Warhammer 40,000: Dawn of War – Definitive Edition, la recensione di un'edizione che purtroppo non convince

Vent’anni dopo l’uscita del primo capitolo, Relic ripropone Dawn of War con una Definitive Edition che celebra un classico RTS, ma lascia anche l’amaro in bocca per un restauro incompleto.

di Simone Rampazzi

Vent’anni fa Warhammer 40,000: Dawn of War apriva una breccia nel mondo degli strategici in tempo reale, trasformando un genere che spesso oscillava tra rigidità gestionale e caos tattico in un’esperienza capace di fondere profondità strategica e immediatezza spettacolare. Non era soltanto un RTS ambientato nell’universo grimdark di Games Workshop, ma un titolo che sapeva restituire l’essenza stessa del 41º millennio: guerre senza fine, eroi destinati al sacrificio e la sensazione che ogni battaglia fosse parte di un conflitto più ampio, ciclico e inevitabile. Per molti giocatori l’apertura cinematica, con il Dreadnought che emerge dalla nebbia e falcia orde di Orki, rimane un ricordo formativo e un simbolo di appartenenza alla cultura videoludica di inizio Duemila.

La Definitive Edition, pubblicata nell’agosto 2025 da Relic Entertainment, si presenta come celebrazione di quell’eredità. In un unico pacchetto racchiude le quattro campagne principali — dall’originale Dawn of War fino a Soulstorm — insieme a nove fazioni complete e oltre cento mappe, arricchite da un comparto tecnico aggiornato e dal supporto ufficiale al modding, autentico motore della longevità della serie. L’obiettivo dichiarato è duplice: restituire ai veterani il fascino dell’originale e, al tempo stesso, offrire alle nuove generazioni l’occasione di avvicinarsi a uno degli RTS più influenti della storia recente.

L’operazione, tuttavia, solleva inevitabili ambiguità. Non è un remake — che ricostruisce dalle fondamenta un titolo storico — ma una riedizione intermedia che cerca di bilanciare nostalgia e aggiornamento tecnico. Da un lato emergono miglioramenti tangibili: texture più definite, supporto ai sistemi a 64 bit, interfaccia ripensata per i monitor moderni, distanza di camera ampliata che rende le battaglie più leggibili, oltre a un mod manager integrato capace di valorizzare vent’anni di creazioni della community. Dall’altro lato permangono scelte conservative: l’assenza di una rielaborazione dei filmati in CG, alcune criticità nel pathfinding e la sensazione diffusa che Relic abbia preferito un’operazione celebrativa piuttosto che un restauro profondo.

In questo spazio intermedio si gioca il destino della Definitive Edition: un ritorno sincero a un classico intramontabile o un’occasione mancata che avrebbe meritato più coraggio?

La campagna dei Corvi Sanguinari continua ... ancora oggi!

La forza di Dawn of War non risiedeva soltanto nelle meccaniche di gioco, ma nella sua capacità di intrecciare narrazione e strategia in un modo che all’epoca risultava sorprendentemente fresco. La campagna originale ci metteva nei panni dei Corvi Sanguinari, guidati dal carismatico Gabriel Angelos, in una storia che mescolava intrighi, corruzione e battaglie su larga scala. Non era un semplice pretesto narrativo per giustificare le missioni: la trama dava significato a ogni conquista, a ogni punto strategico catturato, a ogni sacrificio richiesto sul campo di battaglia.

Il fascino della struttura episodica risiedeva nella sua varietà: missioni di assalto diretto si alternavano a fasi più ragionate di difesa o infiltrazione, mantenendo costante la tensione. Il rapporto tra Angelos e Isador rappresentava uno dei cardini narrativi, reso memorabile da dialoghi incisivi e da un doppiaggio evocativo per l’epoca.

Le espansioni arricchivano ulteriormente questo quadro. Winter Assault metteva in scena il dramma della Guardia Imperiale in un conflitto che coinvolgeva anche gli Eldar, offrendo una visione corale dello scontro tra Ordine e Disordine. Con Dark Crusade la formula si espandeva grazie a una mappa a territori in stile Risiko, che garantiva un’elevata rigiocabilità e introduceva due nuove fazioni di peso, i Necron e i Tau. Infine, Soulstorm completava il mosaico narrativo con le Sorelle Guerriere e gli Eldar Oscuri, aggiungendo un ulteriore livello di varietà. Tuttavia, questa espansione mostrava anche i limiti più evidenti della serie: una narrazione meno incisiva, qualche forzatura nello sviluppo delle missioni e un bilanciamento imperfetto che ancora oggi divide la community.

