Bullet Train, recensione: copiare dai migliori, esagerando, è un’ottima strategia

Ipertrofico, iperattivo, ipertrofico, Bullet Train è un onesto film d’intrattenimento che si circonda di un cast di celebrità e copia dai migliori sulla piazza, divertendo il giusto.

Sulla carta Bullet Train è l’adattamento filmico del romanzo giapponese I sette killer dello Shinkansen, scritto nel 2010 da Kōtarō Isaka. Nella pratica è il tentativo abbastanza riuscito di mettere su un action divertente, fracassone, ricchissimo di rimandi e riferimenti, seguendo l’esempio dei migliori sulla piazza.

David Leitch viene dal mondo degli stunt e delle coreografie dei combattimenti per il cinema, il suo pane quotidiano anche da regista. Ci aveva già colpito - e molto - con il notevole Atomica Bionda. Non è un regista di grande personalità o visione narrativa, ma sa fare bene le scene d’azione ed è bravo a donare dinamismo all’immagine, mantenendola sempre leggibile e d’immediata comprensione, oltremodo più patinata della media. Una dote che registi ben più blasonati di lui purtroppo difettano.

Non è però un innovatore né un grande narratore: si preoccupa d’infilarsi in storie che esaltino le sue capacità. Prende il copione e lo porta su schermo in maniera facile e divertente da seguire, ma senza donare profondità e complessità, senza trasporto. Quello era il compito dello sceneggiatore Zak Olkewicz, che sembra essersi convinto (o forse è stato convinto) che un film nuovo non legato a franchise o personaggi già famosi debba quantomeno rifarsi a successi precedenti per stile narrativo. Nota a parte: complimenti a Sony che almeno ci prova, a fare un blockbuster contrandosi sul film in sé e non sulla costruzione di un franchise (sto guardando te The Gray Man, che tirerò in ballo anche più avanti).Bullet Train ha una vagonata (pun intended) di punti di riferimento più o meno espliciti, più o meno evidenti. A ogni bivio sembra porsi la domanda: cosa avrebbe fatto Edgar Wright qui? Il Bong Joon-ho di Snowpiercer come avrebbe risolto questa situazione? Il Tarantino di Kill Bill Volume 1 come avrebbe reso stiloso questo dettaglio relativo alla cultura nipponica?

La trama di Bullet Train

Protagonista del film è Coccinella (Brad Pitt), un killer e ladro d’alto profilo che lavora in coppia con Maria, la sua assistente? responsabile? capa? di cui sentiamo solo la voce al telefono. Coccinella non ha passato un bel periodo e con il suo terapista Barry sta tentando di lavorare su sé stesso. Per questo ha chiesto a Mari un lavoretto facile, per riprendere il ritmo dopo una pausa dal suo peculiare impiego. Sulla carta si tratta di una missione semplicissima: Coccinella dovrà salire su uno shinkansen alla stagione di Tokyo, trovare e rubare una valigetta ventiquattrore con un adesivo a forma di trenino.

Ben presto scoprirà che parecchi colleghi sono a bordo, ognuno con la sua missione, che ovviamente finirà per metterli l’uno contro l’altro. Ci sono Lemon (Brian Tyree Henry) e Tangerine (Aaron Taylor-Johnson), che hanno in custodia la valigetta e un ostaggio salvato da un rapimento a opera della Triade. C’è un uomo (Andrew Koji) che cerca il potenziale assassino del figlioletto Wataru, una ragazzina (Joey King) vestita da scolaretta che pare uscita da un manga, oltre agli scagnozzi del misterioso boss noto come La Morte Bianca ad ogni stazione. Convinto di essere perseguitato dalla sfortuna (in realtà incredibilmente fortunato), Coccinella si ritroverà a gestire una situazione sempre più pericolosa e letale.

Bullet Train: promossi e bocciati

Ripieno di star, camei a sorpresa, colpi di scena e combattimenti corpo a corpo ottimamente coreografati, Bullet Train adotta la strategia di fare di tutto, ma davvero di tutto, pur di mantenere la magnitudo dell’azione e del divertimento alta e non annoiare un pubblico con una soglia di attenzione davvero bassa. Dialoghi fiume un po’ stramboidi, colpi di scena a pioggia, personaggio spinti in un territorio d’esagerazione ed eccesso per non correre il rischio di annoiare. Questo però trasporta la quasi totalità dei killer sullo shinkansen nel territorio dello stereotipo bidimensionale, finendo per ricordare ora quello o questo personaggio dei fumetti o dei film già menzionati. Brad Pitt non sembra troppo preoccupato dei destini del film, le star appaiono e scompaiono per poche scene. Gli unici che sembrano intenzionati a dare del loro meglio sono Brian Tyree Henry e Aaron Taylor-Johnson, mentre Pitt ogni tanto ha l’espressione un po’ persa di chi pensa all’assegno in arrivo. In taluni passaggi Lemon e Tangerine sembrano prendere il sopravvento, diventare i protagonisti putativi della storia, e forse in un altro universo del vasto Multiverso di cui sappiamo spaventosamente poco c’è un Bullet Train guidato da loro, decisamente più stuzzicante e riuscito.

Nel nostro invece dobbiamo accontentarci di un film dall’ottimo passo nella prima parte, che invece esagera talmente tanto nella seconda da sbrodolare in quel territorio che qualche anno fa si sarebbe sintetizzato con l’espressione “un’americanata”. Se vi piace quel genere, ne rimarrete deliziati. Curioso anche considerare come, per tanti motivi (alcuni molto spoiler) questo film si muova negli stessi territori divertenti e un po’ cazzari di The Lost City, senza però avere la lungimiranza di usare Brad Pitt come guest star di lusso.

bullet

Una vittoria però Bullet Train la porta indubbiamente a casa: è costato la metà di The Gray Man e, conoscendo bene i propri limiti e senza prendersi mai sul serio (a differenza del blockbuster Netflix diretto dai fratelli Russo), è infinitamente più riuscito e divertente.