Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 Recensione - Un sogno gotico affascinante, ma troppo fragile per diventare immortale.

Un ritorno affascinante nel World of Darkness: elegante, malinconico e visivamente notevole, ma troppo fragile per reggere il peso del proprio nome.

di Simone Rampazzi

Ventuno anni dopo un capitolo che ha cambiato il modo di intendere il gioco di ruolo narrativo, Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 si trova a dover convivere con un’eredità che potremmo definire "ingombrante". Il primo Bloodlines, uscito nel 2004 sotto la firma di Troika Games, non fu un successo commerciale, ma divenne presto un punto di riferimento culturale: un’opera capace di fondere libertà ruolistica, scrittura adulta e dilemmi morali in un’esperienza che ancora oggi viene considerata da molti come esempio di profondità narrativa nel videogioco occidentale. Era fragile, instabile, con qualche bug, ma anche libero, coraggioso e forse addirittura imprevedibile.

Nel raccogliere un’eredità tanto ingombrante, The Chinese Room adotta un approccio radicalmente differente, scegliendo di reinterpretare il mito piuttosto che imitarlo. Il nuovo Bloodlines 2 rinuncia a parte della libertà sistemica che caratterizzava l’originale per abbracciare un’impostazione più lineare, più narrativa e più cinematografica. La Seattle innevata in cui si svolge la vicenda si presenta come uno scenario di straordinaria eleganza visiva: una città sospesa tra malinconia e immobilità, dove la bellezza dell’immagine si accompagna a una percezione costante di vuoto. L’atmosfera funziona, la regia suggerisce intenzioni autoriali precise, ma la sensazione di libertà progressivamente svanisce, sostituita da una direzione che preferisce condurre piuttosto che lasciare agire.

All’interno di questa cornice estetica si inserisce il tentativo di ridefinire il linguaggio del vampiro nel videogioco contemporaneo. In questo senso, Bloodlines 2 condivide con Vampyr di Dontnod l’ambizione di esplorare la fame come metafora morale, trasformando l’atto del nutrirsi in un gesto carico di conseguenze etiche e narrative. Tuttavia, se Vampyr fondava la propria efficacia sull’immediatezza della scelta e sull’impatto diretto delle azioni del giocatore, Bloodlines 2 preferisce mantenere una distanza interpretativa.

È in questa distanza, nella separazione tra esperienza e rappresentazione, che si misura la frattura più profonda tra il mito e il suo erede: un passaggio di testimone in cui la libertà lascia il posto alla contemplazione, e la notte diventa, più che vissuta, semplicemente osservata da lontano e senza trasporto.

La doppia coscienza del vampiro. Cosa funziona in Bloodlines 2?

La narrazione di Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 è, allo stesso tempo, la sua forza e il suo limite. The Chinese Room, fedele al proprio stile autoriale, costruisce un racconto centrato più sui personaggi e sulle atmosfere che sulle scelte del giocatore. Il protagonista, Phyre, può essere personalizzato sia come uomo che come donna, una decisione che riflette la natura fluida del vampiro e la possibilità di plasmare la propria identità anche nel non-tempo dell’immortalità. La sua mente è abitata da Fabien, un detective Malkavian dall’indole analitica e tormentata, la cui presenza genera un dialogo continuo tra impulso e ragione, potere e coscienza.

L’intreccio iniziale è affascinante: Phyre si risveglia da un lungo torpore e viene catapultato in una Seattle notturna e innevata, dove i clan della Camarilla si contendono il controllo della città. Le prime sezioni di gioco trasmettono efficacemente il senso di spaesamento e curiosità, mentre la doppia prospettiva tra presente e flashback investigativi di Fabien costruisce una tensione costante e sulle prime davvero interessante. Tuttavia, col procedere della storia, la narrazione smette di evolversi davvero: gli eventi si susseguono con coerenza, ma raramente generano un senso di crescita o di conseguenze tangibili. Le scelte di dialogo, le alleanze e gli scontri morali inizialmente sembrano valere qualcosa, ma nella pratica il gioco tende a condurre sempre verso traiettorie simili.

I finali multipli esistono e variano secondo alcune decisioni chiave, ma non si tratta di una vera ramificazione delle possibilità, ovvero quel retrogusto di "what if" che ormai abbiamo imparato ad amare grazie ai vari medium di intrattenimento. Sotto il profilo tematico, Bloodlines 2 si interroga – almeno nelle intenzioni – su chi siano davvero i vampiri.

Non semplici predatori, ma creature sospese tra colpa e desiderio, condannate a una vita di controllo costante per non cedere alla propria Bestia interiore. È un tema centrale del World of Darkness, ma il gioco lo tratta più come suggestione estetica che come esperienza vissuta. La fame, la Masquerade e la perdita di umanità restano concetti evocati, raramente tradotti in meccaniche di gioco. Ciò nonostante, quando la scrittura tocca la fragilità dei personaggi – il peso del potere, la nostalgia dell’umano – Bloodlines 2 ritrova il suo tono più sincero: quello di un dramma gotico intrappolato in un corpo d’azione.

Nel complesso, la storia principale offre circa 25-30 ore di gioco, un tempo sufficiente per apprezzare l’atmosfera ma non per giustificare una seconda partita. È un racconto che si segue con interesse, ma che lascia il retrogusto di un romanzo vissuto in modo più osservato che partecipato.

I vampiri sono potenti ma qui finiscono per essere un po' ... ripetitivi!

