Monster Menu: The Scavenger’s Cookbook, gioie e dolori di un pozzo senza fondo – Recensione Switch

La recensione del dungeon crawler culinario di Nippon Ichi Software, tutto arrosto e niente fumo

di Jacopo Retrosi
Monster Menu: The Scavenger’s Cookbook è l’ultima fatica di Nippon Ichi Software ad approdare sui lidi nostrani. Disponibile dal gennaio dello scorso anno nel Sol Levante, il titolo debutterà da noi il prossimo 26 maggio su Nintendo Switch, PlayStation 4 e 5. 

Il dungeon crawler con esplorazione in tempo reale e combattimenti strategici a turni combina una gestione libera del party in stile Etrian Odyssey con la Foresta Purezza del primo Pokémon Mystery Dungeon, quella maratona infame di 100 piani in cui si era costretti ad entrare al livello 1 e senza oggetti, ed è più o meno quello che accade qui.  

Essere sconfitti significa tornare al punto di partenza e perdere bottino e punti esperienza, ma c’è un twist: siamo completamente isolati dal mondo, non c’è una locanda a cui fare ritorno o un negozio in cui rifornirsi; come sopravvivere dunque? Ma ovviamente mettendo sotto i denti qualunque cosa capiti a tiro, non importa l’odore, il sapore o la provenienza. Ed è questo il perno attorno cui ruota l’intera esperienza offerta da Monster Menu: The Scavenger’s Cookbook, come suggerisce il nome d’altronde: cucinare per sconfiggere mostri, sconfiggere mostri per cucinare. Sarà la ricetta giusta? 


CUCINA FORSE IMPECCABILE, MA MANCANO TAVOLI E SEDIE 

Il primo impatto con Monster Menu non è esattamente dei migliori: i filmati di gioco sono immagini statiche montate in sequenza (realizzate con il modesto motore grafico, manco illustrazioni ad hoc), non ci sono dialoghi, inteso sia come doppiaggio che come interazioni tra personaggi, e l’unica narrazione avviene tramite testo a schermo, il più delle volte su sfondo nero. Le produzioni NIS non vengono ricordate per il budget milionario, ma l’impressione è che qui le risorse degli sviluppatori fossero meno del solito; arrangiarsi è uno dei capisaldi del titolo, è in tema se non altro. 

Anche la storia è molto rarefatta: il nostro generico protagonista è intrappolato in un dungeon, senza vie d’uscita o contatti con l’esterno; se muore, una forza misteriosa lo rispedisce dritto all’ingresso. Il breve tutorial mette subito in chiaro che con fame e mostri non si scherza, poi si procede alla creazione del party, e qui un’altra stranezza: le decisioni compiute dal giocatore in questo preciso istante sono definitive. C’è una cura maniacale per configurare posa e miniature per l’interfaccia dei personaggi, ma non è possibile aggiungere, togliere o cambiare membri in corso d’opera, né modificare aspetto o classe. 

Ciò significa che se volessimo variare specializzazione o guardaroba siamo costretti a ricominciare l’avventura daccapo, non una scelta di design felice per quello che a conti fatti è un roguelike, studiato per ripetere a oltranza gli stessi livelli mentre ci si migliora poco alla volta; per fortuna si può almeno regolare la difficoltà. 


MONSTER CHEF 

L’obiettivo di Monster Menu è semplice: arrivare in fondo al dungeon, addentrandosi nei suoi anfratti in regioni via via più pericolose. I piani sono distinti in biomi, 10 per “tranche”, al cui termine ci aspetta un boss; farlo fuori implica sbloccare un checkpoint da cui ripartire nelle partite successive, ma poiché in tal caso si è al livello 1 non sempre la cosa è fattibile (il primissimo mostro è l’unico vero scoglio, poi si torna rapidamente a regime). 

Ogni area pullula di creature ostili e materiali da raccogliere, e oltre alla salute è necessario tenere d’occhio i livelli di calorie e idratazione della squadra, che scendono progressivamente nel tempo oppure utilizzando abilità in battaglia. Tra un piano e l’altro è possibile mettere su tenda per far scorrere il tempo (di notte i mostri sono più pericolosi) e rifocillarsi per curate le ferite e ripristinare le energie perdute; e qui finalmente Monster Menu mostra il meglio di sé. 

