Povere Creature, Willem Dafoe racconta il set con Lanthimos ed Emma Stone: "Non si atteggia mai da diva, è bello lavorarci assieme"

L'attore protagonista di Povere Creature! racconta il set con Yorgos Lanthimos e il rapporto speciale con Emma Stone: "si vede che sono connessi a livello profondo".

di Elisa Giudici

Tocca all'attore Willem Dafoe incontrare la stampa italiana per promuovere Povere creature!, il nuovo film di Yorgos Lanthimos con protagonista Emma Stone in piena corsa verso gli Oscar. La pellicola, dissacrante e molto esplicita, lo vede protagonista nei panni di un moderno dottor Frankestein, Godwin Baxter. Alternativo, sfigurato e solitario, Godwin dà vita a Bella (Emma Stone), una giovane creature a cui, a differenza del personaggio di Mary Shelley, il suo "papà" rimane profondamente legato. 

Non poteva esserci scelta migliore per la promozione italiana del film, in uscita nelle sale il 25 gennaio 2024: Defoe infatti da anni vive per gran parte del tempo a Roma, capisce e parla abbastanza fluentemente italiano. Tanto da risentirsi un po' quando gli vengono chieste opinioni da straniero...come scoprirete in questo lungo dialogo con l'interprete, in cui ci racconta anche com'è stare sul set con l'attrice e giovane collega Emma Stone.

Nella tua carriera hai interpretato alcuni ruoli "divini": prima Gesù in L'ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese, ora Godwin, un creatore che ha la parola Dio, God, nel nome…trovi che abbiano qualcosa in comune? 

No, non direi così tanto. Ecco, forse vedo in entrambi una sorta di amore verso le proprie creature, sono simpatetici verso gli altri. Almeno, io li vedo come compassionevoli. 

Per alcuni nel film Godwin non è simpatetico: è un mostro. 

Ovviamente questa storia prende a piene mani dal Frankestein di Mary Shelley. C’è però una differenza enorme: il dottore del libro prova orrore e repulsione verso ciò che ha creato, Godwin invece ama Bella e le dà una seconda occasione di vivere. Nel farlo la dà anche a sé stesso, trova nuovi motivi per vivere. Per me questo fattore è importantissimo. Per lui è fonte di entusiasmo e un’occasione per esercitare la sua grande generosità. 

Sei cresciuto in una famiglia vicina all'ambiente ospedaliero, di medici. Ti è stato d'aiuto per questo ruolo, considerando che Godwin è un medico e chirurgo e che vive intensamente la propria vita lavorativa, la propria identità di scienziato?

Forse non è stato così importante, ma sì, sono cresciuto intorno a strumenti chirurgici, da piccolo andavo spesso in ospedale con mio padre. Pensa, quando ero un adolescente andavo in clinica da lui e ci passavo molto tempo, facevo il portiere e le pulizie. Quindi sin dall’inizio sentivo una certa familiarità con le attività legate alla guarigione e alla salute, quindi sicuramente ho una certa connessione con quel lato di Godwin. Per molte persone andare in un posto come l’ospedale fa paura, per me invece è quasi confortante, è un posto che lego all’idea di famiglia.

Nel film Godwin è sfigurato: immagino il trucco sia stato molto impegnativo. 

 L’ho affrontato in precedenza e probabilmente succederà di nuovo. Come attore il trucco prostetico è un grande strumento, specie per il tempo che ci vuole ad applicarlo. Stai lì tre ore e più davanti a uno specchio, mentre te la applicano. Finisce che semplicemente ci sparisci dietro, anche spiritualmente ed emerge altro. È uno strumento comodo? No, ma ne vale assolutamente la pena. 

Povere creature! è un film molto femminista, alcuni direbbero che parla di "uomini alla frutta", messi in crisi dalla visione, dalla personalità della sua protagonista. Come faranno gli uomini a salvarsi da Bella, dalle donne come Bella?

Wow. Non so se ho una risposta per la domanda “cosa può salvare gli uomini”, a meno di non avere il senso dell’umorismo. Penso che vedendo il film gli uomini si possano riconoscere in molti tratti dei personaggi maschili…voglio dire, è evidente dal film che le donne sono molto più “resistenza” tra le lenzuola e c’è un motivo se gli uomini le hanno sempre oppresse, no? (ride)

Non so. Siamo in un’era di profondo cambiamento e il pendolo oscilla continuamente, siamo lontani alle posizioni che si tenevano un tempo sul rapporto tra sessi. Forse 20 anni fa questo film sarebbe stato accolto in maniera molto, molto differente. Non so come salvare gli uomini, faccio una gran fatica a salvare me stesso. Quello che trovo significativo del film è vedere gli uomini sì, ma visti attraverso gli occhi di una donna, una che per giunta si salva attivamente. 

