Speciale Ted Bundy - Fascino Criminale

La vera storia di uno dei più feroci serial killer statunitensi

di Elisa Giudici

Ormai vicino alla sedia elettrica, si descrisse come il figlio di puttana più spietato che mai incontrerete. Nel gennaio di 30 anni fa la vita di Ted Bundy finì in un carcere statunitense, con un’esecuzione sulla sedia elettrica salutata da una folla festante al di fuori del carcere. La fine fisica del serial killer però non ne estinse la macabra leggenda.

Proprio nell’anniversario della sua morte il mondo dell’intrattenimento torna a narrarne le gesta e a tentare di fare chiarezza sulla sua figura, a tratti affascinante e rocambolesca, oltre che brutale e menzognera. Chi era davvero Ted Bundy? Come è riuscito a sfuggire alla polizia per così tanto tempo, seminando il terrore tra le giovani donne statunitensi per tutti gli anni ’70? Come mai proprio il suo caso è diventato così noto a livello internazionale ed emblematico della giustizia "ingiusta" negli Stati Uniti?


Non sono risposte semplici da dare, così come i contorni dell’azione criminale di Bundy rimangono parzialmente indefiniti. Non sappiamo neppure con certezza quante siano le donne vittime della sua spietata violenza. Solo sul finire della sua detenzione Ted Bundy si professò colpevole e tentò di rimandare l’esecuzione confessando crimini che non gli erano stati imputati, ma per cui esistevano forti prove indiziarie. Eppure negò sempre omicidi per cui è ragionevole supporre che sia stato lui il perpetuatore, mentre al contrario in più occasioni fece allusioni a crimini finora rimasti sconosciuti o insoluti. Gli esperti ritengono che nel corso degli anni ’70 uccise almeno 30 giovani donne, ne ferì e traumatizzò decine (le “fortunate” che sopravvissero alla sua furia), ma alcune stime dicono che un numero più realistico dovrebbe aggirarsi intorno alle 40 morti.

Il regista Joe Berlinger è l’uomo giusto per tentare di rispondere a queste domande. Ha dedicato anni della sua vita allo studio del caso Bundy, senza contare che la sua filmografia naviga quasi esclusivamente in territorio crime, per giunta spesso ispirato a storie vere. Alla vita e ai crimini di Ted Bundy ha dedicato nel solo 2019 due progetti. Il primo, prodotto da Netflix, è Conversazioni con un killer: Il caso Bundy. Il documentario ricostruisce a partire dai celebri nastri in cui Ted analizzò il suo caso dal punto di vista psicologico e da innumerevoli altre testimonianze il profilo dell’assassino ma soprattutto la nascita del suo mito, grazie all’attenzione spasmodica che i media riservarono alla vicenda.


Ted Bundy - Fascino criminale è invece una pellicola romanzata che ripercorre gli anni dei delitti di Bundy da un punto di vista unico: quello dell’allora fidanzata del killer, Elizabeth Kloepfer, che visse insieme a lui una relazione sentimentale, ma giocò anche un ruolo importante nel mettere la polizia sulla pista giusta. In questo ultimo caso però la storia è molto ridotta e manipolata, perché il film si concentra soprattutto sulla vita angosciante di una donna legata sentimentalmente a un uomo che scopre essere un mostro indicibile. La realtà dei fatti come raccontata dalla cronaca e dalle vicende processuali però è molto diversa, a partire dall’infanzia non raccontata dal film del serial killer.

Come molti assassini seriali prima di lui, Ted Bundy non ebbe un’infanzia semplice. Crebbe infatti senza padre, credendo che la sua giovanissima madre fosse la propria sorella. I nonni materni, scandalizzati dalla condotta della figlia rimasta incinta, adottarono il ragazzo e lo crebbero come loro.

