Donkey Kong Bananza, recensione: il platform 3D che balla su Switch 2
Siete pronti a spaccare tutto con DK e Pauline?
È passato poco meno di un mese dall’arrivo di Nintendo Switch 2 accompagnato da Mario Kart World, gioco decisamente pesante in termini di attese e aspettative per accompagnare il lancio. Benché il tempo sia volato provando i nuovi tracciati e le nuove meccaniche del racing di Mario, non può esserci console Nintendo senza platform e questa volta il ruolo di gran cerimoniere è toccato a Donkey Kong e la sua Bananza, oltre dieci anni dopo l'ultima apparizione originale risalente a Donkey Kong Country: Tropical Freeze, pubblicato nel 2014 su WiiU (e rieditato nel 2018 su Switch).
La Bananza anti-corporation di Donkey Kong
Dall’ultima apparizione del grintoso scimmione, creato da Shigeru Miyamoto come villain di Mario e divenuto nel tempo una delle icone della grande N, diverse cose sono cambiate. A partire dal suo aspetto, che già da Mario Kart World è molto più vicino alle fattezze viste in Super Mario Bros. - Il film. Ma non solo, Nintendo questa volta ha deciso di fare tutto in casa, sostituendo in cabina di regia gli americani di Retro Studios, autori dei due apprezzatissimi platform 2D per Wii, con la divisione interna di Nintendo EPD (Entertainment Planning & Development) che in passato si è occupata di Super Mario Odyssey.
Nuovo look, dunque, e nuove avventure. Non che Donkey ne sentisse il bisogno: a lui bastano un po’ di banane (ok, tante) e un posticino tranquillo dove godersele, ovvero la prosperosa Lingottisola. Questo idillio tanto agognato viene tuttavia interrotto dall’arrivo in scena della Void Company, impresa ben poco etica intenzionata a svuotare la ricca isola della sua risorsa più preziosa: le banane. Ovviamente, i metodi estrattivi ben poco delicati della Void Company causano conseguenze inattese, come lo sprofondamento dell’isola verso il nucleo del pianeta. Il che sarebbe certo un problema, se non ci fosse da quelle parti un certo scimmione pronto a sistemare la situazione. Ok, ok: uno scimmione così affamato da scendere fino al nucleo del pianeta per recuperare le sue amate banane (e dare due calci nel sedere a Void e ai suoi sgherri strada facendo).
Donkey Kong spacca con la Bananza
Come probabilmente già saprete, quelli del paragrafo precedente non sono i soli cambiamenti rispetto al passato recente, né i più evidenti. Donkey Kong Bananza segna infatti un balzo nel 3D alla Super Mario Odissey, appunto, oltre un quarto di secolo dopo il primo tentativo di Rare su Nintendo 64. Lo spunto di trama è l’occasione per scatenare il potere distruttivo di Donkey Kong, letteralmente. Gli scenari che compongono questa discesa (non dantesca, ma donkeyesca!) infatti sono quasi interamente malleabili: al di alcuni strati “strutturali” di metallo intangibile, il resto dei materiali che compongono lo scenario possono essere sbriciolati sotto un numero variabile di colpi inferti da Kong, a seconda della loro durezza, rivelando spesso monete o altri premi. Questa opera di distruzione non è necessariamente fine e sé stessa, ma guidata dal celebre battito a terra di DK che rivela gli oggetti nascosti nei paraggi può essere utilizzata per andare alla ricerca di tesori nascosti o accessi ad aree segrete. Muoversi all’innterno delle montagne è piuttosto frequente in Donkey Kong Bananza .
E ciò ci porta a uno dei punti più controversi di Donkey Kong Bananza e non parliamo dei famigerati quanto semi-impercettibili (a meno che non abbiate l’occhio bionico) cali di frame rate, bensì alla visualizzazione dello scenario quando ci si trova all’interno di muri di pietra o altri grossi oggetti. Mentre il nostro DK infatti si fa strada a cazzotti, siamo infatti liberi di posizionare la telecamera dove meglio ci aggrada, anche all’interno della roccia stessa. L’effetto è un po’ quello dei primi giochi 3D, quando si finiva all’interno dei poligoni vuoti per errore: raccontarlo a parole è complicato, è come se la materia intorno a DK si facesse nebbia che il nostro protagonista infrange colpo su colpo, attraverso la quale in trasparenza si può intravedere il resto dello scenario retrostante. Insomma, lo spaesamento è inevitabile e a volte si è preparati, perché si decide volontariamente di avventurarsi in profondità a caccia di qualcosa, altre volte invece accade per caso, perché i grossi pugni di Donkey Kong ci conducono dentro un oggetto o parte dello scenario senza rendercene conto, e in quel caso è facile commettere un errore, ad esempio infrangere la parete opposto e non notare un precipizio, finendo così nel vuoto (o peggio nella lava!)
