Capitan Harlock

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Un istante che si ripete diventa eterno. E' una delle perle di saggezza stile biscotto della fortuna (o Bacio Perugina, per gli amanti della cioccolata) snocciolate dagli sceneggiatori dell'ultima fatica di Leiji Mashimoto dedicata al suo personaggio più famoso e amato, il pirata spaziale Harlock. Gli anni, trentacinque più o meno dalle prime trasmissioni pomeridiane dei cartoni animati sulle sue avventure, sono passati per tutti. E a qualcuno, nelle lontane isole del Sol Levante, é venuto in mente che fosse tempo di rivisitare un personaggio amatissimo, famoso al punto da dare il nome ad un'intera generazione (i ragazzi degli anni '80, in Francia, si chiamano generazione Albator, dal nome francese del pirata della serie animata), effettuando quello che é stato definito un po' pretenziosamente, un reboot. Purtroppo, rimanendo in campo informatico, é risaputo che quando si riallinea un sistema operativo collaudato, pretendendo di apportarvi cambiamenti di sostanza, il rischio di qualche crash sistemico di troppo rappresenta molto più di una mera eventualità.

E' proprio quello che succede con questo film di Harlock.
Adesso prestate attenzione, però, ciurma! Prima di mettere la nuova Arcadia in un bacino di carenaggio orbitale e iniziare a sezionarla pezzo per pezzo, nel tentativo di svelare luci e ombre di questo lungometraggio, in uscita nelle nostre sale ai primi di gennaio 2014, é d'obbligo una raccomandazione per chi legge. Non si può scrivere questa recensione senza svelare qualcosa della trama. Se siete amanti delle sorprese, quindi, e non volete leggere nulla, ma proprio nulla della sceneggiatura, fermatevi qui. E per rispondere a voi stessi circa la decisione da prendere sull'andare o meno a vederlo, fatevi bastare la lettura del box di commento e del giudizio finale e poi lanciate una moneta. Testa ci s'imbarca, croce si resta a terra.

E ora accendiamo il motore a materia oscura e passiamo a navigazione in-skip (che sarebbe un po' come l'FTL di Galactica, o la velocità di curvatura dio Star Trek per capirci). Macchine avanti tutta e alla via così.
Chi mi legge sue queste pagine da qualche anno sa che non mi piace girare attorno alle cose. Perciò lo dico chiaro e tondo. Il film non mi é piaciuto granché. Troppe, imperdonabili modifiche ai caratteri dei personaggi originali della serie, per convincere i fan di lunga data. Troppe incomprensibili divagazioni, imprecisioni e stereotipi, per arruolare nei ranghi degli appassionati nuove e più giovani reclute. Sarebe addirittura il caso di dire che Harlock é morto. Sparito del tutto, o quasi, il sensibile pirata sdenza macchia e senza paura, coraggioso, disposto a tutto, ma capace di incredibile tenerezza nei confronti della sua amata piccola Mayu (la bimba suonatrice di ocarina é scomparsa del tutto dallo script). Al suo posto, gli sceneggiatori Harutoshi Fukui e Kiyoto Takeuchimaru, hanno piazzato un suo clone passato al lato oscuro della Forza, taciturno, introverso, incline al terrorismo, empatico come un satellite metereologico con le pile nucleari esauste.

> Assault on Dragon Keep


Di pochissime parole per oltre metà del film, la versione Jedi oscuro di Harlock risulta antipatica a pelle (almeno a me ha fatto questo effetto), facendo nascere la tentazione in chi guarda di tifare per la sua cattura e/o eliminazione. Accanto a lui ruotano coprotagonisti e comprimari vecchi e nuovi. Primo fra tutti Yama (che nella brochure stampa consegnataci si ostinano a chiamare Logan: decidetevi!), giovane militare con la passione della floricultura, roba che se lo dicevamo noi a diciott'anni alla visita di leva, ci sbattevano dritti dallo psicologo, e un debito da pagare nei confronti del fratello Ezra, brillante ammiraglio della Coalizione Gaia, reso invalido, ma non solo... (questa però evito di spoilerarla perché costituisce il più bel colpo di scena del film), per colpa sua. Infiltrato sull'Arcadia per spiare e possibilmente eliminare Harlock, Yama scopre fin da subito che il suo compito non sarà una passeggiata. Nel vero senso della parola, visto che ai candidati pirati spaziali, per tentare di farsi imbarcare, tocca spararsi, tutta d'un fiato e con il boccone sullo stomaco, una scalata in sesto superiore, senza cordi né chioda, che nemmeno il miglior Manolo... Beati i vecchi tempi in cui ti beccavano ubriaco in una bettola e ti svegliavi sul ponte con la scelta di arruolarti o di fare quattro passi sulla tavola stesa fuoribordo.

Arrivato in cima e accolto sulla rampa della stiva, Yama si confronta per la prima volta con il bizzarro senso morale dei corsari. "Per quale motivo ti vuoi arruolare?" viene chiesto al primo candidato, con le spalle rivolte all'abisso, in equilibrio sul bordo della rampa di carico. Il tapino pensa bene di rispondere innocuamente che é alla ricerca di avventure e viene generosamente spedito ad emulare Patrick De Gaillardon (quella volta che il paracadute non gli si é aperto, intendo). A questo punto, il secondo candidato dovrebbe aver già capito dove tita il vento. Invece, con un sorriso idiota e gocciolina di bava nella perfetta tradizione degli anime bidimensionali, se n'esce con un "i soldi" che gli regala, meritatatamente stavolta, una bella dimostrazione della fisica newtoniana sulla sua pelle. Yama se la cava, per il rotto della cuffia, attingendo al suo repertorio di gruppetaro ai bei tempi delle canne fumate nei corridoi del liceo okkupato. Gli basta biascicare un "la libertà" ed ecco una bella pacca sulla spalla, un'uniforme, una pistola e il permesso di andarsene in giro per la nave pirata come gli pare, nonostante quella scritta "spia infiltrata" di neon fucsia che sembra lampeggiargli sulla fronte come l'insegna di uno strip-bar.