Noah

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Personaggi di reale spessore, lontani ere geologiche dai soliti stereotipi (i figli di Noé, Sem, Cam e Jafeth sono forse meno efficaci degli altri, ma fanno la loro parte nell'insieme senza stonare), scenografie grandiose degne di un'era in cui i giganti camminavano tra gli uomini e Dio parlava ai suoi prescelti, un'arca sbalorditiva e credibile, che non ha nulla a che vedere con l'iconografia classica eppure ha il suo dannato perché, un Diluvio come non ne avete mai visti nemmeno nei vari polpettoni catastrofisti dell'ultimo decennio e tante trovate geniali che riempiono, senza strafare, i vuoti narrativi volutamente lasciati dall'Antico Testamento, prima fra tutte quella che spiega le modalità di chiamata degli animali all'arca e di trasporto degli stessi, in modo forse un po' fantasioso ma non per questo meno suggestivo. La civiltà degli uomini destinata all'annientamento é violenta, oscura e fa riflettere sugli errori che troppe volte, dopo che quelle terribili acque si ritirarono, abbiamo continuato a ripetere. La conclusione, infine, é capace di stupire nonostante la storia sia già nota a molti, e non sia quindi consentito divagare troppo.

Noah


Un 3D invasivo, esagerato, ridondante avrebbe stonato, togliendo spessore alla storia, violentando visivamente lo spettatore e distogliendo l'attenzione dal contenuto. Il comparto tecnico, nel film di Aronofsky, é invece impeccabile ma non soverchiante, lasciando spazio a primi piani, dialoghi e monologhi brevi ma intensi, controcampi studiati che permettono ai protagonisti umani di tenere la scena in pugno, senza farsi sottrarre le luci della ribalta dai tecnici degli effetti speciali. Una menzione d'onore va ovviamente agli addetti alla grafica digitale, che sono riusciti a ricreare la fauna di un'intera arca senza dover coinvolgere neppure un criceto. L'arca, al contrario, é tutta vera. Le dimensioni ispirate dal racconto biblico, l'unica finestra come descritto in Genesi, la rozzezza della costruzione, destinata a resistere al diluvio e non certo a compiere crociere di piacere, impressionano e colpiscono per il suo realismo. Ho scoperto, a proposito, una curiosità da condividere con voi.

Il film racconta di come gli uomini perduti, discendenti di Caino, hanno spoliato la Terra anche a causa dell'indiscriminata estrazione dello “tzohar”, sorta di minerale combustibile adoperato per alimentare le fornaci e le fucine degli opifici. In realtà, nella tradizione biblica, “tzohar” é il nome dato all'unica finestra dell'arca di Noé, e il significato tuttora dato alla parola é quello di “qualcosa che permette di mantenere il contatto con ciò che é al di fuori, mantenendo al sicuro chi é dentro”.
Infine, ecco l'Islanda. L'isola nordica, terra d'antiche saghe, di vulcani e di paesaggi leggendari sta a Noah come la Nuova Zelanda sta alla trilogia dell'Anello (e a quella de Lo Hobbit) di Peter Jackson. Perfetta per regalare agli sceneggiatori paesaggi alieni stravolti dalla corruzione, territori devastati dal Diluvio, e assieme la bellezza incontaminata delle foreste dell'Eden e del monte di Matusalemme. Noah rappresenta un biglietto da visita fenomenale per la nazione scandinava che ne beneficerà senz'altro, e meritatamente, in termini di turismo.