La longevità era e rimane un punto di forza indiscusso. Non solo per la quantità di contenuti e di campagne, ma anche per la caratterizzazione delle fazioni, capace di dare identità e valore a ogni nuova partita. Il multigiocatore contribuiva ad ampliare questa dimensione, sostenuto da una comunità appassionata e da un’attività di modding che ha esteso la vita del gioco ben oltre le aspettative. È questa combinazione di trama, varietà e supporto della community a rendere ancora oggi la narrazione di Dawn of War unica e capace di parlare tanto ai veterani quanto ai nuovi giocatori.

Il campo di battaglia è sempre quello di Dawn of War

Alla base di Dawn of War c’è un sistema che ha saputo distinguersi fin dal 2004 per la sua capacità di fondere immediatezza e profondità. Lontano dai classici RTS incentrati sulla raccolta intensiva di risorse, Relic puntò su un approccio più diretto: la conquista di punti strategici disseminati sulla mappa. Catturandoli, il giocatore ottiene requisizione, la valuta necessaria per addestrare unità e potenziare le strutture. Una scelta che imprime un ritmo più rapido alle partite, costringendo a mantenere la mappa costantemente contesa e dinamica.

Le unità degli Space Marine, cuore della campagna originale, incarnano perfettamente questo equilibrio: ogni squadra può essere rinforzata o personalizzata sul campo con armi speciali — dai flamer ai missili anticarro — garantendo flessibilità tattica senza interrompere il flusso di gioco. Allo stesso modo, la meccanica del morale introduce un ulteriore livello di strategia: quando una squadra perde coesione, rischia di fuggire invece di combattere, obbligando il giocatore a gestire non solo la forza bruta ma anche il rendimento psicologico delle truppe.

La varietà delle fazioni amplifica queste dinamiche. Gli Orki puntano su numeri e aggressività, gli Eldar su mobilità e precisione, mentre il Caos introduce elementi demoniaci e corruzione. Ogni esercito costringe a un diverso stile di gioco, evitando la sensazione di ripetitività anche nelle lunghe campagne.

Il risultato è un RTS che non vive solo di costruzioni e assalti, ma di scelte costanti sul campo: difendere i punti di controllo, rischiare un assalto con le truppe migliori, bilanciare risorse e tempistiche di potenziamento. È questa miscela a rendere il gameplay di Dawn of War ancora oggi sorprendentemente solido, anche prima di considerare le migliorie introdotte con la Definitive Edition.

Una remastered convincente?

La Definitive Edition di Dawn of War porta con sé la promessa di restituire nuova vita a un classico senza snaturarne l’identità. Il risultato, però, è sfaccettato e divide la community. Da un lato ci sono miglioramenti tangibili: texture in alta definizione, un’illuminazione più accurata che valorizza superfici e unità, ombre meglio definite e una resa generale che mantiene intatto lo stile visivo originale, ma con una nitidezza superiore. L’aggiunta del supporto ai monitor widescreen e 4K, insieme alla possibilità di allargare la visuale di gioco grazie a una camera più flessibile, rende le battaglie più leggibili e cinematografiche. A ciò si somma l’integrazione di un mod manager ufficiale, una scelta che non solo semplifica la vita ai veterani, ma garantisce compatibilità con vent’anni di contenuti creati dalla community.

Tuttavia, non mancano elementi critici. Alcune delle cutscene storiche non sono state rimasterizzate: se la celebre introduzione originale rimane intatta, altri filmati appaiono semplicemente adattati al formato 16:9, con proporzioni distorte che spezzano l’impatto visivo. Anche il pathfinding, pur dichiarato migliorato, offre esperienze contrastanti: alcuni giocatori hanno notato progressi significativi soprattutto per i veicoli, altri invece riportano gli stessi problemi di sempre, con unità che si incastrano o si disperdono.

Sul piano della fluidità, le impressioni sono altrettanto miste: se da un lato il titolo regge bene carichi più pesanti, in certe configurazioni non mancano calo di frame e crash occasionali, che incrinano la promessa di stabilità su hardware moderno. Questo alimenta l’idea che Relic abbia preferito una rinfrescata estetica piuttosto che un lavoro profondo di rifinitura.

La valutazione finale, dunque, dipende molto dalle aspettative. Chi desiderava un remake radicale resterà deluso: il cuore dell’esperienza rimane quello del 2004, con tutti i suoi pregi e difetti. Chi invece cercava un modo pratico e moderno per rivivere le campagne, con una veste grafica adeguata ai tempi e una solida base di contenuti, troverà nella Definitive Edition un pacchetto convincente, seppur non privo di compromessi. È una celebrazione sincera, ma anche un promemoria di quanto fragile possa essere l’equilibrio tra nostalgia e innovazione.