Terminator torna agli anni ’90: perché Terminator 2D: NO FATE è l’adattamento che non sapevamo di volere

Un ritorno all’arcade più puro, tra pixel art, difficoltà spietata e rispetto assoluto per Il giorno del giudizio

di Simone Rampazzi

Parlare di Terminator oggi significa confrontarsi con un’eredità complessa e spesso contraddittoria.
La saga nata dall’immaginazione di James Cameron e Gale Anne Hurd ha continuato a espandersi nel corso dei decenni tra sequel cinematografici, serie televisive, fumetti e prodotti di animazione, senza però riuscire a ritrovare una direzione davvero condivisa. Se il primo Terminator aveva definito le coordinate del mito, è con Terminator 2: Il giorno del giudizio che l’universo narrativo ha raggiunto il proprio punto di massima coerenza: un equilibrio raro tra spettacolo, tensione emotiva e riflessione sul rapporto tra uomo, tecnologia e destino. Un risultato così solido da rendere il film del 1991 non solo il capitolo più amato della saga, ma anche uno dei titoli più influenti del cinema d’azione moderno.

Dopo quel momento, il franchise ha continuato a esistere, ma spesso senza una vera identità unitaria, oscillando tra reinterpretazioni, retcon e tentativi di rilancio mai del tutto risolutivi. In questo contesto, Il giorno del giudizio è rimasto un punto fermo, una sorta di riferimento intoccabile a cui ogni nuova iterazione è stata inevitabilmente confrontata.

È proprio da questa consapevolezza che nasce Terminator 2D: NO FATE, il progetto di Bitmap Bureau. Il team parte da un presupposto tanto semplice quanto ambizioso: se Judgment Day rappresenta l’espressione più compiuta dell’universo di Terminator, allora un adattamento videoludico efficace non può limitarsi a citare personaggi e scene iconiche, ma deve ricrearne il contesto culturale e sensoriale. NO FATE sceglie quindi di tornare idealmente ai primi anni ’90, adottando il linguaggio dell’arcade bidimensionale, con un’estetica pixel art, un’azione immediata e una difficoltà che richiama apertamente i cabinati dell’epoca. Una scelta che non nasce dalla nostalgia fine a se stessa, ma dal desiderio di riallineare forma e contenuto.

La domanda, a questo punto, è inevitabile: questa rilettura in chiave arcade riesce davvero a rendere giustizia a uno dei film più iconici di sempre, oppure resta prigioniera del suo stesso passato?

La trama di Terminator 2D: NO FATE - 29 agosto 1997: riviviamo il giorno del giudizio 

Raccontare la trama di Terminator 2D: NO FATE, videogioco arcade ispirato a Terminator 2: Il giorno del giudizio, significa muoversi su un terreno estremamente familiare, ma non per questo privo di sorprese. Il gioco ripercorre gli eventi centrali del film, alternando le sequenze ambientate nella Los Angeles del 1995 agli scenari devastati della guerra futura tra uomini e macchine. La Resistenza guidata da John Connor, l’onnipresente minaccia di Skynet, l’arrivo del T-1000 e il ritorno di un T-800 riprogrammato costituiscono l’ossatura narrativa dell’esperienza, che rielabora i momenti più iconici della pellicola adattandoli a una struttura ludica bidimensionale da sparatutto arcade.

Pur muovendosi all’interno di una storia nota, NO FATE riesce a trasmettere una sorprendente umanità, soprattutto grazie alla centralità di Sarah Connor, interpretata nel film da Linda Hamilton. Il gioco insiste sul suo ruolo di figura cardine, combattiva e determinata, mostrando non solo l’eroina in azione ma anche il peso psicologico delle sue scelte. Le sezioni ambientate prima e dopo il manicomio contribuiscono a rafforzare questa dimensione, restituendo un ritratto coerente con il personaggio cinematografico. Meno incisiva, ma comprensibile per limiti di licenza, la rappresentazione del T-800, che rinuncia alle fattezze di Arnold Schwarzenegger pur mantenendone postura, presenza scenica e funzione narrativa.

La narrazione è accompagnata da cutscene brevi e frequenti, costruite come rielaborazioni visive delle immagini del film. Non si tratta di semplici fermo-immagine: le sequenze richiamano in modo diretto inquadrature, pose e momenti chiave di Judgment Day, ma vengono trasformate attraverso una pixel art volutamente granulosa, quasi a simulare una versione arcade delle scene originali. Il risultato è una messa in scena che filtra il film attraverso l’immaginario e la memoria collettiva dei primi anni ’90, più che riprodurlo in modo pedissequo.

NO FATE, inoltre, non si limita a seguire la linea narrativa principale. In punti specifici, alcune decisioni del giocatore aprono a diramazioni alternative, costruite come autentici scenari “what if”. Queste scelte possono condurre a finali differenti, offrendo riletture interessanti degli eventi e incentivando più di una partita. La longevità dell’esperienza varia sensibilmente anche in base alla difficoltà selezionata: ai livelli più bassi la campagna scorre rapidamente, mentre le impostazioni più severe ne estendono la durata e rendono ogni deviazione narrativa un obiettivo da conquistare. Accanto alla campagna principale sono presenti modalità aggiuntive e contenuti sbloccabili, che arricchiscono ulteriormente il pacchetto, ma che verranno approfonditi nella sezione dedicata al gameplay.

