Last Breath: un intenso survival tra i fondali oceanici
Ispirato a una storia vera realmente avvenuta nel 2012, Last Breath ha per protagonisti tre esperti subacquei immersi nelle profondità marine. Al cinema.
Chris Lemons, Duncan Allcock e David Yuasa sono tre esperti sommozzatori che lavorano in uno dei posti più pericolosi al mondo, ovvero tra gli abissi degli oceani. Il loro compito è infatti quello di "riparatori" di profondità marina, in condizioni spesso estreme a centinaia di metri sotto il livello della superficie.
Last Breath ha inizio con i protagonisti che salgono a bordo di una grande nave nel Mare del Nord, stando per qualche tempo in un habitat pressurizzato dove si abituano a un'atmosfera ricca di elio, per poi calarsi in una campana subacquea nella quale avrà inizio la parte più dura del loro incarico. Lo scopo della missione è quello di raggiungere il fondale e lavorare direttamente da vicino sulle tubature e i sistemi che lo percorrono. Quella che sembrava una missione come tante altre finisce per complicarsi in seguito ad un incidente che rischia di trasformare la normale routine in una situazione potenzialmente tragica.
Last Breath: ogni respiro conta
Un'incredibile storia vera accaduta nel 2012 è alla base di questo film che ci trascina in uno tra gli angoli più remoti del pianeta, un luogo inaccessibile alla maggior parte dell'umanità e nel quale solo pochi coraggiosi ed esperti, altamente qualificati, possono mettere piede. Il regista Alex Parkinson aveva già narrato la vicenda nel documentario, co-diretto a quattro mani con Richard da Costa, dal titolo omonimo e ritorna idealmente "sul luogo del delitto" in questo film a tutti gli effetti, che sfrutta saggiamente alcuni spunti dell'opera precedente.
Lo stile è assai realistico e lo spettatore viene trascinato di peso nel pathos crescente che ci lega al destino di queste figure immerse in quel posto remoto, con la classica regola "uno per tutti, tutti per uno" che viene ampiamente rispettata nella relativa drammatizzazione del racconto. L'impegno di tutti, sia che ci si trovi a centinaia di metri dalla superficie sia che si sia a bordo della nave che gestisce le operazioni, sarà fondamentale per il buon esito degli eventi e la sceneggiatura riesce a offrire uno spazio calibrato a tutti i personaggi coinvolti, principali e secondari.
In fondo al mar, in fondo al mar
Un efficace mix tra tensione e claustrofobia caratterizza l'ora e mezzo di visione, con la gestione emotiva che vive sul senso di angoscia relativo al destino di uno di loro e alla corsa contro il tempo affinché le scorte di ossigeno non si esauriscano prima dell'arrivo dei soccorsi. Un survival-movie in piena regola, con riprese che ci catapultano direttamente sul fondo, all'insegna di un realismo crudo e necessario per rendere la verosimiglianza elemento avvincente del racconto in divenire.
Scelte difficili, che possono significare vita o morte, in mano a figure perfettibili ma profondamente umane, unite da questa giusta causa comune. Il numeroso ed eterogeneo cast riesce a dar vita a figure credibili, con i tre ruoli principali affidati a Woody Harrelson, Simo Liu e Finn Cole, bravi nel coesistere l'un l'altro senza tentativi di rubarsi la scena vicendevolmente. Per un film che rimane profondamente saldo sul tono del racconto e sulla fedeltà a quanto effettivamente avvenuto, ora finalmente noto grazie al film stesso anche al grande pubblico.