La colonna sonora é firmata da Clint Mansell, amico di Aronofsky e autore delle musiche di tutti i suoi film, da”The wrestler” a “Il cigno nero”. Discreta, mai soverchiante, sale di tono fino a raggiungere i livelli epici richiesti dalle scene madri della battaglia e del Diluvio, recuperando poi melodie poetiche e struggenti nel finale. Va detto, per onestà, che non abbiamo captato nessun “main theme” sconvolgente. Più giusto dire, allora, che l'accompagnamento musicale resta tale, senza mai rubare la scena al resto, indispensabile sottofondo mai eccessivo o fuori luogo.
Concludo. Da biblista dilettante, cristiano praticante e cinefilo di lungo corso, sono entrato in sala molto prevenuto. Aronofsky, però, é riuscito a farmi ricredere, regalandomi la rinnovata fiducia circa la possibilità di girare un film avvincente su un episodio dell'Antico Testamento, senza riempirlo di castronerie gnostiche, ma anzi mantenendosi molto fedeli alla trama originale, riuscendo nel contempo a tenere il pubblico attaccato alla poltrona per più di due ore, senza dare il tempo o l'occasione per un solo sbadiglio.

Noah


Che abbiate fede o no in quel Creatore che é protagonista invisibile ma onnipresente della pellicola, andatelo a vedere. Noah é un film bellissimo, girato con il cuore e con una fede genuina, oltre che con tanto tanto mestiere. E si vede, dalla prima scena all'ultima. Riesce a divertire, avvincere e stimolare nel contempo, in chi ne ha voglia, tanti utili spunti di riflessione. Al punto da spingerci a sperare che la voglia di Bibbia di Aronofsky non si fermi qui e che gli venga presto l'ispirazione, magari, di realizzare una rivisitazione cinematografica aggiornata dell'Esodo. “Sh'ma Israel!”.

La recensione é finita, ma mi sembra giusto, avendo goduto dell'ospitalità di Paramount e Regency in occasione della premiere dedicata alla stampa presso il cinema Moderno di Roma, buttare giù un pagellino scanzonato dell'evento. Promossi a pieni voti la scelta della sala, che dispone di un sistema 3D Imax davvero all'altezza della situazione, e il semplice ma sfizioso rinfresco a base di finger food in stile “biblico” (dall'hummus al farro, fino all'immancabile vino rosso che costò a Noé una figuraccia con la sua prole). Servito da simpatici addetti vestiti di sacco (letteralmente!) in barchette (piccole arche?) di balsa con forchette dello stesso materiale. Bocciata invece senza appello la climatizzazione della sala, rovente per tutte le due ore e mezza della proiezione senza che nessuno si disturbasse di spiegare al gestore che a Roma é arrivata la primavera e sarebbe bastato commutare il riscaldamento in aria condizionata per evitare una sauna collettiva a tutti. Insufficienza piena, infine, alla politica di distribuire gadget solo ad alcuni degli intervenuti, e ad altri no. I fatto: in fila davanti a me, all'entrata, al giovanissimo collega di Radio Antani (il conte Mascetti non me ne vorrà per il furto di copyright, ma il vero nome dell'emittente era talmente sconosciuto che non riesco proprio a ricordarlo) é stato consegnato un astuccio di legno con il logo del film (credo contenesse materiale da scrittura).

A me che intervenivo per Gamesurf (che non definirei proprio un blogghino di quartiere...) niente. All'uscita é svelato l'arcano. Ai “prescelti” le matite in regalo servivano per scrivere qualche riga a caldo sul film e ricevere in cambio, prima di andare via, un ulteriore omaggio misterioso (nessuno dei “premiati” mi ha dato la soddisfazione di aprire davanti a me la piccola scatola cubica di legno con il logo del film: dentro poteva esserci di tutto, da una tazza per caffelatte a una scheggia della Vera Arca contrabbandata da Indiana Jones direttamente dall'Ararat). Qualche riga l'avrei scritta anch'io ma, per chissà quale motivo, c'erano recensori di serie A, destinatari di omaggio, e di serie B, come me, che sono rimasti a bocca asciutta. A mio modesto parere, questo genere di cose o si fa con discrezione, o non si fa. Altrimenti la figuraccia e il rischio di feedback negativo da parte del collega “puzzone” costa molto più del gadget, credo. Fossi il responsabile delle pubbliche relazioni, ci penserei su, in vista della prossima occasione. Pace e bene...

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