Zootropolis 2 cambia pelle, ma rimane entusiasmante: la recensione del film Disney
Zootropolis 2 deve obbedire a logiche differenti al precedessore, quasi un decennio dopo, ma dimostra di essere quasi altrettanto brillante.
Più grande, più intricato, più complesso e quasi parimenti entusiasmante: Zootropolis 2 prova che anche quando le necessità di uno studio di trasformare un film in un franchise e di farlo obbedire a logiche aziendali si fanno più pressanti si può (e si deve) mettere il cinema al primo posto e tirare comunque fuori un grande film, divertente e appassionante.
Sono passati nove anni da quando la coniglietta Judy e la volpe Nick rinverdivano la tradizione degli animali antropomorfi in casa Disney con un film originale che, neanche a dirlo, dato il successo raccolto, ha subito dato il via a una serie animata e a questo sequel. Film molto atteso, curato, che ha richiesto quasi un decennio di lavoro per venire realizzato. Nel frattempo in Giappone è arrivato Beastars e nei cinema la saga dei Troppo cattivi e e di Sing: tutte storie più o meno adulte, riuscite e intriganti a partire dallo stesso concetto metropolitano di coesistenza tra specie animali differenti, carnivori ed erbivori, che hanno conosciuto grandi picchi (soprattutto in zona animazione giapponese) ma rimanendo al di qua di quella sintesi perfetta e in meno di due ore messa sul piatto da Disney nel 2016.
Dove siano finiti i nove anni necessari a preparare un sequel lo si capisce immediatamente, sin dalle prime scene di Zootropolis 2, a cui non difetta nemmeno l’ambizione di essere ancora più grande e complesso del predecessore. La metropoli di Zootopia appena esplorata nel primo film viene ulteriormente ampliata, mentre se ne racconta uno degli elementi ingegneristici portanti: le barriere meteorologiche che consentono di preservare i vari habitat uno accanto all’altro. La geniale invenzione è opera di una famiglia di linci molto altolocata Stirpe che per lo zooniversario della fondazione della città decide di mettere in mostra il diario del nonno che progettò e rese possibile nei fatti l’utopia metropolitana di Zootropolis. Diario che viene preso di mira da un misterioso rettile, che fa luce su un punto oscuro della città dove è ambientato il film: perché non ci sono serpenti, lucertole e simili per le strade di questa zootopia?
La risposta ovviamente riporterà a indagare Judy e Nick, ora partner in divisa che però, a sorpresa, faticano a portare al loro capo ispettore Bogo i risultati sperati. Davvero dunque una coniglietta e una volpe non possono fare squadra anche se, in fondo, entrambi vogliono rendere la città migliore e soprattutto tenere al sicuro la persona, pardon l’animale, che li fa sentire più sicuri e compresi al mondo? Se il primo Zootropolis era tutto costruito sulla metafora del pregiudizio che discrimina ed emargina applicato ai carnivori, il secondo capitolo trasforma i rettili in una metafora ancor più attuale: immigrati clandestini, reietti, oggetti di teorie cospirazioniste via podcast e stigmi che risalgono proprio alla fondazione della città. È anche, come spesso accade con i titoli Disney più recenti, una seduta di psicoterapia alla Inside Out o Soul. Se il primo film seguiva Judy nella sua lotta per affermarsi al di fuori dello stereotipo che la sua specie le appiccicava addosso, qui il film affonda ancora di più nel rapporto difficile che ogni individuo ha con la propria famiglia. C’è chi fa di tutto per garantirle un posto dove stare che sia sicuro, ma soprattutto c’è chi ad esortazione di Judy a “essere diverso dalla propria famiglia” dice di non volerlo essere, anzi, di desiderare ardentemente un senso di appartenenza.
Così il piccolo miracolo del primo Zootropolis - film per i più piccoli certo ma sorprendentemente ricolmo di ansie e frustrazioni del mondo adulto e lavorativo - si ripete indagando la solitudine urbana di chi è solitario per natura e usa l’ironia per schermarsi dalla sua incapacità di parlare dei propri sentimenti (Nick) o d’intere comunità “fuori da radar”, unite soprattutto nell’emarginazione. Temi forti su cui il film non lesina, anzi: c’è persino una conversazione definita “too much” dalla castorina podcaster in cui i due protagonisti si vomitano addosso le loro angoscianti inadeguatezze emotive. È il nocciolo emotivo che rende rilevante e talvolta catartico un film che ha tantissimo altro da offrire, tanto da essere persino iperstimolante a livello visivo a narrativo. Impossibile a colpo d’occhio godersi una una prima visione le profondità di campo in cui vengono nascosti easter egg e microstorie nella storia, occhiolini e ironia visiva che ben si accompagna al tono comico davvero brillante della pellicola, che non si perde troppo nel doppiaggio italiano (in cui per una volta i talent sono anche all’altezza, a partire da Michela Giraud).
Ai battibecchi irresistibili di Judy e Nick si aggiungono poi una miriade di riferimenti cinematografici, pop, musicali e interni al mondo disneyano che ricordano l’approccio che Disney scelse a inizio anni ‘90 con Aladdin. Un classico incontestabile oggi, ma che all'epoca venne criticato proprio per come faceva riferimento in alcune battute improvvisate da Robin Williams nei panni di Genio alla contemporaneità culturale e sociale. I detrattori facevano notare, non a torto, che questo andava in direzione opposta al canone Disney, pensato per essere sempre fruibile, comprensibile, attuale, fuori dal tempo che scorre. Zootropolis non arriva ai livello di Aladdin, ma con tutte le sue citazioni (tra le altre: Shining, Indiana Jones, Il silenzio degli innocenti e quelle intra-disneyane a Ratatouille e Tangled) si espone inevitabilmente alla prova del tempo.
Questo prova soprattutto come l’intenzione sia quella di trasformarlo in un franchise solido che guarda al cinema tout court, con ambizioni gigantesche: la colonna sonora di Michael Giacchino qui ha quasi degli eco bondiani, ulteriormente ribaditi dagli scenari “esotici” che gli habitat di Zootropolis forniscono al film. Le grandi scene d’azione ma soprattutto la trama iper classica dei poliziotti “fuggitivi” fanno pensare invece a Mission: Impossible e la saga di Bourne, senza dimenticare quell’approccio quasi sornione da coppia di poliziotti che si aggira in zona buddy movie, da Miami Vice a The Nice Guys.
Certo s’indulge un po’ nel citazionismo e nel ricamare sulla mitologia della serie già cementata con il primo capitolo, che nella sua maggiore libertà creativa rimane forse ancora un po’ superiore. Zootropolis 2 però non si piega troppo ai diktat produttivi di Disney e anzi, si concentra così tanto sull’intrattenere e divertire il suo pubblico - riaccogliendo personaggi del primo capitolo come rockstar - che a fine visione se ne vorrebbe immediatamente un ulteriore dose. Terzo capitolo che sembra già certo, alla luce del finale del vero film che, attenzione, è piazzato alla fine dei titoli di coda (rimanete finché non si spegne lo schermo, ne vale la pena). Manca solo la scritta “Nick e Judy torneranno", ma la vibrazione bondiana di una storia che funziona e destinata a durare in Zootropolis c’è davvero tutta.