Cosa ne pensi del delicato rapporto tra cinema e dello streaming, fatto di molti compromessi e battute d'arresto?  

Non so rispondere a questa domanda, perché alcuni dei film più belli visti quest’anno li hanno finanziati giganti dello streaming. Io opero in questo settore da tanto tempo, è vero, ma rimango nel punto di vista di un attore e di uno spettatore, quale sono.

Da questo punto di vista posso dire che sono un fermo e convinto sostenitore della sala cinematografica. Non per la grandezza dello schermo, ma per la neutralità del luogo, l’impegno richiesto per andare fisicamente a vedere un film, la condivisione con sconosciuti. 

Recentemente ti abbiamo visto sulla Walk of Fame, a inaugurare la tua stella su quel celebre marciapiede.

È stata una bella cerimonia, c’erano tanti amici attori e registi. C’erano Pedro Pascal con cui ho recitato, Patricia Arquette che mi ha diretto…mi ha dato tanto senso di comunità ed è qualcosa che si fatica ad avere in questa professione, specie se ci si muove tra cinema nazionale e internazionale. Mi ha fatto molta impressione pensare che quella stella sul marciapiede mi sopravvivrà: è difficile accettarlo.

Lanthimos è l'ultimo di una serie di grandissimi registi e cineasti con cui hai lavorato nel corso della tua carriera...cosa cerchi nel rapporto con un regista sul set?

I registi per me sono estremamente importanti: ci sono solo un certo tipo di persone e artisti di cui mi fido tanto, con cui mi sento così sicuro da affidarmi completamente per impersonare in certi ruoli. Mi piacciono i registi che hanno visioni chiare, forti.

Una volta che mi viene spiegata quale sia la visione, mi muovo in quella direzione dando tutto quello che ho sul set, mentre esploro il mio personaggio. Non implica necessariamente che io debba capire tutto, da subito. No, mi lascio guidare. Mi basta capire la direzione, in modo per creare la vita interiore del personaggio. 

Allora parlaci del regista di questo film, Yorgos Lanthimos, e della tua collega Emma Stone, con cui hai diviso il set.

Lanthimos è il tipo di regista che crea un mondo e ti ci mette dentro. A quel punto gli interpreti fanno tutti da soli, ci dà poche indicazioni perché ha già fatto tutto il lavoro a monte. Lui è molto riservato, non parla granché…ci dirige molto prendendoci un po’ in giro. Emma invece è davvero una persona fantastica con cui lavorare, è molto brava ma non si comporta da diva. È disponibile, flessibile, eccezionale.

Noi in questo film - io, Mark Ruffalo e gli altri -  eravamo lì per sostenerla, perché Povere Creature è tutto incentrato su di lei. È evidente stando con loro sul set come lei e Lanthimos abbiamo un rapporto speciale, sono vicini a livello emozionale e intellettuale, è chiaro come ormai lei sia la sua musa. È stato bellissimo vederlo accadere in un set così felice, tranquillo. 

Come scegli i tuoi ruoli, i registi con cui lavorare? Ti piace la sfida?

Non penso in questo modo: i progetti sono sempre per me legati a luoghi, persone. Ho ovviamente pensieri di questo tipo "vorrei interpretare questo e quello", ma queste voci si spengono naturalmente dopo un po', perché quello che cerco è la felicità della connessione con le persone, la sua imprevedibilità. Se penso “oh vorrei interpretare un sindacalista” sto già creando una dimensione precisa e decidendo che mi darà la felicità. Invece secondo me è egoista, vano, bisogna allontanarsi da sé stessi, aprirsi alla scoperta, lasciarsi sorprendere e condurre dalla natura delle relazioni. La mia cosa preferita, in breve, è il processo di ricerca del personaggio, non il desiderio narcisista di fare quella cosa, essere quella persona. Per me è importante mettersi da parte, non mettersi al centro, anche se poi ovviamente si rimane sempre sé stessi. 

A proposito di progetti desiderati, che ne è stato del remake di Onibaba che desideravi fare?

Probabilmente è un progetto morto perché sono troppo vecchio per interpretare il tizio che torna dalla guerra…magari si potrebbe fare, ma sarebbe…ma a questo punto sarebbe meglio interpretare la vecchia nel film. (ride) Adoro quel tipo di vecchio horror giapponese: è molto poetico e ha ancora molto da dire, regge il confronto con i tempi.

È risaputo che vivi molti mesi l'anno a Roma, parli italiano...cosa ti piace della città?

Lo chiedesti a un italiano? Ecco, non farmi questa domanda perché anche io mi sento italiano. Non voglio essere acido, ma mi sento parte della città e so di essere privilegiato a poterlo fare. Sono qui da così tanto tempo che mi sembra davvero strano quando i giornalisti mi chiedono cosa mi piace e cosa no, perché che c’entra con il mio lavoro. Non voglio essere scortese, ma mi sento così.