Lo strangolatore di Boston, recensione: il ritorno di Keira Knightley in sala true crime

Non è la prima volta che lo strangolatore di Boston arriva al cinema, ma Disney+ propone un nuovo punto di vista di una storia di cronaca nera con molti punti oscuri. La recensione.

di Elisa Giudici

Non è la prima che che la scia di delitti del celebre serial killer noto come lo strangolatore di Boston arriva al cinema. Già nel 1968, a soli 4 anni dalla fine della sua mattanza, Richard Fleischer diresse un bel thriller in cui la polizia dava la caccia a un fantasma che uccideva le donne sole di Boston.

Rivisto oggi il primo Strangolatore di Boston colpisce per vari motivi: a interpretare il vero strangolatore di Boston Albert DeSalvo, c’era Tony Curtis, in un ruolo più oscuro ed estremo di quello con cui è passato alla storia. Non solo: già in quel film si sottolineava la scarsa efficacia delle indagini della polizia, l’ossessione omofoba verso la comunità gay cittadina, la tendenza a colpevolizzare le donne che avevano aperto al loro aguzzino.

Considerando che questo film e la sua ossessione per gli split screen e i montaggi paralleli apparvero su grande schermo nel 1968, è facile ipotizzare come Brian De Palma possa esserne rimasto influenzato in qualche modo prima di codificare nel decennio successivo il suo modo di girare thriller e noir con alcuni titoli iconici.

Ciò che manca in quell’adattamento è al centro del film del 2023, in arrivo direttamente su Disney+, senza passare per la sala. Stavolta alla regia c’è Matt Ruskin e al centro della storia e della caccia all’uomo imprendibile che uccideva le donne ci sono due personaggi femminile realmente esistenti, ma finora rimasti nel dimenticatoio: le giornaliste Loretta McLaughlin e Jean Cole, reporter del Boston’s Record -American.

Continua a leggere la recensione de Lo strangolatore di Boston (2023):

Di cosa parla Lo strangolatore di Boston

Lo ha spiegato lo stesso Matt Ruskin durante la conferenza stampa di presentazione del film: non avrebbe accettato di riportare lo Strangolatore di Boston su schermo se non avesse avuto un qualche approccio differente dalla morbosa curiosità per una storia di truci ammazzatine. È durante il lockdown che incappa in una fotografia su Facebook che lo porta a scoprire una storia incredibile: quella di due donne essenziali alla cattura del killer, ma dimenticate dalla Storia.

Le prime a capire che a Boston si aggirava un assassino seriale, in un’epoca in cui la crimonologia era agli albori, furono due giornaliste interpretate nel film da Keira Knightley (Espiazione, Pirati dei Caraibi) e Carrie Coon (L’amore bugiardo - Gone Girl).

Loretta è l’assoluta protagonista di una pellicola che si propone di raccontare di nuovo una storia già nota da un punto di vista totalmente differente. Stavolta al centro non c’è la polizia o lo strangolatore, bensì una donna che negli anni ‘60 vuole lavorare come giornalista, senza essere relegata alle rubriche per le lettrici casalinghe.

La sua intuizione sulla presenza di un assassino seriale che usa le collant delle vittime come macabro ornamento dei loro cadaveri la porta a lavorare con la collega Jean. Una veterana, che a differenza sua ha già imparato a navigare in un mondo maschile e misogino, accettando le regole del gioco e, quando possibile, piegandole a suo favore.

Una storia di donne come vittime di macabri omicidi diventa dunque un racconto in cui il gentil sesso è protagonista attivo in una caccia all’uomo che evidenzia come la polizia sia del tutto impreparata alla situazione. Mentre il killer continua a colpire, le donne vengono messe in pericolo dalle reticenze degli agenti e dall’atteggiamento senza scrupoli dei capi delle redazioni giornalistiche.

La stessa Loretta dovrà subire pressioni, minacce e fare i conti con la possibilità di venire presa di mira dal killer nella sua ricerca della verità.

Dal true crime al cinema: com’è adattato lo strangolatore di Boston

Lo strangolatore di Boston vorrebbe sicuramente essere il veicolo per un ritorno in grande spolvero sulla scena cinematografica della sua protagonista Keira Knightley. I film TV sono una manna per tornare a lavorare a pieno ritmo dopo un periodo lontano dalle scene, magari sperando in un Emmy, in un contesto comunque meno rischioso di un’uscita in sala.

Il progetto la vede poi impegnata nel ruolo di mamma lavoratrice, una descrizione che lei stessa si è cucita addosso anche nella vita. Se la cava egregiamente nei panni di Loretta, ma Carrie Coon ne esce ancor meglio, eterna spalla poco visibile di attrici protagoniste più famose di lei, sempre efficacissima ma trascurata dal pubblico e da Hollywood.

È abbastanza curiosa la coincidenza di come Coon, nota per il suo ruolo in Gone Girl, sia finita in quello che di fatto sembra un film di David Fincher minore. La caccia al serial killer, la ricostruzione storica di una città statunitense dal preciso carattere in una data epoca storica, omicidi efferati e quel sottile dubbio di non aver ancora trovato il vero assassino: impossibile non pensare a Zodiac di Fincher, appunto.

Uno Zodiac minore, s’intende. Un po’ perché Fincher non lo si replica così facilmente, un po’ perché Ruskin con i suoi lenti movimenti di camera e la sua palette sui toni scuri e grigi il confronto lo certa, ma poi si sottrae.

Lo strangolatore di Boston sicuramente gioca la carta del true crime, filone popolarissimo in ogni medium in questo momento storico, ma al contempo non se la sente di spingere fino in fondo in questo senso, temendo forse l’accusa di sfruttare una tragedia di cronaca nera a fini commerciali.

La cornice giornalistica dell’inchiesta in questo senso è perfetta, ma a differenza di film come Il caso Spotlight, l’attenzione è divisa tra investigazione e giornalismo, non riuscendo a fare il meglio in nessuno dei due ambiti.

Lo strangolatore di Boston insomma è un film non privo di pudore nel raccontare la sua storia e d’interesse nel come lo fa, ma in ultima analisi risulta troppo guardingo per convincere davvero. Se trovate la storia interessante vale sicuramente la visione, ma non lascia dietro di sé nulla di memorabile.

Forse sarebbe servito un briciolo di cinismo e di cattiveria, o forse a mancare è un grande nome come quelli dietro alle pellicole che il film di Ruskin finisce sempre per ricordare, senza mai sembrare all’altezza dei predecessori. Incappa in dei paragoni che non sono troppo lusinghieri.

Puoi anche guardare l’intervista ad Alessandro Nivola nel cast di Lo strangolatore di Boston.