Bye Sweet Carole, la recensione della fiaba oscura di Chris Darril che ridisegna l’horror italiano

L’autore di Remothered firma una fiaba oscura che parla di crescita, dolore e bellezza, fondendo l’estetica dei classici Disney con la tensione dell’horror psicologico.

di Simone Rampazzi

Nel mondo dei videogiochi contemporanei, dove la velocità e il bisogno di stupire sembrano dettare le regole, Bye Sweet Carole di Chris Darril, sviluppato da Little Sewing Machine sceglie consapevolmente di muoversi in direzione opposta. È un gioco che chiede tempo e attenzione, che invita chi gioca a osservare con calma e a lasciarsi trasportare da un ritmo narrativo lento, costruito con cura e sensibilità. Dietro la forma elegante di una fiaba animata, fatta di disegni realizzati a mano e colori tenui, si nasconde una storia che parla di perdita, paura e riscatto, raccontata però con un tono gentile, quasi affettuoso, che rende ogni momento più intimo. L’impressione è quella di assistere a un film d’animazione del passato, ma con uno sguardo adulto e consapevole, dove la bellezza e la malinconia convivono nella stessa immagine.

Darril, già autore della serie Remothered, decide qui di allontanarsi dall’orrore diretto e viscerale per raccontare qualcosa di più profondo. Se nei suoi lavori precedenti la tensione nasceva dal buio e dalla violenza, in Bye Sweet Carole prende forma in modo più sottile, quasi poetico. La paura non è più solo ciò che minaccia, ma ciò che rimane, la traccia di un ricordo, la sensazione che qualcosa di irrisolto continui a vivere dentro di noi. È un tipo di orrore che non cerca di colpire, ma di restare, che si insinua nei gesti, nei silenzi e negli sguardi della protagonista, chiedendo al giocatore di partecipare emotivamente al suo viaggio.

Nel mio modo di leggerlo, Bye Sweet Carole ricorda il Labirinto del Fauno di Guillermo del Toro, non tanto per lo stile visivo, quanto per la relazione tra realtà e immaginazione. Come nel film, anche qui l’universo fantastico può essere un rifugio, un delirio o una forma di verità, e il confine tra questi mondi si dissolve poco a poco, lasciando spazio al dubbio e alla riflessione. L’immaginazione diventa allora un linguaggio necessario, un modo per sopravvivere al dolore e per dare un senso alla perdita.

Forse è proprio in questo equilibrio tra sogno e paura che Bye Sweet Carole trova la sua forza più autentica. È una fiaba che non consola, ma accompagna; un’opera che parla di crescita, di fragilità e di coraggio, e che ci chiede, con semplicità e senza giudizio, se siamo davvero pronti a guardare dentro ciò che temiamo di più.

La storia di Lana e Carole: realtà e sogno si fondono nell’universo di Bye Sweet Carole

La storia di Bye Sweet Carole si apre come una fiaba d’altri tempi, ma si rivela presto qualcosa di molto più complesso e profondo. Al centro troviamo Lana Benton, una giovane ragazza ospite dell’orfanotrofio Bunny Hall, un luogo che porta con sé la freddezza e le regole dell’Inghilterra di inizio Novecento, ma anche un silenzio pieno di presagi. È in questo contesto che la scomparsa della sua amica Carole Simmons diventa il punto di partenza di un viaggio che va oltre la semplice ricerca di una verità. Lana non indaga soltanto su un mistero esterno, ma affronta, passo dopo passo, le proprie paure, i propri sensi di colpa e la parte più fragile di sé.

Nel corso dell’avventura, la realtà che la circonda inizia lentamente a incrinarsi, e il mondo visibile lascia spazio a un luogo diverso, Corolla, un regno tanto affascinante quanto inquietante. Non è un mondo di fantasia nel senso classico, ma una proiezione del suo stato d’animo, un riflesso interiore che prende forma attraverso le figure mostruose che lo popolano. Il sinistro Mr. Kyn, il gufo Velenia e le creature di pece che si muovono tra le ombre rappresentano i timori e i dolori che Lana non riesce a nominare, trasformandosi in simboli vivi del suo viaggio emotivo. In questo senso, Bye Sweet Carole costruisce un racconto in cui l’orrore diventa linguaggio, e l’immaginazione si trasforma in memoria.

La narrazione procede con calma, alternando momenti di intimità a improvvise tensioni, senza mai forzare il ritmo. Ogni scena è pensata per essere letta, ascoltata e osservata, e ogni ambiente racconta qualcosa di sé: un dettaglio, un oggetto, una lettera lasciata a metà. L’attenzione di Darril per la regia e per la composizione delle inquadrature conferisce al gioco una struttura quasi cinematografica, in cui le emozioni emergono più dai silenzi che dalle parole.

La longevità segue la stessa filosofia: Bye Sweet Carole non misura la sua durata in ore, ma in intensità. È un’esperienza che cresce dentro il giocatore, e che continua anche dopo i titoli di coda, lasciando quella sensazione rara che appartiene solo alle storie raccontate con sincerità. Non cerca di stupire, ma di restare, e lo fa con la grazia delle opere che non hanno bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare. Certo, volendo analizzare il videogioco in senso stretto, si potrebbero discutere a lungo pregi e limiti delle sue meccaniche, ma il vero obiettivo di Chris Darril è un altro: raccontare una storia a ogni costo, senza lasciare che le regole del medium ne imbriglino l’anima.