Ogni risorsa può essere preparata con uno degli utensili da cucina in proprio possesso (pentole, padelle, vaporiere...), e combinata con altri ingredienti per dar vita a pietanze dagli effetti più disparati. Carne, pesce, frutta, verdura, funghi, erbe, insetti, persino sassi, legno, paglia e organi, tutto può essere trattato e consumato, e la qualità e la freschezza delle materie prime influenza il risultato finale. 

 La cura riposta da Nippon Ichi Software in questo aspetto ha dell’incredibile: una semplice larva può essere infilzata su un bastoncino e cotta sulla griglia per uno spiedino, oppure stufata per un gulasch “alternativo”, o ancora essiccata e triturata per ottenere della farina, quindi lavorata e bollita per una zuppa di udon, magari con dell’acqua prima portata in ebollizione per eliminarne le impurità... L'assortimento di piatti e varianti sul tema è davvero notevole, e proseguendo l’esplorazione si sbloccano ricette ancora più elaborate ed efficaci. Si tratta senza dubbio del punto di forza del titolo, ma forse anche del suo limite più grande. 


FAME CHIMICA 

La componente culinaria di Monster Menu è interessante e ricca di sfaccettature, ma in definitiva secondaria ai fini del gameplay. Vero, è possibile cucinare vivande e mangiarne all’infinito per bonus sempre maggiori, utilissimi per i piani che verranno, ma non c’è nulla di persistente, e gran parte delle scorte sono transitorie, complici la capienza limitata dell’inventario e la deperibilità degli ingredienti. 

Non importa quanti quintali di hamburger o strani decotti inglobino i personaggi, tutto andrà perduto non appena si torna all’accampamento; non ci sono abilità, accessori o percorsi esclusivi riservati ad abbuffate da infarto o manicaretti di lusso, e non c’è modo di conservare le proprie creazioni in vista degli scontri più ardui, boss in primis, dove la difficoltà ha picchi abbastanza disonesti pur di ricacciarci indietro.

In linea con la tradizionale filosofia NIS, in Monster Menu un piatto si traduce in numeri, numeri che rimpolpano le statistiche (offensive, difensive, resistenze ad elementi e malus...), e che aiuteranno la raccolta di nuove fonti da cui estrarre numeri più grandi, in un ciclo senza fine e un po' tedioso alla lunga. È una pratica che si intraprende con curiosità, ma che si tramuta rapidamente in un “male necessario” per tirare a campare. Non è strano passare più tempo a rovistare svogliati il ricettario davanti al falò che non a zonzo nel dungeon, e questo perché, tolta quella letterale, di carne al fuoco ce n’è veramente poca. 


E SE NON HO FAME? 

Il level design è piuttosto insipido, e non aiuta né l’esplorazione, monotona già dopo una manciata di sessioni, complici l’assenza di musiche di sottofondo e le 2-3 frasi ripetute ad nauseam dai personaggi, né i combattimenti, che avvengono sulla stessa mappa di gioco; ciò accelera le transizioni, ma a discapito di qualunque opzione tattica. Il ventaglio di abilità tra cui scegliere è limitato, per non parlare delle sue applicazioni; l’IA carica a testa bassa chiunque gli capiti a tiro.  

Si vince se le statistiche del party sono superiori o comunque paragonabili a quella dei mostri, e magari si è in possesso di quel paio di resistenze ideali per l’occasione, ottenute abbuffandosi poco prima. In caso contrario, mancano proprio gli strumenti per spuntarla; in Monster Menu la strategia purtroppo non è di casa. 

L’unica nota di colore quando non si è ai fornelli è la possibilità di divorare sul posto i cadaveri dei mostri abbattuti, e persino quelli degli alleati; tuttavia, se si è costretti a sprecare un turno di battaglia per spazzolare carcasse la situazione non è delle migliori, a prescindere. In altre circostanze, tanto vale mettere tutto in saccoccia e ricavarci uno spuntino decente.