Warfare - Tempo di guerra: non è più tempo di eroi nel nuovo film di Alex Garland

Ispirato a una storia realmente accaduta che ha visto protagonista un plotone di Navy SEAL, il film ci trascina in una disperata lotta per la sopravvivenza. Al cinema.

di Maurizio Encari

Ramadi, Iraq, novembre 2006. Il plotone di Navy SEAL guidato da Ray Mendoza ha il compito di stabilire un punto di controllo difensivo all'interno di una piccola abitazione, mentre i cecchini Elliot e Frank sorvegliano un edificio dall'altra parte della strada. Quella che inizia come una missione di sorveglianza apparentemente noiosa, atta a seguire tutte le procedure del caso, si trasforma in un'esperienza di combattimento claustrofobica quando un assalto nemico fa precipitare la situazione all'improvviso, mettendo a rischio la vita dei soldati.

In Warfare - Tempo di guerra le conseguenze di un attacco con una granata e la successiva detonazione di un ordigno improvvisato portano a perdite e ad un paio di feriti gravi. Il team ha necessità di evacuare il prima possibile, non soltanto per salvare i compagni rimasti martoriati ma anche per garantire la sopravvivenza di tutti e la riuscita di una missione che sembra ormai inevitabilmente compromessa.

Warfare: un'altra sporca guerra?

Come scoprirà lo spettatore, la storia di Warfare - Tempo di guerra non è "regolamentata" da un arco drammatico o da una morale classica, bensì dall'esasperazione di un realismo che ci trascina lì, tra polvere e frattaglie, nella disperata lotta per la sopravvivenza da parte di questi giovani soldati, sperimentanti in prima persona l'orrore della guerra.
Il nuovo film di Alex Garland può contare sulla co-regia del vero Ray Mendoza - già suo collaboratore in Civil War (2024), che ha messo in scena quanto effettivamente vissuto sul campo, con tanto di reali protagonisti che fanno la loro comparsa in immagini di repertorio prima dello scorrere dei titoli di coda.

Il dramma nasce perciò dal pericolo tangibile nel quale si trovano i personaggi, impegnati in un climax sempre più ansiogeno e claustrofobico dove le potenziali vie d'uscita si riducono minuto dopo minuto, con la narrazione in tempo reale ad aumentare questo senso di impotenza, con le urla dei feriti e il frastuono dei proiettili a sconquassare quelle quattro mura che fungono sì da momentaneo rifugio, ma possono trasformarsi da un momento all'altro nella loro tomba. Uno scheletro di trama brutale e diretto, dall'approccio quasi simulativo.

Nel cuore di una battaglia di nervi

Un film profondamente teorico, che proprio nel concetto insito trova sia punti di forza che altri di debolezza. Innegabile è come di peso ci trascini all'interno dell'incubo affrontato da questo plotone di soldati americani, che non sanno se il minuto successivo saranno o meno ancora in vita. Ma allo stesso tempo questa scelta offre campo libero ad una violenza cruda oltre misura, con i lamenti agonizzanti e le lacerazioni di carne e ossa che dominano la seconda metà di visione, risultando in una visione disturbante e poco adatta ai deboli di stomaco. La forma rischia così di prendere il sopravvento sulla sostanza, come un gatto che si morde la coda senza comprendere appieno i limiti di un'operazione nella quale si enfatizzano ardentemente i pur evidenti punti di forza.

Il cast è solido quanto basta, con attori giovani ma già conosciuti dal grande pubblico come Will Poulter, Cosmo Jarvis e Joseph Quinn che ci permettono di identificarci e soffrire con i relativi personaggi, in attesa di quella salvezza che appare sempre più improbabile.

Abbandonato volutamente l'eroismo propagandistico alla Berretti verdi (1968) & Co., il cinema americano contemporaneo è solito riflettere sulle storture di guerre più o meno ingiuste e Garland ne approfitta per firmare una sorta di lineare evoluzione del segmento finale del già citato e precedente Civil War. Ma se lì tale urgenza appariva necessaria quale ideale conclusione di un'opera fortemente politica e paradossale, specchio di tempi invero paradossali quanto non mai, in Warfare - Tempo di guerra la necessità diventa confezione, di primissima qualità ma meno sincera e genuina di quanto l'istintiva premessa poteva far presagire.