Vessata dalle continue percosse che il padre riservava a lei e suo figlio, la ragazza fece fagotto quando Ted aveva solo 5 anni e si trasferì lontano dai parenti. Si risposò più tardi con un cuoco di una mensa; numerose testimonianze riportano che Ted Bundy non amasse particolarmente il patrigno che lo aveva adottato, giudicandolo stupido e non realizzato professionalmente. È solo negli anni del college, quando cambia più volte indirizzo di studi, che Ted scopre che la sorella è in realtà la madre.


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Non si hanno testimonianze di episodi giovanili di violenza contro cose, animali o persone. La sua fedina è immacolata, il suo comportamento affabile ed educato. Delle poche testimonianze dei suoi anni giovanili - di cui Bundy raccontò una versione maniacale e già sadica, con lui adolescente solitario e sempre intento a spiare le donne nel cuore della notte dalle finestre di casa - non emerge nulla di significativo. I compagni lo ricordano come una persona abbastanza socievole e simpatica, di bell’aspetto.

A partire dagli anni '70 la sua violenza ai danni delle giovani donne esplode. Proprio il fascino di Ted Bundy sarà la sua arma più letale. Non da subito però. I suoi primi crimini conosciuti sono “mere” violenze sessuali, ancorché brutalissime, ai danni di sconosciute. Ted Bundy s’introdusse nella casa della sua prima vittima nota di notte, la immobilizzò nel letto mentre dormiva e la colpì violentemente con una sbarra di metallo strappata dal suo stesso letto. Le usò una violenza tale utilizzando lo stesso strumento che la giovane riportò lesioni gravissime e invalidanti.

Questo approccio pian piano si modificò: Bundy smise di introdursi nelle case delle sue vittime e comincio a girare con la sua macchina, un maggiolino Volkswagen, esibendo un gesso o una fasciatura che lo rendessero incapace di spostare oggetti o compiere determinate azioni. Grazie alla parlantina e al fascino, convinceva la malcapitata vittima a dargli una mano, la rapiva e le usava violenza. Via via cominciò ad uccidere sempre le sue vittime e a nasconderne i corpi nei boschi. L'età delle malcapitate variava, ma Bundy sviluppò una predilezione per le studentesse universitarie. In un caso però rapì 4 giovanissime adolescenti, che svanirono nel nulla; le uccise barbaramente. 

Nello stesso periodo in cui la sua scia di sangue si allungava e la polizia brancolava nel buio, Bundy si legò sentimentalmente a Elizabeth Kloepfer, verso cui non usò mai violenza o coercizione. L’altra donna della sua vita fu Carole Ann Boone, con cui continuò un lungo tira e molla amoroso che portò a uno sposalizio quando lui era già sotto processo. Carole Ann, da sempre convinta della sua innocenza, rimase anche incinta di Ted Bundy e mise al mondo suo figlio.

Così come accade a molti assassini seriali, Ted raffinò un suo sadico sistema di violenza e uccisioni. Anni dopo disse che più della lussuria e della violenza, a spingerlo a uccidere e menomare era la smania di possesso. I suoi omicidi infatti si contraddistinguono per particolare brutalità verso le sue vittime, ma anche perché il loro assalitore sviluppava una relazione di possesso con i loro corpi.


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Dopo aver tolto loro la vita, dopo aver barbaramente violentate, Ted Bundy riteneva di essere entrato in possesso delle loro spoglie, che considerava tesori preziosi. Tornò più volte tra i boschi per “fare visita” ai cadaveri delle sue vittime, lasciandosi andare anche ad amplessi sessuali con le spoglie decomposte delle donne. In alcuni casi, decapitò la vittima e ne conservò il teschio in casa, per poterlo carezzare quando ne avesse voglia.

Ted Bundy fu un assassino metodico e ripetitivo, ma anche i suoi errori vennero reiterati. Venne infatti catturato più volte a causa della sua guida spericolata e ad alta velocità, che lo fece notare dagli agenti di pattuglia.