Non serve essere un Terminator per vincere contro i cattivoni

Dal punto di vista ludico, Terminator 2D: NO FATE è uno sparatutto arcade bidimensionale a scorrimento laterale, costruito attorno a un set di meccaniche volutamente essenziale. L’azione si fonda su reattività, posizionamento e memoria muscolare, elementi cardine dell’esperienza da cabinato anni ’90. Il giocatore controlla principalmente Sarah Connor e John Connor, muovendosi su un singolo piano di gioco, con la possibilità di sparare in otto direzioni, saltare, accucciarsi, schivare e utilizzare armi speciali. Le munizioni sono infinite, ma i potenziamenti sono temporanei, costringendo a sfruttarli in modo efficace prima che svaniscano, in piena coerenza con il ritmo serrato dell’azione arcade.

Pur partendo da una struttura classica, NO FATE varia spesso l’interpretazione del gameplay. Accanto ai livelli a scorrimento più tradizionali, il gioco propone sezioni su veicoli, inseguimenti, fasi da beat ’em up a piani multipli e momenti più guidati, che reinterpretano alcune delle scene più iconiche del film. Questa alternanza impedisce alla campagna di risultare monotona e rafforza il legame tra narrazione e azione. Il sistema di controllo è immediato ma severo: durante la prova è emerso come l’uso del d-pad risulti nettamente più affidabile rispetto alla levetta analogica, soprattutto nelle situazioni più concitate, dove la lettura rapida degli input diventa fondamentale.

Un elemento chiave dell’esperienza è la difficoltà, e in particolare l’impostazione “Hasta la vista”, esplicitamente consigliata dagli sviluppatori come quella più fedele alla loro visione. A questo livello, NO FATE si dimostra estremamente punitivo: cambiano la disposizione dei nemici, la presenza di trappole, i limiti di tempo e il numero di continue disponibili. Ogni errore viene punito senza esitazioni e imparare i pattern degli avversari diventa una necessità, non un’opzione. Le difficoltà inferiori rendono l’esperienza più accessibile e veloce, ma è solo ai livelli più alti che il gioco esprime appieno la sua identità arcade, incidendo in modo significativo anche sulla longevità complessiva.

A completare il quadro ci pensano le modalità extra, pensate per valorizzare la rigiocabilità. La Boss Rush consente di affrontare in sequenza gli scontri principali, mettendo alla prova la conoscenza dei pattern e la precisione esecutiva, mentre la modalità Arcade ripropone una progressione più pura, basata su punteggio, vite e gestione dei continue. In queste modalità emergono anche evidenti richiami a Metal Slug, soprattutto nell’uso di alcune armi futuristiche e in almeno due boss concepiti come vere prove di resistenza, caratterizzati da grandi dimensioni, attacchi multipli e un forte uso dello spazio di gioco. Rimandi che non appaiono mai fuori luogo, ma che rafforzano ulteriormente l’identità di NO FATE come esperienza da imparare e padroneggiare nel tempo.

Stile visivo e pixel art in Terminator 2D: NO FATE: quando basta davvero poco

Dal punto di vista estetico, Terminator 2D: NO FATE dimostra come non servano soluzioni ipertecnologiche o artifici moderni per costruire un’identità visiva solida e riconoscibile. Il gioco abbraccia una pixel art ricca ma controllata, fatta di sprite grandi, animazioni fluide e palette cromatiche volutamente limitate, che richiamano in modo diretto l’epoca dei cabinati di inizio anni ’90. Ogni ambiente, dal futuro devastato di Skynet alle strade assolate di Los Angeles, è immediatamente leggibile, funzionale all’azione e coerente con il tono dell’opera.

Il riferimento a Metal Slug è inevitabile, soprattutto nel modo in cui NO FATE gestisce le animazioni dei personaggi, l’impatto visivo delle armi e la spettacolarità degli scontri. I nemici reagiscono ai colpi con movimenti chiari e leggibili, le esplosioni hanno peso e presenza scenica, e alcuni boss di grandi dimensioni richiamano quella stessa filosofia visiva che privilegiava il dinamismo e l’espressività rispetto al dettaglio fine a se stesso. Anche le armi futuristiche e i loro effetti visivi contribuiscono a questa sensazione, offrendo momenti di pura esaltazione visiva senza mai compromettere la chiarezza dell’azione.

Particolarmente riuscite sono le cutscene, che rielaborano immagini e inquadrature iconiche del film trasformandole in sequenze pixel art dall’aspetto volutamente “sporco” e granuloso. Non cercano la fedeltà fotografica, ma puntano a evocare il ricordo di quelle scene, come se fossero filtrate attraverso la memoria di chi le ha vissute negli anni ’90. Il risultato è una messa in scena che dialoga costantemente con l’immaginario originale senza mai sembrare fuori contesto.

In questo senso, NO FATE è un esempio efficace di come basti davvero poco perché un gioco funzioni: una direzione artistica coerente, animazioni curate quanto basta e una chiara leggibilità dell’azione. Elementi semplici, ma messi al servizio di un’idea precisa. Senza eccessi, senza sovrastrutture, ma con una consapevolezza rara di ciò che conta davvero quando si parla di videogiochi d’azione bidimensionali.