Perché abbiamo amato Sophie Kinsella, la scrittrice della saga di I Love Shopping scomparsa oggi a 56 anni

La saga romantica di I love shopping, nel bene ben e nel male, ha aiutato a svecchiare un genere letterario (e cinematografico) che era rimasto molto ancorato al passato.

di Elisa Giudici

Tra la fine degli anni ‘90 e l’inizio del nuovo millennio le eroine della letteratura romantica erano tre: Bridget, Becky e Andy. Poco spasimanti e lacrimevoli, in perenne corsetta su tacchi più o meno alti tra uffici in grattacieli di New York o della City, questi tre personaggi hanno ridefinito la commedia romantica il libreria e al cinema. Con loro nel sogno romantico è entrata una carriera idealizzata sì, ma tosta, fatta di tanto lavoro e competizione, che porta il riconoscimento professionale ancor prima dell'anima gemella. È uno spostamento di asse de di ambizioni che porta a coniare il termine chick lit (letteratura per giovanni donne), più agile e irriverente rispetto a un genere il cui romanticismo e le cue eroine erano diventate un po’ impolverate e poco adatte a far sognare generazioni di lettrici. 

Il primo scossone, manco a dirlo, l’ha dato l’inglese Bridget Jones, imperfetta e incasinatissima assistente di produzione coinvolta in un eterno tira e molla tra due uomini che la ama e, a ben vedere, sono imperfetti quanto lei. Nel 2000 è arrivata lei, Becky Bloomwood, la creatura che trasformò Madeleine Sophie Wickham in Sophie Kinsella, scrittrice da decine di milioni di copie, amata dalle sue lettrici ma anche diventata esempio di una letteratura così veloce e di consumo da assumere i connotati di una produzione industriale.

L’esplosione del fenomeno chick lit e di I love shopping

Come spesso accade, il successo di una saga e quello di un personaggio hanno oscurato quanto venuto prima agli occhi del grande pubblico: anni in cui Wickham ha scritto e pubblicato le sue prime prove editoriali, costruendosi una solida carriera nella letteratura di consumo ma lontana dalla velocità e dalla frivolezza di I love shopping.

Nata a Londra nel 1969 in una famiglia “bene”, con alle spalle un’impeccabile educazione fatta di politica, filosofia e musica al New College di Oxford, la futura Kinsella si annoiò per anni nei panni di una giornalista finanziaria. Forse per evadere da un lavoro che trovava poco stimolante e ripetitivo, cominciò la sua carriera di scrittrice prolifica, guadagnandosi un discreto successo con il proprio nome in termini di critica e pubblico. Il primo romanzo è A che gioco giochiamo?, pubblicato nel 1995, quando ha solo 24 anni. Più commedia che romantica, più posato e riflessivo delle briose prove successiva, A che gioco giochiamo? è però già incentrato sul tema del denaro come metro di successo e felicità.


Il romanzo lancia Wickham con stabilità nel mondo editoriale in giovanissima età. Wickham, che racconta di quattro coppie di amici che si ritrovano per un fine settimane e finiscono inevitabilmente per misurare la propria realizzazione personale e sentimentale. L'esperienza non le manca: lei infatti ha già impostato saldamente la sua vita di coppia. Il suo amico d’università è divenuto suo marito quando lei aveva solo ventun'anni. È il  grande amore di una vita, con cui costruirà una famiglia numerosa, con cinque figli.

Dopo una lunga scia di romanzi pubblicati con cadenza annuale, decide di mettersi alla prova con un libro più brillante e leggero, dal ritmo molto sostenuto e dall'argomento persino frivolo. Forse per questo sceglie di presentarlo alla sua casa editrice sotto pseudonimo, utilizzando il cognome da nubile della madre, Kinsella. Una mossa tutto sommato tradizionale per una donna che, a nemmeno quarant’anni, travolge il mondo editoriale e diventa un gigante delle vendite con la saga di I Love Shopping.

Becky, l’eroina delle fashioniste pre-crisi

Con il suo matrimonio stabile, i tanti figli e l’educazione impeccabile viene da chiedersi da dove le sia arrivata Becky Bloomwood, la sua eroina più amata, ma dalla vita diametralmente opposta a quella della sua scrittrice. Tanto Sophie è realizzata nel senso tradizionale del termine per una giovane donna inglese, tanto Becky si barcamena tra una vita frivola, luccicante, caotica, con un approccio un po’ capriccioso e infantile.

