La società della neve: recensione del film di Netflix sulla tragedia delle Ande
La società della neve è disponibile in Italia. Ecco il nuovo film di Netflix sulla tragedia delle Ande

Trent’anni dopo Alive - Sopravvissuti, il film acclamato da pubblico e critica che raccontava la stessa vicenda, Netflix produce La società della neve, nuova versione di una tragica storia vera, disponibile sulla piattaforma dal 4 gennaio.
Il 13 ottobre del 1972 l’aereo che sta portando una squadra di rugby uruguaiana in Cile, si schianta sulle Ande.
Sull’aereo non c’erano solo i giocatori, ma anche i loro famigliari.
Le cause della tragedia delle Ande e il numero dei sopravvissuti
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Alive, il film del 1993 di Frank Marshall con Ethan Hawke, Josh Hamilton e Vincent Spano si arricchiva delle testimonianze dei veri sopravvissuti alla tragedia. La società della neve non ha potuto beneficiarne e ha quindi puntato su un maggiore realismo in alcune sequenze, privilegiando le scene dello schianto e della valanga rispetto al resto.
Le scritte con i nomi e le età delle vittime, man mano che i sopravvissuti diminuiscono, non rendono comunque giustizia a quei morti, né li celebrano maggiormente rispetto ad Alive.
Scritto e diretto dallo spagnolo J.A. Bayona (The Impossibile, The Orphanage), il film si concentra, come dicevamo, sul maggiore realismo in alcune parti. Le immagini dello schianto sono più crude rispetto a quelle conosciute grazie ad Alive, che in realtà era già il secondo adattamento cinematografico della tragedia delle Ande. Il primo è infatti I sopravvissuti delle Ande, di René Cardona, uscito nel 1976 e comprensibilmente al centro di roventi polemiche per la messa in scena di situazioni raccapriccianti. In particolare - lo sappiamo tutti - le scene in cui i sopravvissuti, per non morire di fame, si cibano dei cadaveri dei loro compagni e parenti morti. La ragione per cui questa tragedia è diventata subito conosciuta - e discussa - in tutto il mondo.
La questione più nota e disturbante di tutta la storia è al centro delle tre versioni cinematografiche. Ma se in Alive ci si concentrava molto più a lungo e molto più profondamente sulle remore di tutti nell’affrontare questa necessità, La società della neve la fa vivere a una parte dei personaggi in modo molto più fluido, quasi “naturale”. Ma questo stona, non basta a farla accettare come un’immediata necessità nemmeno a una platea che sa benissimo come fecero a sopravvivere. Chi scelse di non cibarsi dei corpi, nel film e nella realtà, resta di fatto l’unico ostacolo morale a un orrore che la pellicola di J.A. Bayona non banalizza, per carità, limitandosi però a farlo rientrare nell’elenco di tutte le altre tragedie vissute dal momento dello schianto. E per qualsiasi essere umano, sappiamo bene che non può semplicemente far parte della storia. Non basta mostrare le ossa e chi le spolpa come costine poco dopo la metà del film per trattare adeguatamente la questione.

Le ricerche fallite, la caccia alla coda dell’aereo, la valanga, la decisione di partire per andare a cercare aiuto, le morti progressive dei sopravvissuti, le lamiere dell’aereo usate per sciogliere la neve e avere da bere… Conoscevamo già i dettagli di questa storia - che nel nuovo adattamento non ha voluto concentrarsi, sbagliando, sul razionamento del cibo disponibile subito dopo lo schianto.
Ho letto recensioni commosse ed entusiastiche su questo film, dopo l’anteprima veneziana. Addirittura ho letto la parola “capolavoro”. Ma l’ho letto perché scritto da parte di inviati giovani, che certamente non hanno “vissuto” l’approccio alla tragedia delle Ande tramite Alive e che probabilmente nemmeno conoscevano la vera storia prima di vedere La società della neve. Io invece Alive lo vidi al cinema, in un’epoca in cui la computer graphic era ancora fuori portata, eppure ricordo benissimo - eravamo in galleria - di essermi sentita precipitare durante la soggettiva dello schianto. In sala, la gente gridava. Sono cose che non si dimenticano e mostrare gambe spezzate e sedili che schiacciano i passeggeri non può certo sostituire emozioni del genere.
In questo senso, La società della neve può rimanere impresso solo a chi non aveva già vissuto da spettatore la tragedia delle Ande. E solo chi non ha già visto il toccante film di Marshall può pensare di trovarsi di fronte a qualcosa di inedito vedendo questo.
Voto
Redazione

La società della neve: recensione del film di Netflix sulla tragedia delle Ande
Terza trasposizione cinematografica della drammatica, vera storia della cosiddetta “tragedia delle Ande”, La società della neve ha chiuso a settembre l'80esima edizione del Festival di Venezia. Per quanto drammatico, ben realizzato e interpretato ed emotivamente impegnativo, il film scritto e diretto dallo spagnolo J.A. Bayona, già dietro le quinte di quel capolavoro che è The Impossibile, non arriva a superare Alive - Sopravvissuti, il film del 1993 con Ethan Hawke e Josh Hamilton. Rispetto alla pellicola diretta da Frank Marshall, La società della neve dispone di una tecnologia nettamente superiore, eppure non lascia quella sensazione di disagio, dolore, orrore e infine riscatto che ti resta addosso dopo la visione di Alive. Nonostante la durata nettamente superiore, La società della neve non scandisce ossessivamente il trascorrere del tempo come nella pellicola del 1993. Le giornate, in certi momenti, volano. Come se il tempo non fosse il più temibile nemico, per i sopravvissuti, insieme al freddo.
Il cast, con Enzo Vogrincic (Numa Trucatti), Matías Recalt (Roberto Canessa) e Agustín Pardella (Nando Parrado), restituisce interpretazioni coinvolgenti e drammatiche. Ma questo, lo ribadisco fortemente, non basta a renderlo emotivamente più impattante del predecessore Alive. Nonostante il maggiore realismo, e le sequenze più crude realizzate sia durante lo schianto che dopo la valanga, La società della neve non aggiunge nulla, a livello cinematografico, a ciò che avevamo già conosciuto. Un buon film che esce sconfitto dall'inevitabile paragone con il film del 1993.












