The First Slam Dunk, Inoue crea un nuovo capolavoro

L’autore del manga permette alla sua creatura di segnare una nuova pietra miliare per l’animazione al cinema, esaltandosi in ogni suo aspetto, dalla regia alla sceneggiatura.

di Mario Petillo

È indubbio che pur esistendo persone che non hanno mai avuto modo di leggere o vedere Slam Dunk, il manga – e successivamente l’anime, soprattutto per la messa in onda di MTV negli anni ’90 – sia tra quelli di maggior successo e notorietà, non solo in Giappone, ma in tutto il mondo. Al di là del genere, che nella produzione del Sol Levante ha proliferato dal 1966 in avanti, Slam Dunk ha avuto dalla sua la capacità di rendere allo stesso tempo seriosa e scherzosa l’esperienza sportiva del basket, raccontando la coesione e l’amalgama di una squadra con la proverbiale ironia che è sempre stata deei giapponesi.

Mentre, quindi, il Giappone si lasciava conquistare da Avatar 2, il botteghino esplodeva dinanzi al film di The First Slam Dunk, che ha segnato anche l’esordio alla regia di Takehiko Inoue, autore del manga desideroso di trasporre la propria idea in prima persona anche sul grande schermo. Finalmente, adesso, anche l’Italia può godere dell’arrivo di questo spettacolo della durata di due ore per scoprire il fascino che ha stregato l’Asia. Slam Dunk, d’altronde, - vogliamo dirvelo prima di tutto – è un film che tutti, che conosciate o meno il manga, troveranno interessante e affascinante, per la grande capacità di appassionare e coinvolgere, nonché emozionare.

The First Slam Dunk, C’è un nuovo eroe del parquet

Se il manga si concentrava sulla storia di Hanamichi Sakuragi e il suo approcciare il basket per un mai troppo ben celato desiderio di conquistare la sua fiamma, il film decide di mettere l’occhio di bue su Ryota Miyagi. Questo significa cedere il passo a quell’atteggiamento umoristico che ha sempre avuto la narrazione di Slam Dunk, per arrivare a un dramma familiare del quale non eravamo ancora a conoscenza. Una backstory del tutto originale, con un film che sposta l’attenzione su un altro elemento del quintetto titolare della squadra della Shohoku, chiamata a disputare la partita decisiva contro il Sannoh, la squadra imbattibile. Il film di Inoue racconta l’intera partita, in due ore, alternandola a una linea temporale del passato, desiderosa di andare a raccontare ciò che di Miyagi non conosciamo e che vogliamo scoprire.

A condizionare il ragazzo, infatti, c’è un trauma legato alla famiglia che lo spingerà a volersi impegnare nel mondo del basket e che scopriamo soltanto in questa situazione: un doppio binario temporale che permette a Inoue di farci vedere la giovinezza di Ryota, per poi riportarci a quando ha 17 anni e sta affrontando la partita decisiva, accanto a quell’Hanamichi che è stato, per chi è avvezzo alla storia di Slam Dunk, il protagonista che avremmo voluto, ma che accettiamo di non avere. Perché la storia di Miyagi è raccontata talmente bene, con il giusto pathos e inseguendo gli stessi climax, che quasi ci dimentichiamo delle esigenze di Sakuragi. E chi affronterà la visione vergine della storia di Slam Dunk si ritroverà dinanzi a qualcosa che rapisce, conquista, senza preoccuparsi di dietrologie narrative.

Una partita di basket al cardiopalma

Supportati da un ritmo serrato, con una partita che mostra la fedeltà che gli spokon ripongono nel realizzare le simulazioni sportive, quindi niente campi infiniti à la Captain Tsubasa, The First Slam Dunk si fregia di una colonna sonora punk rock. Una mossa saggia da parte di Inoue che riesce a scandire le scene più epocali nei momenti più toccanti, sfruttando sonorità possenti, solenni, roboanti, che rallentano quando la Shohoku soffre e accelerano quando invece il quintetto si arma di coraggio e voglia di rivalsa. La musica acquisisce, così, quella funzione narrativa che si esalta per l’intera durata del match, quando a condizionarci sono le sporcature dei doppiatori, i rimbalzi della palla sul parquet e il brusio dei tifosi.

Il tutto amministrato con un’animazione tradizionale in 2D mescolata a una CGI in 3D che va in difficoltà solo sui totali a volo d’uccello, quando il regista vuole darci una visione d’insieme su ciò che ci si para innanzi: funziona poco, a essere onesti, ma tutto l’insieme richiede un piccolo sforzo da parte dello spettatore, che deve abituarsi a ciò che vede ni primi minuti. La tecnica, però, permette a Inoue di avere quel dettaglio dell’animazione essenziale per rendere espressivi i suoi giocatori, per esaltarle le caratteristiche, per sottolinearne le singolarità.

Un aspetto chiave, perché se i nostri cinque protagonisti sono tutti ben impersonati, degli avversari non possiamo dire altrettanto: tolti i due giocatori chiave, gli altri sembrano pedoni anonimi di una scacchiera, così come la panchina della Shohoku. Non vogliamo necessariamente ricercare il pelo nell’uovo di un film di ottima qualità, ma in una partita con dieci giocatori averne alcuni anonimi è davvero un peccato. La commistione tecnica, in ogni caso, si lascia apprezzare anche nelle inquadrature, nelle scelte di ritmo, di frame rallentati e che indugiano su alcune espressioni.

La narrazione di Inoue non è solo fatta di dialoghi, non è basata su scambi di battute o dialoghi à la giapponese, che inseguono costantemente lo spiegone, il riepilogo di ciò che è accaduto e che sta accadendo, prendendo per beota lo spettatore. La regia del creatore di Slam Dunk è fatta di spazi, di sguardi, di comprensione da parte dello spettatore, che viene stuzzicato a comprendere gli aspetti che potrebbero non essere di facile e immediata comprensione a un occhio pigro. Nei silenzi c’è tanto, così come nelle reazioni del protagonista a eventi che vengono mostrati con parsimonia e attenzione. Ma non manca la componente comica che era uno dei pilastri dell’anime: i temi continuano a essere forti, dalla riscossa all’autoaffermazione, ma l’assurdità di alcuni momenti è confermata, ancora affidata a Hanamichi.