Il gameplay di Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 nasce da un’intenzione ambiziosa: unire l’atmosfera lenta e contemplativa tipica di The Chinese Room con l’azione fisica e istintiva del mondo vampirico. Il risultato è un compromesso, a tratti interessante, ma spesso disomogeneo. L’esperienza alterna momenti di intensità a sezioni più rigide, dove il sistema di combattimento e le interazioni ambientali mostrano i limiti di un progetto che sembra non aver trovato un linguaggio comune tra racconto e gioco.

Le fasi d’azione si sviluppano in visuale in prima persona, e la sensazione iniziale è quella di un sistema fluido: Phyre – personalizzabile nel genere e nel clan – può contare su poteri distintivi, detti Discipline, che includono abilità telecinetiche, colpi potenziati e manipolazioni mentali. Tuttavia, l’equilibrio tra spettacolarità e strategia non sempre funziona. I poteri sono potenti, ma l’intelligenza artificiale elementare e i pattern ripetitivi dei nemici riducono l’impatto tattico dei combattimenti. Dopo alcune ore, si tende a combattere d’istinto più che per scelta, ripetendo le stesse combinazioni di attacco e schivata.

L’assenza di armi tradizionali accentua questo effetto di monotonia. Phyre può impugnare armi trovate nell’ambiente, ma solo temporaneamente: la progressione si basa quasi esclusivamente sull’uso delle Discipline e sulla Sete, l’atto di nutrirsi del sangue delle vittime per ricaricare energia e poteri. Un concetto narrativamente forte, ma tradotto in meccanica senza vera tensione. Nel tabletop originale e nel primo Bloodlines, la sete era un costante bilanciamento tra sopravvivenza e morale; qui diventa una routine funzionale, priva del peso simbolico che dovrebbe accompagnare ogni morso.

Anche la struttura del mondo di gioco incide sulla percezione del gameplay. Seattle è suddivisa in quartieri semiaperti, esplorabili con una certa libertà ma poveri di interazioni significative. L’esplorazione si riduce a cercare collezionabili o missioni secondarie, spesso di tipo “vai-lì e combatti”. Lo stealth, alternativa teorica all’approccio diretto, soffre di una gestione semplicistica e diventa a tratti persino noioso alla lunga: i nemici reagiscono poco al rumore e dimenticano rapidamente la presenza del giocatore, annullando la tensione che dovrebbe caratterizzare la caccia notturna.

Nonostante tutto, Bloodlines 2 riesce a offrire momenti di puro coinvolgimento quando narrazione e meccanica si incontrano, come durante gli scontri tra clan o le sequenze in cui i poteri vengono usati per manipolare l’ambiente. In quei frangenti, il gioco ricorda perché il mito dei vampiri funziona ancora: non per la forza, ma per il controllo, per la capacità di dominare senza essere visti. Purtroppo, sono momenti isolati in un’esperienza che tende a ripetersi troppo presto, lasciando la sensazione di un gameplay costruito attorno a un’idea forte ma non pienamente realizzata.

Seattle è affascinante ma priva di mordente

Giocato su PC equipaggiato con una RTX 4060 Ti, Vampire: The Masquerade – Bloodlines 2 mostra un comparto visivo che vive di contrasti: un motore grafico capace di creare scorci suggestivi e texture di qualità discreta, ma anche una realizzazione complessiva che tradisce le difficoltà di sviluppo. Seattle, protagonista silenziosa del gioco, è immersa in una luce fredda e lattiginosa, quasi sempre avvolta dalla neve. L’atmosfera funziona: il riflesso dei neon sulle pozzanghere, la foschia che deforma le strade, i toni metallici dei palazzi restituiscono un senso di immobilità e decadenza. Tuttavia, dietro la prima impressione, emergono limiti evidenti.

Le performance, anche su una configurazione moderna, oscillano in modo irregolare. Con impostazioni grafiche “Ultra” e DLSS attivo, il frame rate si mantiene stabile solo in spazi chiusi; nei quartieri più ampi o durante gli scontri, cali improvvisi portano sotto i 60 fps, segno di un’ottimizzazione ancora acerba. Gli effetti particellari – in particolare la neve e la nebbia dinamica – sono suggestivi, ma gravano pesantemente sulla GPU. Anche il ray tracing, pur disponibile, offre benefici minimi in termini di resa luminosa rispetto al costo prestazionale.

Sul piano artistico, The Chinese Room conferma la propria abilità nel comporre immagini più che mondi. Ogni ambiente è studiato come un fotogramma cinematografico: le luci al sodio, le insegne spente, i colori desaturati raccontano una città morta dentro, coerente con il tema della stasi immortale dei vampiri. Tuttavia, la densità visiva non è accompagnata da una pari vitalità interattiva. Gli NPC risultano statici, ripetuti, spesso immobili nelle loro routine. La città affascina a distanza, ma perde realismo appena la si attraversa.

Un’altra criticità riguarda la gestione delle risoluzioni: nei test non è emerso un supporto completo per monitor ultrawide. I video in-game e i filmati pre-renderizzati presentano bande laterali nere, interrompendo l’immersione e segnalando una gestione poco curata dell’aspect ratio. È un dettaglio tecnico, ma che pesa in un titolo dove l’immagine è parte integrante del linguaggio narrativo.

In definitiva, la versione PC di Bloodlines 2 offre un’esperienza visiva affascinante, ma fragile. Riesce a evocare la malinconia e l’eleganza del mondo vampirico, ma fatica a tradurla in coerenza tecnica. L’occhio resta colpito, ma il frame rate e i limiti dell’engine ricordano costantemente che questa notte, per quanto splendida, non è priva di crepe.