Pochi enigmi, tanta storia. Bye Sweet Carole è dolce come una caramella ma nasconde un retrogusto amaro quanto necessario

Il gameplay di Bye Sweet Carole si muove con la stessa eleganza con cui racconta la sua storia. Non punta alla spettacolarità o alla complessità dei comandi, ma a creare un legame profondo tra chi gioca e la protagonista. Lana Benton non è un’eroina tradizionale, non combatte e non domina gli eventi: osserva, si nasconde, ascolta, impara a sopravvivere. Questa vulnerabilità, anziché limitare il giocatore, diventa il centro dell’esperienza. Ogni passo, ogni movimento, ogni scelta porta con sé un peso emotivo, come se il mondo stesso rispondesse al suo stato d’animo.

Le meccaniche si basano su un equilibrio raffinato tra esplorazione, enigmi ambientali e momenti di fuga, che ricordano il tono silenzioso e teso dei grandi classici come Another World, Limbo o Inside. In questo senso, Bye Sweet Carole si inserisce in quella tradizione di avventure a scorrimento orizzontale dove l’azione è sempre al servizio del racconto. Gli enigmi non interrompono il ritmo, ma lo accompagnano, spingendo chi gioca a osservare l’ambiente con attenzione, a leggere i segni e a cogliere le sfumature di un mondo che parla anche senza parole.

Con il passare del tempo, Lana acquisisce la capacità di trasformarsi in un coniglio, e questo elemento, apparentemente surreale, apre nuove possibilità di gioco. La metamorfosi non è soltanto una trovata visiva, ma un modo per rappresentare la sua fragilità e, insieme, la sua libertà: in quella forma minuta riesce a superare ostacoli che prima sembravano insormontabili. Allo stesso modo, la presenza di Mr. Baesie, un compagno tanto bizzarro quanto indispensabile, introduce momenti di collaborazione e piccoli puzzle a due, che spezzano la tensione e portano varietà.

Il sistema di controllo è semplice, ma estremamente preciso, e restituisce la sensazione di trovarsi dentro un film animato interattivo. Non ci sono interfacce invadenti, mappe o indicatori a schermo: tutto si affida al ritmo e all’attenzione del giocatore, che impara a leggere la scena, a intuire i pericoli e a riconoscere i segnali dell’ambiente. È un approccio essenziale ma coerente, che favorisce l’immersione e permette di entrare in sintonia con la protagonista. In questo modo, ogni movimento, ogni esitazione, ogni fuga contribuisce a costruire un legame emotivo con Lana. Non si gioca per dimostrare abilità, ma per vivere insieme a lei il peso delle scelte, l’incertezza del momento e il senso di scoperta che accompagna ogni passo verso la verità.

Animazione disegnata a mano e stile Disney, cosa chiedere di più?

Dal punto di vista visivo, Bye Sweet Carole è un lavoro di rara eleganza. Ogni scena sembra uscita da un classico dell’animazione, ma con un’anima più fragile e malinconica. Tutto, dai personaggi ai fondali, è disegnato a mano, con una cura quasi ossessiva che riporta alle origini del cinema d’animazione. Ogni gesto, ogni movimento, ogni variazione di luce è il risultato di un lavoro minuzioso, eseguito fotogramma per fotogramma, come se ogni istante dovesse respirare da solo. Il risultato è un mondo che vive, che pulsa, e che riesce a evocare tanto la meraviglia dei film Disney più classici quanto la sensibilità più cupa e visionaria di autori come Don Bluth, storico animatore che ha lavorato a capolavori come The Secret of NIMH e Anastasia, e Henry Selick, regista di Nightmare Before Christmas e Coraline, maestro nel fondere fiaba e inquietudine.

Il colore gioca un ruolo centrale: i toni caldi e morbidi delle prime ambientazioni si alternano alle ombre più dense e opprimenti di un mondo contaminato dalla pece e dalla cenere prodotta da Mr. Kyn, creando un contrasto costante tra luce e oscurità. Non c’è mai uno stacco netto, ma un passaggio graduale, come se la paura si insinuasse piano nelle immagini fino a trasformarle completamente. In questo equilibrio sottile, la direzione artistica di Darril mostra il suo lato più personale. Ogni scelta visiva racconta un’emozione: la nostalgia, la perdita, la delicatezza dell’infanzia che resiste al tempo. Anche nei momenti più inquieti, l’immagine non diventa mai sgradevole, ma conserva sempre un tocco di grazia, come se il terrore fosse parte integrante della bellezza.

Particolarmente riuscito è anche il lavoro sulle animazioni e sulla regia delle scene, che si avvicina a quella di un film interattivo. La macchina da presa si muove con discrezione, ma sa quando fermarsi per dare peso a un’espressione o a un dettaglio. Persino il modo in cui Lana cammina, corre o si volta comunica emozioni autentiche. A questo si aggiunge un doppiaggio di alto livello, sia in inglese che in italiano, con voci perfettamente calibrate sui toni del racconto.

L’insieme restituisce una sensazione rara: quella di trovarsi davanti a un’opera fatta a mano, costruita con la pazienza e la sensibilità di chi ama ciò che crea. In un panorama dominato da tecniche sempre più automatizzate, Bye Sweet Carole ricorda che l’arte, quando è sincera, riesce ancora a parlare direttamente al cuore.