Il club dei delitti del giovedì: non è mai troppo tardi per diventare detective

Quattro anziani investigatori improvvisati si ritrovano a indagare su un un omicidio, per un caso complesso che li metterà in grave pericolo. Su Netflix.

di Maurizio Encari

Coopers Chase è una lussuosa struttura per anziani residenti, dove si muovono i destini dei protagonisti di Il club dei delitti del giovedì. Protagonisti che per l'appunto sono quattro pensionati che si dilettano nel cercare di risolvere dei casi insoluti, ritrovandosi per l'appunto come dice il titolo in quel determinato giorno della settimana per condurre le loro indagini e condividere gli indizi raccolti.

Il team è composto da: Elizabeth Best (Helen Mirren), una ex spia del MI6; Ron Ritchie (Pierce Brosnan), un ex sindacalista; Ibrahim Arif (Ben Kingsley), un ex psichiatra in pensione; la new-entry Joyce Meadowcroft (Celia Imrie), un'ex infermiera. Sono pronti a sfruttare il loro principale punto di forza, ovvero il fatto che le persone anziane passino maggiormente inosservate, per arrivare là dove la stessa polizia non riesce. La loro routine relativamente tranquilla cambia drasticamente quando un omicidio apparentemente inspiegabile finisce per coinvolgerli da vicino, trasformando il loro passatempo in una vera e propria indagine che li metterà in grave pericolo. La morte di Ian Ventham (David Tennant), il subdolo proprietario della residenza pronto a cedere i terreni su cui sorge, innesca una serie di eventi violenti e misteriosi di difficile risoluzione.

Il club dei delitti del giovedì: dalla carta allo schermo

Ecco di fronte all'adattamento dell'omonimo romanzo di Richard Osman, un'opera che ha ridefinito i confini del "cozy crime" contemporaneo, ovvero storie dove i protagonisti sono dei detective improvvisati. Il club dei delitti del giovedì mette fin da subito le cose in chiaro, proponendosi come una commedia gialla dai toni leggeri, visione ideale per un pubblico eterogeneo e per chi cresciuto con le garbate disavventure de La signora in giallo, pur aggiornata ad un approccio più cool e moderno che si rivolge anche a spettatori meno navigati. Le aspettative per un progetto di questa portata erano inevitabilmente alte, ma il risultato seppur non memorabile si è rivelato un'opera gradevole, capace di intrattenere per due ore di visione nell'attesa che i veri colpevoli vengano infine alla luce, con tanto di cold case legato a un lontano passato quale sottotrama d'accompagnamento.

La regia, inizialmente affidata a Ol Parker - suo il dittico di Marigold Hotel e Mamma Mia! Ci risiamo (2018) - ha subito un cambio significativo al timone, passando nelle mani del più esperto Chris Columbus, grande veterano di successi fantastici per tutta la famiglie, il cui stile affabile è riconoscibile nell'avvolgente messa in scena.

Elementare, Watson!

Nonostante l'ambientazione inglese che più inglese non si può, la produzione batte bandiera americana, ma questo è un semplice dato tecnico in quanto l'atmosfera british è ben presente dall'inizio alla fine. E non poteva che essere altrimenti con un cast totalmente autoctono, che vede nei quattro ruoli principali interpreti del calibro di Helen Mirren, Pierce Brosnan, Ben Kingsley e Celia Imrie, affiancati da comprimari altrettanto di lusso quali David Tennant, Jonathan Pryce e Richard E. Grant. Un gioco raffinato quello messo su dagli anziani detective, pronti a tutto pur di scoprire la verità prima che sia troppo tardi. E che per ottenere informazioni clou dalla polizia arrivano anche a "corromperla" con tè e biscottini, nella più classica delle merende inglesi.

Certo in diversi passaggi la sceneggiatura sembra essere stata ponderatamente calibrata per andare a colpo sicuro, con un'atmosfera quieta e rilassante solo occasionalmente scossa da passaggi più ipoteticamente tensivi, anche se di eventi effettivamente crudi e violenti non ve n'è traccia, con gli stessi delitti stilizzati all'acqua di rose o totalmente fuori campo.

Peccato che alcuni spunti potenzialmente sensibili e oggetto di riflessione, come il tema relativo alla demenza o alla morte assistita, siano stati affrontati con fin troppa disinvoltura, probabilmente per cercare di non scandalizzare nessuno ma dimostrando al contempo poco coraggio, con l'anima drammatica e introspettiva del racconto che paga questa eccessiva timidezza a livello puramente emotivo. E adoperando anche alcuni sostanziali cambiamenti rispetto all'opera alla base, che sarebbero probabilmente risultati più incisivi qualora portati sullo schermo.