Perché Lift è il film più visto del weekend su Netflix? Lo straight to video nell’era Netflix

Il successo temporaneo di film come Lift su Netflix testimonia ancora una volta come lo streaming non abbia rivoluzionato i modelli d’intrattenimento, ma li abbia piuttosto snelliti.

di Elisa Giudici

Il film più visto questo fine settimana nella classifica interna al servizio streaming di Netflix è Lift, un modesto heist movie prodotto da Kevin Hart, che interpreta anche il protagonista della pellicola. Sugli altri servizi di streaming, a parte occasionali fiammate (vedi il caso Saltburn di Emerald Fennell, ancora chiacchieratissimo e popolare a settimane dall’uscita su Prime Video) la storia si ripete.

Sin dalla sua locandina e dal suo trailer, Lift è molto onesto in quello che è e in quello che può dare al suo pubblico. Probabilmente nessuno spettatore pigiando play sul telecomando si aspetta un grande film che rimarrà negli anni, anzi: così come tanti predecessori, la sua fiammata di popolarità è destinata ad esaurirsi nel giro di qualche giorno. Arriverà poi un altro titolo più o meno improntato sulla componente action, più o meno brillante dal punto di vista comico, che possa più o meno stuzzicare l’attenzione del pubblico con la presenza nel cast di qualche vecchia gloria che non si vedeva in giro da un po’.

È una giostra che va, diceva Ivana Spagna, è l’algoritmo di Netflix, bellezza, verrebbe da risponderle. Rimane il fatto che il film più visto del fine settimana sulla piattaforma ci racconta del ritorno di un fenomeno risalente a molti anni fa: il direct-to-video o straight-to-video. A testimonianza di come, ancora una volta, il sistema dello streaming non abbia inventato quasi nulla e si stia limitando ad aggiornare e snellire modelli di consumo dell’audiovisivo implementati decenni fa, tra televisione e home video.

Torna lo straight-to-video, senza video: il caso Lift

Cos’è, o meglio cos’era, il direct-to-video? Il termine indicava una serie di produzioni filmiche e non che non passavano per la sala, venendo commercializzate direttamente su supporto fisico, prima in VHS e poi in DVD. Data la natura dei film e delle serie TV a cui veniva riservato questo sistema di commercializzazione, l’espressione è presto diventata sinonimo di film di qualità medio-bassa. Oltre alle parodie spesso non autorizzate, le opere esplicite e i contenuti pornografici, lo straight-to-video è sempre stato il regno di prequel, sequel, spin-off e scopiazzature di film di successo.

Negli anni ‘90 Disney stessa, per esempio, ha prodotto alcuni sequel animati delle sue uscite popolari in direct-to-video. L’idea commerciale dietro questa strategia è fare leva su la popolarità di un titolo, realizzando un sequel o prequel con un budget molto minore, senza affrontare il costo della distribuzione in sala e della promozione, facendo affidamento su chi ama l’opera originale e comprerà a scatola chiusa la VHS del sequel. Anche se i numeri sono inferiori alla sala, sul home video i margini di guadagno sono più alti.

Torniamo a oggi, torniamo a Netflix, che ha ucciso anche questa nicchia di mercato, oltre che a mettere a serio rischio la sopravvivenza del concetto stesso di copia fisica. Cos’è Lift se non un rip-off, una scopiazzatura sincera e magari anche con qualche idea originale, di film da “colpo grosso” (heist movie, appunto) come la saga di Ocean’s, Now You See Me e soci? Per Netflix è ancora più facile realizzare pellicole di questo tipo: non c’è più il costo di produzione della copia fisica, si ingrassa il catalogo e spesso, coinvolgendo le star che vogliono rilanciarsi come produttori esecutivi, si dividono i costi. Lift infatti è prodotto da Kevin Hart, che in cambio ottiene un film che ruota tutto attorno al suo carisma e alla sua affabilità.


Lift potrebbe essere ancora di più, ma non vuole esserlo

Il film è in sé è davvero poca cosa. C’è il solito gruppo di ladri bravissimi che si ritrova a collaborare con le autorità per mettere in difficoltà un cattivo irredimibile, tra aerei da miliardari, case d’asta veneziane e atterraggi d’emergenza a Cortina. Al centro spicca Hart, che nonostante il poco spessore della sceneggiatura dà uno certo sprint alla vicenda. C’è anche Vincent D’onofrio in un ruolo così mal pensato e incongruente che sembra tutto pensato e improvvisato sul momento.

Lift non è un film davvero riuscito, ma bisogna riconoscere che ha una forza d’inerzia incredibile, che a conti fatti fa passare quasi piacevolmente 104 minuti d’intrattenimento superficiale sì, ma non sgradevole, noioso, irritante. Non è cosa da poco in questa nicchia del catalogo Netflix, dove in passato si sono visti  film dalla bruttezza traumatizzante, capaci di essere orrendi e per giunta noiosi. Lift invece riesce a non prendersi mai sul serio, senza però buttarla totalmente in caciara.

Anzi, avrebbe anche il potenziale di essere qualcosa di più, se sin dal principio non facesse tante scelte di comodo, a partire da un tappeto sonoro fatto di pezzi davvero tamarri buttati lì un po’ a casaccio, che sembrano musiche stock tirate giù da una libreria gratuita dal montatore del film. Uno dei punti d’interesse della pellicole potrebbe e dovrebbe essere il tema degli NFT (Non Fungible Token) applicato al mondo delle opere d’arte. Questa scelta tematica ci segnala anche la velocità con cui questi film “istantanei” vengono prodotti: le Bored Apes, le opere vendute e poi rubate via NFT, erano al centro del dibattito artistico appena un paio di anni fa, quando Lift probabilmente ha avuto luce verde da Netflix.

Ora non solo l’onda è passata, non solo la bolla è scoppiata, ma questa scelta rende Lift (un film che dall’ideazione alla realizzazione ha quasi bruciato le tappe) già datato agli occhi dello spettatore. Perché dunque vederlo? Perché in tanti sono abbonati a Netflix anche, proprio per avere un flusso continuo di opere come questa, che uniscano facce note (magari un po’ nostalgiche) a storie con pochissimo attrito all’ingresso.

Lift lo puoi vedere mentre cucini, mentre chatti al cellulare, mentre dedichi un po’ di tempo ai tuoi hobby o riordini casa. Perdersi qualche scena non è un problema, perché la conoscenza pregressa dei tanti film a cui si rifà rende semplicissimo seguire la trama, anche con qualche buco, anche prestando scarsa attenzione.