Recensione Follia: Dear Father

L'esordio Horror di Real Games Machine

di Simone Rampazzi

Da diverso tempo a questa parte, capita sempre più spesso di veder accostato il genere horror al medium videoludico. Una delle possibili cause si può facilmente ritrovare nell’interattività, quel groviglio di sensazioni che il giocatore riesce a “vivere” sulla propria pelle grazie all’immedesimazione, superando la proverbiale quarta parete meglio di un lungometraggio proiettato sul grande schermo.

Il genere horror è inoltre spesso scelto da grandi e piccole software house, se non altro perché tecnicamente aiutano alcune delle fasi più importanti dello sviluppo giocando con delle formule piuttosto semplici: non è la grafica da urlo a colpire maggiormente la sensibilità del giocatore ma, al contrario, si rivela molto più efficace saper dosare musiche e jump scare nella narrazione.

Funziona negli horror, come in qualsiasi altro gioco ben costruito. Ebbene, i -pochi- ragazzi alle spalle di Real Game Machine devono aver tenuto in forte considerazione questo concetto, creandoci intorno il loro esordio videoludico intitolato Follia: Dear Father, disponibile per PC con supporto al VR.

SCAPPA FINCHE’ SEI IN TEMPO

Marcus Pitt è tutto tranne che un ragazzo fortunato. Senza avere nemmeno il tempo di attivare la VPN per lavorare in smartworking, permetteteci l’evasione nel mondo reale ogni tanto, quest’ultimo riceve una strana mail che lo invita a recarsi immediatamente al campus universitario dove lavorano i suoi genitori.

Arrivato sul posto, senza evitare di passare dalla strada secondaria che si rivela il primo di una sequela di errori da non compiere nella vita (figuriamoci negli horror), Marcus si trova davanti a uno spettacolo raccapricciante. Il campus si è trasformato in un luogo di morte e tra i corridoi bui serpeggiano strane entità, o creature, pronte a condurre il protagonista verso una morte ancora più orribile dello spettacolo a cui sta assistendo.

Nessuna informazione, nessun oggetto per difendersi, Marcus è praticamente solo e disarmato di fronte a un nemico nettamente più forte di lui, braccato come nella giungla più inesplorata da animali feroci attratti anche dal minimo rumore. Un po’ come visto in Amnesia o in Outlast, tanto per fare due esempi sul generis, il nostro alter ego è praticamente un foglio di carta gettato in un uragano, capace di affidarsi soltanto alle sue gambe per svignarsela davanti al pericolo ogni dannatissima volta.

Ad accompagnarlo in questo luogo di morte ci penseranno degli oggetti fortuna, tra cui spiccano per utilità una torcia e uno zippo. Mentre la prima ha bisogno di una costante ricarica, rappresentata dalle batterie stilo sparse per l’ambientazione, il secondo ha una riserva di benzina pressoché infinita (il sogno di ogni fumatore) ma tende a illuminare piccole porzioni dell’area di gioco che circonda il giocatore, spegnendosi inoltre tutte le volte che cominceremo a correre.

Più avanti troveremo altri oggetti utili a interagire con l’ambiente circostante, sebbene limitati da azioni ben precise che serviranno al protagonista per sbloccare delle aree decise a monte dagli sviluppatori. Chiaramente non saremo liberi di usare l’oggetto x per caricare di mazzate il nemico y, elemento che, sebbene abbandoni ogni logica di sopravvivenza dell’essere umano medio, riesce a creare il giusto mood ansiogeno per andare avanti coi piedi di piombo, valutando sempre con attenzione ogni mossa al fine di non dover ricominciare più volte la stessa sezione.

Il campus universitario è stato infatti suddiviso in più aree, una scelta che coincide con la possibilità di separare i checkpoint (piuttosto infami, questo va segnalato) in modo che le diverse difficoltà possibili per giocare il titolo, tra facile, normale e hardcore, siano allineate alla tipologia di esperienza ricercata dal giocatore.

LO HAI SENTITO ANCHE TU?

Come accennato poc’anzi, il campus universitario è popolato da creature piuttosto particolari, che sembrano richiamare dei cliché dello zombi posseduto, insomma quei mostri senza anima che non rispettano alcuna regola del galateo, prima fra tutti quella di lavarsi i denti dopo mangiato. La sensazione che emerge si avvicina al gore più spinto, tant’è che la mole di organi e cadaveri sparsi per l’ambientazione non lesinano in merito ai dettagli, mostrando una quantità di organi tali da far impallidire anche il più attento professore di anatomia.

In questo caso il level design si è dimostrato piuttosto curato da cima a fondo, capace insomma di ricreare un luogo reale con la giusta dovizia di particolari, tra cui spuntano anche diversi documenti da collezionare utili a comprendere diversi elementi fondamentali della trama. Quello che però sembra mancare in un titolo come questo è la maggiore interazione con l’ambiente circostante: insomma, Marcus può esplorare ogni zona del campus in cui si trova, ma si limita a spostare qualche cassa, azionare dei generatori di corrente o aprire degli armadi per cercare qualche batteria o kit medico.

Chiaramente una minore interazione serve allo scopo di mantenere alta la tensione, facendoti effettivamente sentire una preda, ma tale limitazione si traduce spesso in scelte piuttosto insensate.

È stata inserita per l’occasione anche qualche parvenza di enigma, rappresentata dalla ricerca di alcune password da usare per aprire delle casseforti, ma anche in quel campo si poteva certamente fare qualcosa di più. Graficamente il motore grafico Unity è stato sfruttato con intelligenza, tant’è che le ambientazioni sono gestite molto bene tra luci e ombre, ricreando la perfetta scena dove spaventarci a morte.

Sebbene alcune scenette siano scriptate, alcuni momenti ci si calma così tanto al punto da perdere quasi totalmente il controllo dei propri sensi, e indovinate un po’ cosa succede!? Un plauso va alla colonna sonora, accompagnata da un’effettistica di campionatura di rumori veramente raccapriccianti.