Videogiochi e follia? La parola all'esperto

E' tristemente noto a tutti l'episodio di Oslo in cui Anders Behring Breivik ha ucciso 76 persone, così come il fatto che molti Media abbiano sfruttato l'occasione per focalizzare l'attenzione sui cosiddetti "videogiochi violenti". Questo perché Breivik era appassionato principalmente di due titoli - come riportato nel suo famoso manifesto di 1500 pagine pubblicato su internet: Modern Warfare 2, da lui definito "parte del suo addestramento", e World of Warcraft, considerato "una scusa per fare vacanza, in quanto dipendente dal gioco."


Ma esiste veramente la correlazione tra i videogiochi "violenti" e i comportamenti violenti di personaggi come Breivik o gli autori del massacro della Columbine, Eric Harris e Dylan Klebold? Secondo lo psicologo Christopher Ferguson, intervistato da Forbes, la risposta é solo una: NO.


Ovviamente Ferguson non si limita a dare una risposta così secca ma motiva scientificamente la sua convinzione, a partire dal fatto che non é stato possibile dimostrare in alcun modo un incremento di comportamento violento nell'esame degli utenti dei succitati videogiochi. Ferguson asserisce che oramai i videogiochi godono di una tale diffusione che accusarli di questi singoli e - fortunatamente - rari ed isolati casi di follia é surreale come accusare della stessa colpa i produttori di scarpe da ginnastica.


Ma la critica polemica di Ferguson va oltre: lo psicologo infatti accusa apertamente i media di avanzare simili accuse, di cercare a tutti i costi un "capro espiatorio", solo quando il fenomeno riguarda individui di un determinato ceto sociale, o più razzisticamente ancora, di un certo colore della pelle. "Circa il 95% dei giovani gioca ai videogiochi - afferma Ferguson - Il problema sorge quando lo sparatore é un maschio bianco."


Quando infatti un episodio di violenza si verifica in ambienti e quartieri abitualmente abitati da Afro-Americani (Ferguson ovviamente fa riferimento alla sitauzione in USA) la responsabilità é del degrado, mentre quando l'artefice é "un bianco" immediatamente parte la caccia al "boogieman" che l'avrebbe traviato - finché, regolarmente (vista la diffusione globale) non si trova un videogioco in casa sua e magicamente ecco il colpevole!


Un'ulteriore conferma? Nel 2007 Seung-Hui Cho passò alla storia per il massacro del Virginia Tech, il caso catalogato di maggior numero di vittime ad opera di una sola persona in territorio USA. Ebbene: Seung-Hui Cho NON era un videogiocatore; un'anomalia statistica che é sufficiente a scagionare l'hobby dal banco degli imputati.


Ferguson conclude affermando che fortunatamente le cose stanno cambiando: la correlazione tra Breivik e i videogiochi non ha infatti avuto la stessa risonanza rispetto all'episodio della Columbine, in cui Doom e Quake finirono letteralmente sul banco degli imputati, e furono considerati "veleno digitale" persino titoli come Zaxxon e Pac-Man. Molto di questo cambiamento é da attribuire anche alla sentenza della Corte Suprema Americana che ha parificato i videogiochi agli altri media.


Insomma: probabilmente niente che noi videogiocatori appassionati non sapessimo già, ma forse una simile fonte autorevole sarà ascoltata anche da "gli altri"...