La terra promessa, recensione: Mads Mikkelsen è gigantesco in un western danese che commuove

Diventato padre e ripresosi dal flop de La torre nera, il regista Nikolaj Arcel confeziona un film che esplora l’intera gamma emozionale umana, che da dramma storico si fa western e poi storia d’amore. La recensione di La terra promessa.

di Elisa Giudici

Venti maledetti sacchi di patate, ettari di brughiera danese coperti solo di erica e latifondisti che considerano i fittavoli una loro proprietà: La terra promessa, trasforma questi ingredienti in un’epica lotta tra uomo e natura, tra proletari e nobili, tra caos e ordine, evolvendo da dramma in costume a western nordico.

Ispirato dal romanzo Kaptajnen og Ann Barbara di Ida Jessen, La terra promessa, non racconta una storia vera, ma è così coerente e coeso da sembrarlo, capace di racchiudere nel suo racconto una gamma completa di emozioni umane. La purezza giocosa di una bambina nomade astuta fa da contraltare perfetto alla crudeltà insensata di un nuovo aristocratico che prova piacere nel bollire vivo un contadino che ha osato fuggire. Intitolato in originale Bastarden, così come i suoi "figli di nessuno" sa essere violento, brutale, di una violenza che i protagonisti subiscono e perpetrano, ma poi conquista con un’intensità tale di affetti che durante la proiezione dedicata alla stampa - popolata da un selezionato pubblico di grande cinismo - nel buio si sentivano alcuni singhiozzare.

Non è cinema d’autore, dirà qualcuno, ma che importa se è cinema fatto benissimo, pieno di contenuto, che non rifugge la politica e la ricerca di un senso dell’esistenza, quando la legge è per lo più uno spunto e la natura inospitale non è l’unico agente di caos. Sarebbe “solo” un gran bel film se non ci fosse un Mads Mikkelsen monumentale, gigantesco,seguito da un cast quasi alla sua altezza, a portare il film su un livello ancora più alto.

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La trama di La terra promessa

Il capitano Ludvig Kahlen (Mads Mikkelsen) è riuscito in 25 anni di duro lavoro a raggiungere il suo grado nell’esercito, partendo da zero. Figlio bastardo di un aristocratico, impiegato come giardiniere e poi mandato a morire sul campo di battaglia, ne torna con una modesta pensione e un convincimento incrollabile: riuscirà a coltivare la brughiera dello Jutland, come da desiderio del suo re.

In guerra ha scoperto le patate, una pianta di recente adozione in Europa che cresce ovunque e teme solo il gelo. Ottenuto il permesso reale e la promessa di un titolo nobiliare se riuscirà nell’impresa, Ludvig si scontra con una terra inospitale in molti modi: la popolazione è superstiziosa, il giudice e aristocratico locale vuole soggiogarlo con un contratto capestro, i briganti razziano chiunque sosti nella zona.

Con l’aiuto di una coppia di fuggitivi e l’appoggio di un prete locale, Kahlen affronta un anno di privazioni, minacce, rovesci della sorte e difficoltà. Riuscire a coltivare le sue patate si rivelerà solo il primo passo di una sfiancante guerra di posizione con i nobili locali e una brughiera insidiosa, che resiste a ogni tentativo di colonizzazione.

Cosa rende speciale La terra promessa

Vedendo La terra promessa vi troverete sull’orlo della poltroncina, a seguire con spasmodica attenzione e ansia la crescita della patate del capitano Kahlen. Non sembra il più attraente degli incipit, invece Nikolaj Arcel riesce a tirarne fuori una pellicola che ha tutto ciò che gli riesce bene, nell’ordine: il dramma in costume, la narrazione della storia danese, il tratteggiare una storia d’amore anticonvezionale e travolgente, aggiungendo molto, molto di più.

In quanto western nordico ambientato nella brughiera danese presenta uno scontro frontale tra un cattivo ricco e crudele e un uomo idealista che crede nella legge e nel suo re, con tanto di agguati, omicidi, macabre esecuzioni, fustigazioni, evirazioni e regolamenti di conti.

In quanto film drammatico racconta in maniera incisiva la continua sfida che è il rapporto tra umanità e natura, la necessità di piegare il mondo naturale per sostentarsi, la difficoltà di farlo quando ogni umano segue i propri interessi. È un film con un chiaro messaggio politico. Bastarden sin dal titolo racconta l’illusione di un uomo che cerca il riscatto per i suoi natali con un titolo nobiliare e che si ritrova a lottare al fianco di diseredati perseguitati dal potere assoluto, dalla crudeltà e dal disinteresse espresso da quella stessa nobiltà.

Kahlen è un personaggio complesso, che desidera sopra ogni cosa l’ordine, poco incline a seguire i suoi sentimenti, con un passato da soldato abituato a essere brutale che talvolta affiora, così come un lato affettuoso che coltiva, insieme alle patate, nello Jutland, aiutato da due personaggi femminili memorabili, ottimamente scritti e ben recitati.

Arcel è un regista invisibile, che non hai mai guizzi artistici o elementi distintivi nel suo stile. Non ha una voce autoriale, ma questo non significa che il suo cinema non faccia rumore. Bastarden sembra il suo Via col vento per intensità d’orgoglio e del sogno dei protagonisti, per la crudeltà della guerra e della terra. È una pellicola classica, poco adorna, che investe le sue energie per incorniciare le performance dei suoi attori.

Energie ben spese: tutto il cast è assai capace, ma non ci sono parole per descrivere il lavoro sublime che Mikkelsen fa qui. Arcel e Mikkelsen tirano fuori il meglio l’uno dall’altro. Il primo, forse perché diventato padre, ha trovato un’autenticità di sentimento impressionante, il secondo è la perfetta cassa di risonanza, capace di trasmettere con il volto impercettibili variazioni emozionali passeggere.

Difficile che non arrivi una nomination per miglior film internazionale alla Danimarca e, magari, finalmente, una per un Mikkelsen che ha già ipotecato la Coppa Volpi. Sempre che la giuria non pensi a qualcosa di più…