Badlands è il film più bizzarro del franchise di Predator, ma tra fantascienza e commedia funziona alla grande

Trascinato da una Elle Fanning deliziosa e dall’innegabile talento del regista di Prey Dan Trachtenberg, Badlands riesce a far funzionare una trama che poco ha a che fare con il suo franchise.

di Elisa Giudici

Quarantacinque anni dopo il primo su Predator di John McTiernan, otto titoli dedicati (di cui sei film live action) e innumerevoli videogiochi, libri, fumetti e merchandise dopo, chiedere a Badlands di essere fedele allo spirito della saga significa interrogarsi su quale sia lo stesso oggi, dato che il primo film di certo non presupponeva questa espansione crossmediale e longevità temporale.

Nelle sue incarnazioni cinematografiche pluridecennali, Predators è diventato molte cose: Badlands però rimane il soggetto più bizzarro e lontano dal quel nocciolo horror fantascientifico a cui solitamente viene associata questa saga. Non sarebbe esagerato definirlo un coming of age fantascientifico con degli elementi da commedia. Il protagonista della storia infatti è Dek (Dimitrius Schuster-Koloamatangi), uno Yuthja considerato debole e deforme che per essere rivalutato agli occhi del suo clan e del crudele padre decide di recarsi sul pianeta Genna e provare a uccidere una creatura invincibile chiamata Basilisk.

Badlands è un coming of age predatoriano

Dek però ha grandemente sottovalutato il pianeta stesso: se il Basilisk è in cima alla catena alimentare, ogni forma di vita (flora e fauna) si è evoluta per essere altamente letale, rendendo ogni passo sulla superficie una prova di sopravvivenza anche per un guerriero come lui. Per questo motivo stringe malvolentieri un’alleanza con una sintentica - anzi mezza - di nome Thia (Elle Fanning). Inviata dalla corporazione Yutani per mappare il pianeta, Thia è rimasta senza gambe dopo lo scontro con la creatura e senza la sua “gemella” Tessa, dispersa da qualche parte.

Thia è un’esperta di predatori e guida Dek nella caccia al Basilisk, in un’avventura in cui preda e predatore sono ruoli che si alternano continuamente. La chiacchiera facile e le battute brillanti di Thia e la giovane età dei protagonisti rendono il film molto frizzante e giovanile, lontanissimo dall’oscurità fotografica e tematica dei film precedenti.

Il punto di forza di Badlands è la costruzione del suo pianeta ostile e selvaggio

Il punto di forza della pellicola, come in ogni space opera che si rispetti, è la costruzione del mondo. Le migliori trovate di Badland sono tutte riservate a tratteggiare la flora e fauna letali del pianeta, ben realizzate dagli effetti visivi ma soprattutto ben scritte e ideale. Sembra quasi un videogioco in cui il giocatore deve imparare a combinare gli elementi naturali ostili circostanti per costruire armi o scalare la catena alimentare. In questo frangente si sente un po' l'influenza di Prey, in cui era centrale l'abilità dei protagonisti preistorici a sfruttare l'ambiente circostante e la loro mentalità da cacciatori per farne via via degli avversari credibili per gli alieni giunti sul loro pianeta.

Elle Fanning e Dan Trachtenberg rendono Badlands un film migliore 

La premessa e alcuni passaggi della trama sono al contrario sono molto, molto convenzionali. Eppure Badlands trova in una Elle Fanning sempre in grado di catalizzare l’attenzione dello spettatore (qui in un doppio ruolo "robotico" molto convenzionale ma da lei trasformato in vero intrattenimento) il suo punto di forza. Considerando che l’altra sua performance di quest’anno, altrettanto riuscita, è in Sentimental Value di Joaquim Trier, si conferma un’attrice di grande solidità e poliedricità, adatta a tutti i registri e generi, capace di “portarsi in giro” lo spettatore, di dare carattere e freschezza a ruoli persino un po’ banali come questo.

L’altro nome che emerge vincitore da Badlands è indubbiamente quello del suo regista Dan Trachtenberg, che quest’anno ha diretto anche l’antologia animata Predator: Killer of Killers. Ormai esperto della saga di Predator, la sua opera migliore in questo ambito rimane il notevole e sfortunatissimo Prey, mai arrivato nelle sale. Badlands è scritto dallo stesso duo (Dan Trachtenberg e Patrick Aison) ma è infinitamente più rassicurante e persino semplice nelle sue ambizioni del predecente "preistorico".

Per giunta si ha spesso l’impressione che la produzione guardi alla duologia di Dune di Denis Villeneuve come ispirazione stilistica e sonora. È impossibile sentire la bella colonna sonora di Predators: Badlands senza pensare sia una “taroccatura” di pregio dell’immane lavoro di Hans Zimmer per il kolossal fantascientifico di Denis Villeneuve, così come certe riprese su Yunthja Prime e nei passaggi bellici finali ricordano moltissimo Gedi Prime e l’assalto alla capitale di Harrakis da parte degli Harkonnen. Nonostante queste influenze peggiorative dato che Bandlands ha un budget ben più ridotto del film da cui “prende spunto”, probabilmente più calate dall’alto che altro, Dan Trachtenberg ha un vero talento per trovare il movimento di cinepresa perfetto per acuire una battuta, rendere più elegante o avvincente un combattimento.

Rimane il fatto che il film - parzialmente depotenziato dalla chiusura criminale nel suo essere così aperta - pare mostrare il suo vero potenziale solo nel gran finale. Con il continuo annacquarsi del confine tra serie televisive e cinema, si ha quasi l’impressione di aver visto un pilota molto promettente di una serie. Per giunta il film ha una vibrazione fortissima da blockbuster estivo, perciò la sua collocazione novembrina suscita una qual certe perplessità. Insomma, Badlands è un piccolo film che dimostra che, con i talenti giusti, dopo Prey Predator può muoversi in direzioni ancora più inaspettate considerando i suoi natali e con una notevole efficacia.