DK salta e balla, ma soprattutto balla
Bene, a questo punto però vi starete chiedendo cosa sia la Bananza del titolo: mistero svelato, è una danza (sì, come la paranza, so che la state canticchiando) che una volta appresa consente a DK di sfruttare il suo potere per farsi strada nel mondo di gioco. C’è tanta musica in Donkey Kong Bananza , merito anche di Pauline (nessun spoiler visto che lo rivelano persino gli spot TV), comprimario già apparso in Super Mario Odyssey che qui fa il suo ritorno per aiutare il nostro protagonista. Salvata da DK, Pauline decide di aiutare il suo nuovo eroe appollaiandosi sulla sua spalla (da cui può essere controllata da un secondo giocatore) e aiutandolo a trovare la strada canticchiando: premendo il dorsale sinistro appare infatti a video un flusso di note che mostra la via verso l’obiettivo successivo. Il canto di Pauline serve inoltre per liberare alcune aree dello scenario, contaminate da Void e i suoi lestofanti, ma anche per intrattenere i Venerabili, giganteschi animali che incontriamo in alcuni livelli e che possono far dono di alcune particolari Bananza alla nostra coppia di eroi. Questo ballo dal nome azzeccatissimo infatti consente a DK di trasformarsi temporaneamente in versioni potenziate di altri animali, sfruttando le loro caratteristiche: corsa dirompente, brevi voli e persino nuove interazioni con la scenario consentite dalle trasformazioni nei livelli pù avanzati.
Inevitabilmente, il passaggio alle tre dimensioni e i livelli esplorabili in lungo e in largo, persino al loro interno, portano a un quarto ancor più grande cambiamento, ovvero il passaggio da un gameplay basato sulla precisione millimetrica e tempi di reazione rapidissimi a un altro in cui bisogna trovare la strada verso il prossimo punto di interesse, spesso sfruttando l’ultima abilità acquisita. C’è più avventura e meno platform, più narrazione e meno precisione. Accade, in Donkey Kong Bananza, qualcosa che di rado si verifica in un gioco Nintendo: si perdono vite o cuori non esclusivamente per colpe proprie, ma anche per motivi esterni. Il colpevole principale è la telecamera, che può sportarsi ovunque, anche all’interno di superfici solide e quando ciò avviene inavvertitamente genera un senso di spaesamento in situazioni in cui un singolo piede in fallo può risultare fatale nelle situazioni più concitate.
Del resto la perfezione non è di questo pianeta e Nintendo nel complesso è riuscita a introdurre e rendere questa meccanica mai sfruttata da nessun altro con questa estensione non solo parte integrante del gioco, ma anche divertente per la maggior parte del tempo. Spaccare tutto a colpi di manate o vedere lo scenario sgretolarsi e mutare sotto i nostri colpi è spesso uno spasso e si finisce per farlo per puro gusto della scoperta, trovandosi meravigliati per aver scovato una banana (servono per migliorare le proprie abilità) in una grotta nascosta, incontrata per caso mentre si era intenti a rasare al suolo una montagna. E nonostante sia possibile fare a pezzi quasi tutti, non mi è mai capitato di non poter più raggiungere una zona fondamentale per aver distrutto la strada che serve a raggiungerla. E di materiale da distruggere ce n'è parecchio: ciascuno dei numerosi livelli è declinato secondo un tema differente e il mondo è così ampio che anche le sporadiche sezioni di backtracking volute dalla trama non pesano. C'è persino un momento racing su circuito in groppa a Rambi!
Il solito DK in un mondo nuovo
Il passaggio al 3D e a questa nuova originale formula non è stato indolore, ho già accennato a qualcosa poco fa e vedremo tra poco cosa intendo più nel complesso, ma il caro vecchio DK è sempre lui. Tornano infatti le mosse che l’hanno reso celebre declinate in nuove concezioni: il surf sulla roccia, ad esempio, oltre ad essere un’attività di per se sempre molto spettacolare, serve anche a superare superfici pericolose. Mancano invece i suoi comprimari storici, presenti per fugaci apparizioni che scaldano i cuori di noi nostalgici, ma sostituiti nel ruolo di aiutanti di viaggio da Pauline e dalla sua musica. Più in generale, giocando ho avuto l’impressione di assistere per la prima volta a una convergenza artistica e stilistica tra i grandi brand Nintendo. Il look e il feeling di questo Donkey Kong Bananza inevitabilmente si sono spostati verso quello della serie in 3D di Mario, visto che gli autori sono gli stessi, ma diversi altri elementi mi hanno dato l’impressione di cercare un avvicinamento stilistico agli ultimi capitoli di Zelda, tanto nella resa dei materiali (e qui potrebbero esserci motivi tecnici), quanto nell’iconografia e nello stile grafico. Forse qualcosa bolle in pentola e forse semplicemente si è voluto evocare una sensazione di familiarità per chi arriva al fumetto dal cinema, vai a sapere.
C’è un dettaglio però che mi ha stupito più altri: per la prima volta non ho ritrovato quella pulizia totale a cui sono stato abituato dai giochi Nintendo, quell’eccellenza oltre ogni livello di qualità raggiungibile da altri nella rifinitura dei dettagli. Certo i cali di frame rate sono trascurabili e senza dubbio il clipping della telecamera all’interno nei materia è una scelta di gameplay, per quanto spaesante, che Nintendo ha saputo gestire seguendo un'idea ben chiara, che può piacere o meno. Però c’è anche un salto piuttosto brusco nella difficoltà, che prima accompagna per mano il giocatore e poco prima della metà lo abbandona di colpo, tornando più vicina aile sfide classiche della saga. E guardando bene, qualche altra sbavatura qua e là si trova, come alcuni punti dove si può cadere consumando inutilmente palloncini e bibite, senza speranza di poter tornare sani e salvi sulla terra ferma se non perdendo una vita. Insomma, i giochi diventano sempre più grandi e complessi e anche Nintendo per la prima volta deve concedersi qualche virgola fuori posto: certo lo fa all’interno di un gioco complicatissimo da gestire sotto ogni punto di vista, dove ogni azione del giocatore modifica i voxel che compongo lo scenario, e bellissimo a vedersi, però è un segno dei tempi.