È un bene che fosse un guidatore sconsiderato, perché un altro motivo della sua celebrità furono le rocambolesche fughe dalla custodia dello Stato. La prima volta fuggì durante il secondo processo ai suoi danni, saltando dalla finestra del secondo piano di una sala adibita a biblioteca. Grazie a una distrazione dell’agente che presiedeva alla sua custodia, lasciato solo nella stanza a cui poteva accedere in virtù della sua partecipazione alla sua stessa difesa, scappò indisturbato. Venne scovato pochi giorni dopo, grazie alla sua guida spericolata.

Ben più rocambolesca e incredibile è la seconda fuga, quella che gli riuscì di mettere in piedi dalla cella del carcere. Lavorò per mesi con un seghetto sul soffitto della sua cella, raschiando gli strati intorno a un lume malfunzionante. Studiando la mappa dell'istituto carcerario, aveva capito che proprio sopra la sua cella c’era un’intercapedine che gli avrebbe permesso di strisciare sino alla stanza del sorvegliante. Cominciò anche a razionare via via il cibo, perché il pertugio era tanto stretto da richiedere un severo dimagrimento per poterne uscire indenne. Anche stavolta riuscì a scappare e se ne andò con un auto rubata in Florida.

Senza documenti e senza lavoro, Ted Bundy visse di espedienti finché la pulsione omicida tornò fortissima. S’introdusse allora in un campus studentesco e in pochi minuti mise in atto una vera e propria mattanza. Uccise due giovani donne, ne ferì barbaramente altre che incrociarono il suo cammino, poi scappò, s’introdusse in un’abitazione e picchiò selvaggiamente una sconosciuta.


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Venne ricatturato a breve, dopo aver seminato ancora una volta il terrore. È qui che il suo caso conobbe un salto di qualità mediatico. L’attenzione dei giornali e delle TV si fece spasmodica. Per aumentare la tiratura e l’audience, gli omicidi vennero descritti nei più piccoli e macabri particolari. Il processo venne inoltre trasmesso in diretta e vide Ted Bundy esasperare i suoi legali, fino ad ottenere la possibilità di difendersi da solo, pur non avendo una laurea in giurisprudenza. Venne condannato, ma non prima di diventare un’icona, con donne che tentavano di sedurlo in aula e giornalisti pronti a tutto pur d’intervistarlo; anche di passare una seconda volta sulla dignità delle vittime, descrivendone la fine con una brutalità mercenaria simile a quella usata dal loro assassino.

Dopo il processo e la condanna a morte, Ted Bundy si decise a parlare, nel tentativo di allungarsi la vita. Gli ultimi anni prima dell’esecuzione in carcere furono duri: venne preso di mira dai suoi compagni di cella e secondo molte testimonianze fu vittima di un brutale stupro di gruppo.

Nonostante la sua colpevolezza oggi sia provata oltre ogni ragionevole dubbio per almeno una trentina di casi e ci siano nuovi sospetti riguardo altre morti (anche grande alle nuove tecniche d’investigazione forense), il caso Bundy rimane una terribile pagina giudiziaria americana.

Un uomo finì sulla sedia elettrica dopo indagini sommarie che lo ritennero non credibile come sospettato, anche quando numerose persone fecero il suo nome. La fidanzata Elizabeth Kloepfer lo denunciò due volte alla polizia e solo la seconda volta venne creduta. Bisogna rilevare poi come le vittime successive alle sue evasioni pagano lo scotto di una custodia detentiva inefficiente, più che la genialità criminale del galeotto in fuga.

Anche il processo fu tutt’altro che limpido. La trasmissione in TV esasperò gli animi e consentì all’imputato di mettere su un teatrino per attirare su di sé l’attenzione, dando per giunta in pasto ai media i particolari raccapriccianti della fine delle sue vittime, di cui venne profanata la memoria. Inoltre venne consentito a Ted Bundy di difendersi da solo in un caso da pena capitale; una scelta deprecabile, data la gravità delle accuse e l’irreversibilità della sentenza. Per non parlare poi delle prove all’epoca presentate al suo indirizzo, come le impronte dentali. Successivamente si rivelarono molto meno affidabili di quanto si credeva all’epoca.