Il tono graffiante di Tom Wolfe resta nell’adattamento TV: Un uomo vero è il nuovo falò delle vanità di oggi
Una miniserie strepitosa, con un finale memorabile.
Dal romanzo di Tom Wolfe, quello de Il falò delle vanità per intenderci, alla trasposizione televisiva creata e sceneggiata da David E. Kelley. (Big Little Lies, The Undoing, Anatomia di uno scandalo…).
Un uomo vero, dal 2 maggio su Netflix con uno straordinario Jeff Daniels protagonista (degno del migliore Will McAvoy, il suo personaggio in quel capolavoro televisivo che è The Newsroom) non è la storia di un uomo. No. È una dimostrazione di tutto ciò che nel mondo di oggi le persone, a prescindere dal loro livello lavorativo, devono affrontare. Una sorta di affresco sullo stress, la frustrazione, gli incidenti, la sfortuna, le disuguaglianze, senza dimenticare la strafottenza dei ricchi e dei potenti.
La trama di Un uomo vero
I luoghi del potere - che il sindaco Jordan (William Jackson Harper) s’illude solamente di poter gestire - non sono il municipio o l’ufficio del governatore. I veri luoghi del potere, si sa, sono le banche. I veri luoghi del potere sono i tribunali, in cui il giudice che ha dei pregiudizi contro di te dispone della tua vita e di quella della tua famiglia.
I luoghi del potere sono i ranch in cui i milionari si accordano con altri milionari per fare affari, lontano dai riflettori e dagli uffici in cui i loro impiegati possono vederli.
I luoghi del potere sono la memoria, gli archivi, qualsiasi cosa conservi le informazioni. Opportunamente esibite al momento giusto.
Ciò che Succession - ma anche Yellowstone - ci avevano già insegnato viene ribadito con forza da Un uomo vero.
Aggiungendo, naturalmente quel falò delle vanità - l’evento di beneficenza, nello specifico - in cui si concentra il potere della reputazione, dell’apparenza, del pettegolezzo, che fa capo a quel potere dell’informazione di cui tutti riconosciamo la forza.
I luoghi del potere sono i crimini degli uomini potenti, in vista, che la fanno franca perché le loro vittime non hanno la forza - sociale, economica, emotiva - di opporsi.
Ci sono tante questioni delicate, in Un uomo vero. Tante. La regia indugia sui volti, stringendo le inquadrature progressivamente per leggere i sentimenti non detti.
Ci sono avvincenti dibattimenti in puro stile legal drama, confessioni dolorose di vittime di violenza e il tema della violenza della polizia come nei migliori drama, tante sequenze tipiche dei film e delle serie del filone carcerario e naturalmente tutto l’aspetto famigliare e relazionale sullo sfondo di una società che ancora non tratta tutti nello stesso modo.
Un uomo vero ci parla della differenza fra la giustizia e la legge. Dell’abisso che separa il fare la cosa giusta dal farla rispettando le regole. Della delicatezza di un equilibrio sociale retto esclusivamente dalle dinamiche di potere: chi è più ricco, chi è più forte, chi è più potente ha la meglio. E schiaccia tutti gli altri.
Con un cast straordinario, la miniserie di Netflix racconta tanti momenti così realistici - come il disagio di Raymond per i suoi vicini - da farci guardare certe sequenze come se stessimo guardando dalla finestra.