Sono gli anni delle fashioniste che, prima della grande crisi del 2008, segnano un nuovo picco dei consumi e della cultura del consumismo. Insieme a Carrie Bradshaw di Sex & the City, Becky è la più convinta sostenitrice del potere terapeutico dello shopping, malata di brand e acquisti di moda e cosmesi. Anzi, dell’essere shopaholic: ossessionata dall’ebbrezza che dà comprare qualcosa, magari in sconto, magari in quel negozio che conosci solo tu, indipendentemente da cosa sia quel qualcosa, senza curarsi troppo del portafoglio.

Il termine shopaholic lo rende celebre proprio Kinsella, che trasforma con tenacia e produttività una hit fortunata in libreria in un vero e proprio franchise multimilionario, pubblicando in rapida successione una serie di romanzi in cui Becky “loves shopping” in tante sfaccettature e circostanze: I Love Shopping a New York, I Love Shopping in bianco, I Love Shopping con mia sorella, I Love Shopping per il baby, I Love Mini Shopping, I Love Shopping a Hollywood, I Love Shopping a Venezia, I Love Shopping a Las Vegas, I Love Shopping a Natale.

In un certo senso Kinsella ha anticipato anche la nuova svolta hollywoodiana dei franchise rigidamente codificati, scrivendo in meno di vent’anni dieci romanzi (alternati ad altre prove) con protagonista Becky, che cambia abbastanza – da sorella a moglie a madre, con occasionali gite fuori porta – da giustificare un nuovo libro, senza però dare mai alle lettrici niente di radicalmente diverso. Romanzi industriali, con la ripetizione dello stesso schema con minime variazioni, "fatti con lo stampino", dice la critica.

La crisi economica e la crisi della commedia romantica

Ovviamente il successo veloce e planetario di I love shopping contribuisce anche a dare un senso dispregiativo al termine chick lit, che con la crisi economica e la crisi della commedia romantica diventa sinonimo di protagoniste imperfette nella loro frivolezza e superficialità, legate a un’epoca irrimediabilmente conclusa. Un’epoca di cui rimangono milioni di copie di romanzi consumati con avidità ed entusiasmo dal proprio pubblico.

Mentre lei definiva i canoni di un franchise moderno in ambito letterario ancor prima che Hollywood riuscisse a farlo in quello cinematografico, il cinema si appropriava dei romanzi delle sue colleghe più famose, trasformandoli in due classici del genere come Il diario di Bridget Jones e Il diavolo veste Prada. Per portare su grande schermo Becky ci vuole invece qualche anno in più: I Love Shopping arriva in sala solo nel 2009, tratto dai primi due romanzi della serie, con protagonista Becky Bloomwood interpretata da un’incantevole Isla Fisher, affiancata da un scorbutico ma premuroso Hugh Dancy nei panni dell’uomo che la curerà, almeno in parte, dalla sua frenesia per gli acquisti.

È ormai troppo tardi: la crisi economica è scoppiata da un anno e un film su una donna innamorata e spendacciona arriva nel momento peggiore possibile, coincidente con il declino della commedia romantica di qualità, quella capace di lasciare il segno nella cultura pop e di generare film di largo consumo che siano anche di largo richiamo. Forse il flop di I Love Shopping, che non generò mai la saga che si sperava pur andando discretamente al botteghino, fu proprio il primo segnale del declino di un genere sempre molto amato dal suo pubblico, ma che (salvo sporadiche eccezioni) ha perso il contatto con la platea trasversale degli spettatori.

Tanto che ci vogliono dieci anni per arrivare a un secondo adattamento tratto dai romanzi di Kinsella: nel 2019 tocca proprio a a Sai tenere un segreto?, tratto dall’omonimo romanzo, con protagonista Emma Corrigan. Il duo formato da Alexandra Daddario e Tyler Hoechlin e la distribuzione statunitense direttamente on demand sono la sintesi perfetta del lento ma inesorabile declino di un genere ancora popolare online, nelle librerie e nel settore dell’autopubblicazione, ma che ha saputo funzionare raramente al cinema. Un genere che si è lasciato alle spalle le sue eroine professioniste del terziario (giornaliste, pubbliciste, donne in carriera che parlano veloce e hanno una vita privata molto caotica) in favore di altri sottogeneri, archiviando quel decennio di brio e superficialità.

Così come lo percepiamo oggi, a differenza di com’era allora, Bridget, Andy e Becky portavano il lavoro al centro delle ambizioni e delle ansie delle eroine innamorate, a cui veniva finalmente concesso di essere un po’ meno perfette, un po’ meno posate e anche un pizzico più desiderose del semplice bacio del principe azzurro, in termini relazionali e anche sensuali.