Marcel the Shell, recensione: una carezza in un dubbio

di Elisa Giudici

A parlare meno che entusiasticamente di Marcel the Shell, film d’animazione sui generis candidato agli Oscar 2023, ci si sente vuoti dentro e cinici oltre il consigliabile. Marcel la conchiglia (con le scarpe addosso, dettaglio omesso dal titolo italiano) è una trappola emotiva, in molti sensi: se non entri in sintonia con il film, scatta automatico il senso di colpa.

Il primo motivo è evidente e diretto. Non capita spesso durante una proiezione riservata alla stampa e popolata da decine di giornalisti che negli anni hanno visto cose cinefili che voi umani…di percepire una certa aria di commozione, intravedere qualche lacrimuccia luccicare nel buio, sentire levarsi un continuo tappeto di “awww!” a ogni cosa buffa e inavvertitamente carina che il protagonista Marcel fa. Ho riso e ho goduto della tenerezza del protagonista io stessa. Marcel ha saputo conquistare un pubblico che, per antonomasia, ha un approccio piuttosto cinico e distaccato.

Quel “inavvertitamente” però ha continuato a ronzarmi in testa. Se Marcel personaggio risulta adorabile proprio nella sua ingenuità e nella sua dolcezza spesso inconsapevole e genuina, si può davvero dire la stessa cosa del Marcel film, il progetto che lo racconta?

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Marcel: da YouTube al cinema

Il film di Dean Fleischer Camp porta al cinema in forma di mockumentary (un’opera fittizia che finge di essere un documentario e raccontare eventi realmente accaduti) un personaggio diventato un fenomeno di Internet nella scorsa epoca della Rete.

Marcel the Shell ha fatto la sua prima apparizione su YouTube nel 2010, in alcuni brevi corsi animati e diretti da Dean Fleischer Camp. Ideato insieme a Jenny Slate (che dà la voce al personaggio in lingua originale) Marcel è una misteriosa creatura sviluppatasi dentro una conchiglia, senziente e in grado di parlare.

La trilogia di corti animati in stop motion a lui dedicata raggiunse un enorme popolarità online, trasformando la piccola conchiglia in uno dei beniamini di quell’epoca proto-social. Il suo aspetto kawaii, le sua dolcezza e la perizia dimostrata dai realizzatori nella realizzazione dei corti (all’epoca realizzati con un vera conchiglia come base) lo hanno reso un’icona e permesso al suo creatore di farsi strada nel mondo del cinema, fino a poter dedicare al proprio personaggio un intero film.

Nel passaggio da corto a lungometraggio, da YouTube al cinema il progetto si è fatto ovviamente molto più ambizioso e complesso. molte cose sono cambiate Il film per esempio non è realizzato in stop motion, ma animato a partire da una scansione 3D fatta alla conchiglia del Marcel originale.

Il regista diventa personaggio e co-protagonista, quasi sempre fuori campo: è il videomaker con cui conversa Marcel nel corso del film.

La trama di Marcel the Shell

Marcel è alto appena due centimetri, ha un grande occhio e porta un paio di scarpe da tennis rosse. Vive in una graziosa casetta divenuta un Airbnb dopo che i precedenti proprietari hanno divorziato e hanno cambiato casa.

Marcel passa le sue giornate con Nonna Connie (a cui da voce Isabella Rossellini nella versione originale). Un tempo la comunità di conchiglie di cui faceva parte contava decine di membri, ma un evento traumatico ha diviso lui e Connie dal resto della famiglia.

A scoprire Marcel dopo tanti affittuari che hanno vissuto accanto a lui senza notarlo è Dean, un videomaker che ha noleggiato la casa per lavorare. Dean comincia a riprendere Marcel e a postare brevi montaggi della sua quotidianità online, attirando l’attenzione del mondo, spesso con risultati non positivi per il piccolo protagonista. Piccolo sì, ma in grado si superare con la giusta attitudine enormi sfide, apparentemente insormontabili: è questa la vera forza di Marcel.

Marcel ispira, manipola o entrambe?

Marcel the Shell ha tutti i pregi e i difetti di un certo cinema creativo di radice indipendente, lontano insomma dal circuito mainstream degli studios. Non c’è bisogno di vedere il logo dell’ormai celebre A24 per capire che è un cavallo della scuderia di una casa di produzione che dell’essere indie e alternativo ha fatto la propria bandiera.

Il film è originale e inaspettato, fresco nell’approccio, ma al contempo terribilmente innamorato dei continui riferimenti a sua stessa arguzia e cultura cinefila che fa riferimento proprio a questo mondo. Per uno spettatore che non segua le vicende del cinema statunitense indipendente una certa (buona?) parte delle battute di Dean passeranno sopra la testa.

C’è ancora un po’ di profumo di studente della scuola di cinema appena diplomato, che ha l’energia e il carisma di chi vuole farsi notare, ma non riesce proprio a trattenersi dal darsi il cinque con chi condivida la sua visione del mondo, costruita su riferimenti culturali ben precisi.

L’aspetto più convincente di Marcel è come affronti il tema dell’importanza di avere una comunità di persone attorno,facendone parte attivamente, riuscendo spesso a non cadere in un semplice familismo di ritorno. Marcel certo è triste perché lontano dai suoi parenti, ha dovuto affrontare tante difficoltà e alcuni traumi, ma vive la vita con un’attitudine ottimista e pragmatica, che nelle avversità percepisce istintivamente la possibilità di un cambio di prospettiva.

Posto di fronte a un problema insormontabile, Marcel non si abbatte, ma lo scompone in una sfida affrontabile per volta, fino a riuscire a guardare ciò che di peggio gli è capitato in vita sua sotto un’ottica di possibilità.

La capacità di Marcel di reagire a quanto gli accade è così sviluppata da diventare sospetta, correlata com’è dalle sue battute ingenue e talvolta stucchevoli, ma detto con un’inconsapevolezza tale da fare il giro e arrivare a toccarti il cuore.

Sempre fin quando non ci si ricorda che c’è qualcuno dietro a Marcel - il Dean regista del Dean personaggio - che fa delle precise scelte in questo senso. Fleischer Camp è talmente consapevole di questo da inserire qua e là nella pellicola dei momenti in cui è la conchiglia a riprendere l’umano, in cui gli spettatori online vengono visti da Marcel, che si rende conto di non essere capito, ma compatito.

Non è abbastanza però, in una realtà filmica in cui ogni tragedia viene scomposta in un micro-elemento trasformabile in qualcosa di positivo, in una visione del mondo in cui la cattiveria e l’incuranza sono frutto dell’inconsapevolezza,dell’incuria più che dell’intenzionalità. Marcel mi ha accarezzato contropelo: l’ho trovato manipolatorio, con la piccola consolazione che lo è per lanciare un messaggio positivo.

Tutto in Marcel è calibrato per avviare una risposta emotiva, tanto che la sua connessione con la realtà si fa tanto labile da diventare una fiaba. Se Marcel non avesse quell’aspetto o fosse respingente o grottesco, proveremmo lo stesso di fronte alla sue ingenue esternazioni, alla sua storia?

Viviamo tempi in cui è più che comprensibile desiderare una carezza e non un pugno da un film che andiamo a vedere in sala. Sono però dell’idea che tra le tante emozioni che un film può suscitare, la tenerezza e la commozione dovrebbero essere il risultato di una reazione emotiva non così attivamente calcolata e ricercata. Preferisco un pugno che una carezza con un dubbio.