Scorn - Recensione

di Simone Rampazzi

Qualche tempo fa ci siamo trovati da queste pagine virtuali a parlare di walking simulator, elogiandone per la maggior parte del discorso la capacità, non sempre all’altezza sia chiaro, di riuscire a intrattenere il giocatore con un viaggio videoludico che di videoludo, nel bene o nel male, conta davvero poco o nulla.

D’altronde si tratta di un genere quasi interamente narrativo, una vera e propria narrazione pensata per guidare il giocatore su binari ben predisposti, creati perfettamente col fine di farci andare dal punto A al punto B, senza prevedere chissà quante interazioni da aggiungere alla formula algebrica pensata per comporre il gioco. Non esistono per l’appunto punti H o Z, ci sono solo A e B e ci si può arrivare compiendo delle azioni mirate in un ordine ben preciso.

Alcuni walking simulator possiedono un minimo di interazione: poca ma buona, comunque sempre finalizzata a far emergere il racconto. Vi starete chiedendo dove stiamo cercando di andare a parare, ma sappiate che questo prologo si rivelerà importante durante la lettura della recensione di Scorn, il titolo di Ebb Software uscito in questi giorni e approdato sin dal day one sul Game Pass di Microsoft.

L'incubo ha inizio

Non è facile descrivervi la sensazione che si prova una volta avviato Scorn per la prima volta: personalmente il primo pensiero, visivamente parlando, ci ha condotto nei meandri della mente di H.R. Giger, con questo mondo contorto composto da stretti cunicoli che si diramano in quello che sembra un sotterraneo uscito fuori dal primo Alien, quello del 1979.

Avanzando in quest’ambientazione angusta e tenebrosa ci si aspetta subito che da un momento all’altro compaia uno xenomorfo pronto a banchettare con le nostre carni. Passo dopo passo, però, questo sentimento di ansia scompare definitivamente, lasciando spazio a un continuo dubbio accompagnato da una miriade di domande, quesiti a cui il giocatore cerca necessariamente una risposta, se non altro per comprendere meglio la propria posizione all’interno del racconto.

È la domanda che ci spinge a proseguire oltre. Diventa parte del nostro essere, forza motrice di un personaggio che non fa altro che arrancare, nudo e indifeso in un mondo perverso che sembra minaccioso, ma solo all’apparenza. Fa un po’ paura scriverlo, ma sembra di trovarsi di fronte a un incubo di un imprecisato futuro alternativo, un mondo ormai corrotto da macchine fatte di carne, capaci di interagire con noi in modo simbiotico e orripilante, con tutte quelle console pronte ad accogliere i nostri arti in fessure che, onestamente, faremmo fatica a utilizzare così a cuor leggero.

Ma il nostro alter ego è nudo, incapace di scegliere, condivide con noi solo le domande che lo spingono ad andare avanti, a uscire paradossalmente dal loop in cui si trovava fino al momento del suo risveglio. Perché ci siamo svegliati soltanto noi? Cosa ci rende così speciali? Quale processo ha alterato la nostra coscienza rendendoci irreversibilmente diverso dagli altri?

Il problema resta solo uno: la scelta. In Scorn possiamo intraprendere un viaggio, ma sappiate fin da subito che non ci sarà niente e nessuno a darci il minimo indizio su chi, dove, quando o perché siamo finiti in questo mondo. È strano anche per un walking simulator, quello della totale assenza di elementi pensati per incentivare la fruizione della narrazione, che si tratti di un dialogo, di qualche semplice documentazione lasciata ai posteri o finanche di un cartello, o di una semplice indicazione nel mondo di gioco.

In questo universo non c’è il minimo indizio che possa rispondere a nessuna delle semplici domande usate per scrivere un articolo di giornale. Perciò cosa potremmo dirvi di più senza fare il minimo spoiler?! Nulla, tranne che lasciarvi con lo stesso sentimento provato da noi sin dal lancio del gioco: la scelta di procedere oltre o di rinunciare al viaggio. 

Alla fine, cosa puoi fare?

Durante le sessioni di gioco che vi separeranno dalla fine del gioco, scoprirete che il vostro alter ego potrà compiere delle azioni considerate naturali se incastonate all’interno del genere di appartenenza, sebbene siano presenti anche alcune fasi di combattimento abbozzate ma comunque degne di nota.

Il nostro alter ego inizialmente potrà interagire con il mondo di gioco risolvendo dei semplici puzzle ambientali, elementi pensati col fine di permettere al giocatore di utilizzare più di qualche neurone al fine di completare il titolo. Si parla di cose piuttosto semplici, niente di esageratamente complesso, ma comunque di elementi pensati per rendere interessante l’ambientazione, con quelle strane chiavi e quei strani macchinari fusi a materiale organico.

I puzzle ambientali vengono poi accompagnati dalla presenza di creature ostili che sembrano pronte a ucciderci senza un motivo valido: è chiaro che noi risultiamo ai loro occhi come un’anomalia, unico motivo sensato che potrebbe distinguere la nostra presenza dalla loro, seppur nella maggior parte dei casi non si avverte alcun tipo di logica alle spalle della stesura del racconto. Tornano quindi le domande: perché ci attaccano? Perché noi siamo ancora umanoidi e perché loro sono, beh, quello che sono? Forse non lo scopriremo mai, ma durante tutto il corso dell’avventura immaginata da Ebb Software non si fa altro che avanzare, alcune volte persino utilizzando delle armi ma senza mai percepire un minimo senso di urgenza, ansia o pericolo.

Questo aspetto penalizza moltissimo la riuscita dell’opera, che in qualche modo finita la sorpresa iniziale finisce per risultare estremamente pesante, insomma poco fruibile sia che si tratti di un videogioco, ma anche di un semplice filmato guardato su una piattaforma di streaming. Forse è colpa della troppa libertà di interpretazione, il senso di spaesamento dovuto al trovarsi davanti a un qualcosa che può essere letteralmente tutto, o niente. Questo perché non essendoci documentazioni, filmati o dialoghi, il giocatore può attingere a tutte le referenze mentali possibili immaginabili, ricreando così una propria interpretazione della storia narrata.

Da una parte potrebbe rivelarsi un bene, ma dall’altra? Insomma, contando che si tratta di un videogioco, diremmo forse di no. È quindi difficile valutare un prodotto che sembra poggiarsi interamente sul proprio fascino estetico, che davvero potrebbe fare scuola e che potrebbe tranquillamente diventare la base di un prodotto horror di notevole impatto, con quelle musiche e quelle ambientazioni così realisticamente improbabili da fare effetto così come sono. Figuriamoci inserendoci una storia a sorreggere il tutto.