Caught Stealing regala il meglio del cinema e della New York anni '90 e un Austin Butler irresistibile

Darren Aronofsky indulge in un film più commerciale del solito, senza però mai conformarsi allo status quo girando un film anni ‘90 come non se ne vedeva da tempo.

di Elisa Giudici

Una cavallo di razza rimane tale, ovunque si ritrovi a competere. Non è chiaro perché Aronofsky si ritrovi al cinema con un’uscita molto, molto più convenzionale e commerciale del suo solito, dopo aver di scontato alcuni fiaschi rilanciando la carriera di Brendan Fraser con The Whale. Non è chiaro se per suo sfizio o per necessità si ritrova a girare un film come Una scomoda circostanza – Caught Stealing, il cui vero e unico difetto è di venire inspiegabilmente lanciato da Sony sul finire dell’estate come un riempitivo qualunque, quando invece è davvero una gemma.

Caught Stealing: il cinema degli anni ‘90 fatto bene

Adattamento dell**’omonimo romanzo di Charlie Huston** (che scrive anche la sua prima sceneggiatura filmica rielaborando il suo libro), Caught Stealing è per giunta una pellicola che fa davvero bene qualcosa che Hollywood insegue da tempo: un film ambientato negli anni ‘90, con le atmosfere, lo stile, il passo e in generale l’allure di quell’epoca,riscoperta in chiave violenta e umoristica sì, ma nera. Laddove quest’estate altri ci hanno provato, evidenziando soprattutto i difetti più datati del cinema di quell’epoca (i nuovi Final Destination e So cosa hai fatto, per fare due esempi), Darren Aronofsky riesce ad attingere con sorprendente facilità a un linguaggio divenuto desueto, un tempo però estremamente ricorrente e per questo oggi insieme nostalgico e fresco.

Il Lower east side del 1998 di Caught Stealing è popolato da personaggi ritratti con pochissimi movimenti di camera,un pugno di battute, eppure fortemente caratterizzati. C’è Microbo, il tarchiatto picchiatore con una voglia sulla faccia che ragiona a suon di testate, ci sono i due fratelli ebrei ortodossi nel loro ondeggiare spaventoso tra cortesia e pura violenza, il senza tetto gentile che ti dà del bravo ragazzo e c’è il vicino di casa del protagonista, pavido e lamentoso, a cui tutti danno dello yuppie bancario anche se “progetta siti web”.

Quella di Caught Stealing è insomma un’umanità variegata che si distingue per tratti per lo più violenti e sgradevoli,ma che risulta affascinante da seguire, in cui tutti sono “street smart”, cioè resi scafati da una città che esige di essere pronti a mordere quando si mostrano i denti. È un luogo tanto sporco quanto affascinante, in cui si può essere adulti ma non “vivere nella realtà”, ubriacandosi nel bar dove si lavora, ballando sui tavoli da biliardo e facendo colazione, pranzo e cena con una birra.

Caught Stealing è nobilitato dall’ottima regia di Aronofsky

L’unico che fatica a tenere quest’attitudine ironicamente distaccata e violenza sembra essere Hank Thompson (Austin Butler), un adulto che viene immediatamente riconosciuto come “non newyorkese” pur vivendo in città da una decina d’anni. Ex promessa del baseball, diffidente verso i gatti, legatissimo alla madre è per tutti un bravo ragazzo, a cui si legge negli occhi l’incapacità di uccidere o fare del male, anche quando la sua vita prende una svolta inaspettatamente violenta.

il suo vicino punk Russ (Matt Smith) gli lascia il gatto Bud in custodia all’improvviso ma il felino porterà una serie di “scomode circostanze” che metteranno Hank in pericolo, trasformandolo in un fuggitivo. Hank è dunque costretto ad affrontare questioni del proprio passato che lo bloccano da tempo, anche nella relazione con la bellissima paramedico (Zoë Kravitz) che si porta volentieri a letto ma con cui non riesce a stabilire una relazione più importante. Il punto di partenza è convenzionale insomma - il classico innocente che deve stringere i denti e reagire perché preso di mira dalle persone sbagliate per un fraintendimento - ma non quello di arrivo, perché Darren Aronofsky ci mette una maestria registica degna di film ben più ambiziosi, che porta l’intero progetto su un altro livello.

Basta vedere il primo, stupendo movimento di macchina da presa che inquadra con un rapido allontanarsi l’ombra del protagonista proiettata sul diamante del campo da baseball, perché quello è un passato che Hank si è già giocato. Quando nel film si troverà a brandire una mazza da baseball per difendersi e per scaricare la frustrazione, ecco che il movimento sarà contrario, di riavvicinamento. O per meglio dire ricalibratura, perché l’ossessione per i Mets nasconde un passato complesso (dal rapporto con la madre al modo in cui ha affrontato la sua carriera sportiva) che sebbene solo accennato capiamo alla perfezione, proprio grazie a come Darren Aronofsky lo racconta con le immagini.

Supportato da un’ottima sceneggiatura - che ripropone certi stilemi anni ‘90 ma senza mai romanticizzarli in maniera più critica e problematizzata - Caught Stealing può permettersi il lusso di affidarsi totalmente al suo cast molto variegato e ben scelto per fare il resto. Una singola inquadratura a due ragazzi che si baciano che si muove pian piano verso le bottiglie che tengono in mano sintetizza l’alcolismo del protagonista in un film che è un tutto un rivelatorio inseguire bottiglie al centro dell’inquadratura quando le priorità per il protagonista dovrebbero essere altre.

Austin Butler è la star, il sex symbol e l’attore perfetto per il ruolo

Il suo protagonista Austin Butler si rivela la scelta perfetta per Hank. La sua presenza scenica, mai minacciosa, intensa e naturalmente sensuale, regala quella perfetta allure di “bravo ragazzo” senza però perdere l’intensità della star avvenente. È insomma la faccia giusta, che ben si sposa con un film che costruisce con grande seduttività il suo rapporto con l’attrettanto magnetica Zoë Kravitz. Il loro continuo, esplicito flirtare e il loro aperto amoreggiare è lontano anni luce dall’impaccio odierno nell’affrontare l’intimità. Come negli anni ‘90, Darren Aronofsky ha due star incredibilmente piacenti e sexy e ne sfrutta l’avvenenza, in un film più che disposto a essere sexy oltre che violento. L’ironia c’è ma è nera e stempera appena l’evolversi di una situazione che altrove sarebbe incredibilmente più drammatica.

Se il film non diventa angosciante nell’analizzare ciò che impedisce a Hank di voltara e ciò che lo costringe a mostrare i denti e mordere è il perfetto equilibrio tra componente umoristica, d’azione e dramma, ma anche appunto il suo protagonista. Quella di Butler è un’ottima interpretazione, che sfrutta qualcosa di pochissimo battuto negli anni ‘90: la capacità di tenere insieme un ragazzone attraente e sportivo con una certa qual emotività e vulnerabilità. Il film nei momenti giusti sa andare oltre l’intreccio da mero action d’intrattenimento un po’ perché Aronofsky è in grado di farlo ad occhi chiusi, un po’ perché Butler ci mette un certo spessore emotivo, tirando fuori le lacrime, la malinconia e l’incoscienza quando necessario, prendendo il ruolo assai sul serio nella sua caratterizzazione. Arrivati alla fine si nota un po’ stupiti quanto sia oscuro di fatto il suo intreccio, quanto sia solo e disperato il suo protagonista, senza che però il film metta addosso eccessiva angoscia o tensione, rivelandosi divertente anche nell’essere cupo e talvolta drammatico.