The Power of the Dog, recensione: sadismo, omicidio e segreti nel western sexy e brutale di Jane Campion

La regista di Lezioni di piano e Bright Star torna 12 anni dopo il suo ultimo film con un western luciferino che ci ricorda quanto il suo cinema possa essere erotico e brutale.

di Elisa Giudici

Un Benedict Cumberbatch così sadico e cattivo non l'avete mai visto: l'attore di Sherlock e Doctor Strange è stato scelto dalla regista neozelandese Jane Campion per interpretare Phil, un mandriano coacervo di impulsi e debolezze che sublimano in un atteggiamento persecutorio verso chi gli sta intorno. È il protagonista del romanzo The Power of the Dog dello scrittore Thomas Savage del 1967, amatissimo da Campion, che arriva su grande schermo con una produzione Netflix con un comparto tecnico impressionante. Le distese infinite di colline della Nuova Zelanda (dove è stato ricreato il Montana del 1925) sono fotografate da Ari Wegner e percosse dai motivi ossessivi di Jonny Greenwood. Un cast tecnico di altissima qualità, accompagnato da una compagine di attori (Kirsten Dunst, Jesse Plemons e soprattutto il giovane Kodi Smit-McPhee) che fanno di The Power of the Dog un film atteso, imperdibile.

Crudele perché autentico

A fare la differenza non è la malvagità di Phil, perché il western e la frontiera americana vivono al cinema di una nomea e un'immagine brutale, violenta. Non è un posto per signorine, si diceva un tempo, affermazione intrinsa di machismo che qui c'entra appieno lo spirito il personaggio principale. Campion, così come il romanzo di partenza, è interessata da capire cosa si nasconda sotto il machismo esibito e il bullismo che sembrano parte stessa dell'identità dei mandriani; persone i cuoi sentimenti autentici sembrano essere esprimibili solo attraverso la derisione e la crudeltà.

L'unico limite del film - che però potrebbe guadagnargli lo sfavore del pubblico - è che un vero e proprio slow burner, una pellicola che procede a ritmo lento e che potrebbe annoiare chi non ne colga subito le allusioni e le zone di silenzio. Di fatto Campion costruisce l'intero film sulla mancanza dilaniante di ciò che non viene detto, ma i cui contorni vengono definiti con sempre più chiarezza. La solitudine schiaccia i protagonisti, così come l'ossessione per le persone a sé vicine, ma lontanissime. C'è chi desidera una persona accanto per non sentirsi più solo pur avendo un fratello zelante, c'è chi pulisce la sella di una figura cardine della propria vita senza nemmeno rendersi conto dei termini per cui è stata importante, c'è chi vive ogni uomo che incontra come l'ennesima persona a cui sopravvivere.

L'amour fa saltare il banco (e il brocco)

Phil si contrappone alla bella moglie di George perché il suo arrivo distrugge il sodalizio senza fine con il fratello (fatto di bullismo e crudeltà ma autentico), Peter invece odia Phil perché prova un'ossessione simile a quella fraterna di Phil ma per la madre, oggetto della guerra senza quartiere del mandriano. A differenza dei consueti cattivi senz'anima e sensibilità, brutali nel lavoro e negli abusi, Phil è un personaggio che - tragicamente - condivide moltissimo con le persone che tormenta ed è a sua volta schiacchiato da un senso di abbandono devastante. Laureato a Yale, musicista e avido lettore, sembra in grado di processare bellezza e sensibilità solo attraverso il loro annientamento. Un uomo che castra bovini a mani nude, ma poi si rintana presso una fonte nel bosco per fare il bagno, tanto forse è il suo imbarazzo verso il suo stesso corpo.

La vera tragedia di The Power of the Dog è che Phil e le sue vittime Rose e Peter condividono la medesima sensibilità e intelligenza, che per il mandriano va tenuta a bada come qualcosa di pericoloso, per sé e per gli altri.