e Jeff Rowe. Ma andiamo con ordine e scopriamo se questa nuova incursione nell'iconico universo dei quattro eroi amati da generazioni regge il peso di così alte aspettative.
I nuovi racconti delle Tartarughe Ninja
Ritroviamo Leonardo, Donatello, Raffaello e Michelangelo due mesi dopo gli eventi della pellicola, ormai acclamati come eroi dalla cittadinanza newyorchese dopo aver sconfitto il malvagio Superfly. I quattro protagonisti possono finalmente vivere alla luce del sole e tentare di avere una vita quanto più normale possibile. Ma la tranquillità dura poco: una nuova minaccia si profila all'orizzonte nella forma di Josefina Bishop, brillante inventrice che considera tutti i mutanti un pericolo per l'umanità e ha sviluppato un esercito di Mechazoid, robot da caccia progettati per eliminarli uno dopo l'altro.
La particolarità narrativa della serie risiede nella sua struttura antologica, con la prima parte di stagione che in ogni episodio segue infatti uno dei quattro fratelli separatamente, costretto a cavarsela da solo mentre affronta nemici, alleati improbabili e soprattutto le proprie insicurezze adolescenziali - per chi ha familiarità con l'inizio dell'iconico anime de I 5 Samurai, l'idea è pressapoco quella, con tutte le dovute differenze del caso.
Leonardo deve imparare cosa significhi essere un leader senza nessuno da guidare, Donatello si trova a dover competere intellettualmente con un'intelligenza artificiale che anticipa ogni sua mossa, Raffaello scopre che la forza bruta non sempre risolve i problemi quando si ritrova stretto tra i Mechazoid e la pericolosa gang dei Purple Dragons, mentre Michelangelo è chiamato a diventare improvvisamente responsabile per salvare i suoi fratelli e trova un nuovo inaspettato alleato. Se da un lato questa scelta permette di approfondire la psicologia dei singoli personaggi rispetto ad altre produzioni del franchise, dall'altro toglie quella dinamica corale che ha sempre rappresentato l'anima delle Tartarughe Ninja.
Tra narrazione ed estetica
La seconda metà della stagione introduce poi una minaccia completamente diversa, i cosiddetti East River Three – un trio di mutanti marini guidati dall'improbabile Goldfin – spostando l'attenzione su tematiche ambientaliste e sulla convivenza tra specie diverse. Due diverse storyline che convivono forzatamente, nelle quali figure chiave come il maestro Splinter o la nuova April devono accontentarsi di sprazzi qua e là quando non di puntate quasi interamente loro dedicate a mo' di contentino.
La decisione più coraggiosa e potenzialmente controversa in I racconti delle Tartarughe Ninja è quella del passaggio dall'efficace animazione CGI di Caos Mutante a uno stile bidimensionale, affidato allo studio Titmouse. Gli showrunner Christopher Yost e Alan Wan hanno dichiarato di voler mantenere l'estetica grezza del film pur lavorando con un budget televisivo inevitabilmente più contenuto, e il risultato rischia di non piacere a tutti, con un approccio quasi abbozzato per quanto non privo di una certa ingegnosa ruvidità. Non mancano nemmeno alcuni brevi passaggi in stile videogame anni Ottanta, più gratuiti che effettivamente necessari ai fini della trama.
L'impressione è quella di sfogliare un fumetto in tempo reale, con inquadrature che privilegiano la composizione tipica delle vignette: alcune sequenze d'azione risultano particolarmente efficaci in questo formato, ma a tratti l'animazione appare rigida e non sempre il character design, soprattutto per ciò che concerne villain e figure di contorno, risulta convincente. Alcuni personaggi sono demenzialmente appetibili, come il piccione gigante Pete, mentre in particolar modo i cattivi non hanno il necessario carisma per apparire come minacce credibili.
Permane poi quell'anima citazionistica e fortemente pop, con classici del cinema e figure chiave dell'immaginario comune, da Batman al Tetsuo di Akira e via dicendo, che vengono citati più o meno ripetutamente in gag e battute, rivolgendosi in questo anche ad un pubblico più smaliziato, quello probabilmente cresciuto con le interazioni storiche del cartoon.