Baramulla: dall'India un thriller/horror tra impegno e intrattenimento di genere

Un ispettore di polizia recentemente trasferitosi in una cittadina del Kashmir si trova a indagare sulla misteriosa scomparsa di alcuni bambini della zona. Su Netflix.

di Maurizio Encari

La storia ha inizio nel dicembre del 2016. L'ufficiale di polizia Ridwaan Sayyed si è appena trasferito con la famiglia nella cittadina di Baramulla, una zona sulle montagne innevate nell'Unione Territoriale del Kashmir. L'agente si trova lì per indagare sulla misteriosa scomparsa di alcuni ragazzini, spariti in circostanze inspiegabili negli ultimi tempi, senza lasciare traccia: una situazione inquietante che sta terrorizzando l'intera comunità e in particolare i genitori di bambini e preadolescenti.

Quello che inizialmente sembra un caso legato alla cronaca nera e a potenziali rapimenti, si trasforma ben presto in qualcosa di molto più inquietante e primordiale: nella vecchia casa dove la famiglia Sayyed si è stabilita cominciano infatti ad accadere dei fenomeni inspiegabili, delle presenze invisibili tormentano i figli Noorie e Ayaan e la moglie Gulnaar comincia a percepire che dietro quelle mura si nasconde un segreto sepolto da decenni.

Baramulla: l'orrore e il fanatismo

Nuovo film Netflix di produzione indiana, Baramulla si presenta come un'operazione coraggiosa che tenta di fondere gli archetipi dell'horror soprannaturale con una riflessione più drammatica sul trauma storico della valle del Kashmir. Una commistione di generi che funziona a tratti ma che quando vuole farsi troppo ambiziosa, nella sua spasmodica ricerca di non lasciare nulla di intentato, rischia di perdere equilibrio, sacrificando la coerenza narrativa in favore di un messaggio politico potenzialmente divisivo.

Il regista Aditya Suhas Jambhale aveva già affrontato la situazione relativa ai disordini del 2016 in quelle zone nel precedente Article 370 (2024), che si proponeva di darne una prospettiva tramite le logiche del thriller politico. Qui invece punta sull'elemento sovrannaturale, dimostrando una certa padronanza del linguaggio cinematografico e della gestione della paura e del mistero, costruendo alcune sequenze di tensione dalla messa in scena efficace, richiamando a un immaginario consolidato per creare un'atmosfera sottilmente inquietante.

Insieme per forza

Laddove l'operazione fatica maggiormente è nel tenere insieme le molteplici anime del racconto. Baramulla vuole infatti essere contemporaneamente un thriller poliziesco, un horror sui fantasmi, un dramma familiare e una riflessione storica sull'esodo dei Pandit del Kashmir negli anni Novanta. Il risultato è un film che procede a strappi, alternando momenti di autentica suspense a divagazioni che finiscono per spezzare il ritmo narrativo. La commistione tra l'immateriale, quel mondo degli spiriti che così tanti tragici segreti si porta appresso, e cronaca militante risulta forzata, come se due sceneggiature diverse fossero state cucite insieme senza un necessario lavoro di taglio e cucito.

Dal punto di vista estetico ci troviamo a fare i conti con un lavoro tecnicamente competente, potente inoltre contare sulle suggestive location e sulla forza intrinseca del folklore locale, che in molti forse non conosceranno appieno e quindi ancor più incuriosente. 

La resa dei conti finale, con tanto di twist a suo modo sorprendente - che sembra richiamare a certo cinema di Guillermo del Toro - e dove infine tutti i nodi verranno al pettine, vive su un crescendo di una certa rilevanza, riuscendo a unire con una certa abilità dinamiche di genere e impatto emozionale, ritrovando coesione e mostrando come il precedente minutaggio avrebbe beneficiato di una maggior coerenza narrativa. Ci troviamo così davanti a un film sicuramente affascinante e foriero di spunti, ma formalmente imperfetto.