Trust: Sophie Turner in un thriller survival poco riuscito

Il film vede protagonista una giovane attrice incinta che, in cerca di relax, affitta una villa isolata, salvo ritrovarsi assediata da tre criminali. Su NOW.

di Maurizio Encari

La giovane attrice Lauren Lane è nel pieno di uno scandalo mediatico potenzialmente devastante per la sua carriera: star di una serie televisiva di successo, è stata hackerata con un conseguente leak di informazioni personali, compresi dei messaggi privati e un test di gravidanza positivo. Chi è il padre? I tabloid si scatenano, i social media la massacrano e lei per riprendersi dal clamore decide di rifugiarsi in una casa isolata nei pressi di una zona boschiva fuori città.

In Trust la serenità cercata in compagna del suo amato cagnolino viene però insidiata da una banda di criminali improvvisati, che prendono d'assalto la dimora in cerca di facili guadagni. Ma non è l'unico pericolo dal quale dovrà difendersi, infatti anche qualcuno a lei molto vicino intende metterla a tacere per evitare di essere trascinato a fondo con lei. Senza sapere di chi potersi realmente fidare, Lauren dovrà cercare di scampare al pericolo con le sole proprie forze

Trust: una questione di fiducia

Il secondo lungometraggio di Carlson Young, dopo il mediocre The Blazing World (2021) e la più recente rom-com Upgraded (2024), è il tentativo dell'attrice passata dietro la macchina da presa di stabilire una voce personale nel cinema di genere. Una scommessa che fin dalle premesse celava però molte incognite, soprattutto per via di una sceneggiatura che non ha molte frecce al suo arco. Una villetta isolata, una protagonista presa d'assalto da uomini cattivi, provvidenziali figure secondarie pronte a forzare la mano per darle una mano più o meno provvidenziale nel momento del bisogno.

Soprattutto per un plot di questo tipo, giocato molto sull'intensità drammatica di chi si ritrova a essere ipotetica vittima, serve un'interprete di talento e credibile, cosa che almeno in quest'occasione non si può dire di Sophie Turner. L'ex Sansa di Game of Thrones e futura Lara Croft nell'annunciata nuova serie di Tomb Raider, non ha la necessaria verve drammatica per queste dinamiche da survival-movie e molto spesso la sua espressività limitata rischia di cadere nel ridicolo involontario, affidandosi più alla fisicità che a una varietà umorale di toni e sottintesi.

Va detto a suo discapito che il materiale narrativo sul suo personaggio era veramente ai minimi storici, con la storyline relativa alla sua dolce attesa che appare a dir poco improbabile, anche in un mondo ambiguo come quello dello star system hollywoodiano.

Tutto troppo semplice

E che dire dell'utilizzo del cane quale espediente per indirizzare la vicenda verso la resa dei conti finale? Lo script non è mai realistico, abbozzando in continuazione dei risvolti che poco hanno a che vedere con la logica e la coerenza, mentre la Nostra si ritrova alle prese con la sua disperata missione per la sopravvivenza. La dabbenaggine delle forze dell'ordine e un sicario assoldato ad hoc, che dovrebbe essere infallibile salvo rivelarsi anch'esso con un quoziente intellettivo sotto la media, non fanno che completare un quadro narrativo desolante, dove almeno qualche sporadica sortita autoironica cerca di mitigare i danni.

Il modello è senza dubbio il Panic Room (2002), con il personaggio di Lauren che si nasconde in quel locale caldaia, luogo apparentemente protetto, come facevano Jodie Foster e Kristen Stewart nella stanza di sicurezza nel cult di David Fincher. Ma se là la tensione si manteneva costantemente su altissimi livelli, in Trust viene in più occasioni da guardare l'orologio per scoprire quanto manca alla fine dell'ora e mezzo di visione, una durata breve ma comunque eccessiva per ciò che viene effettivamente messo in scena.