Resident Evil 4

di Pietro Puddu
The rebirth
Prendete uno dei classici, stagionati Resident Evil.
Sostituite gli statici fondali in bitmap con una ambientazione 3d interamente poligonale, le telecamere fisse dal taglio cinematografico con una più coinvolgente visuale alle spalle del protagonista, il rigido orientamento delle armi da fuoco con un libero puntamento laser analogico, gli scenari chiusi e claustrofobici con livelli variegati e spesso a cielo aperto, i pochi zombie goffi e prevedibili con una moltitudine di avversari scaltri e determinati; arricchite il tutto con l'implementazione di quick time event ben integrati, di azioni contestuali attivabili alla pressione di un solo tasto e di un notevole assortimento di tocchi di classe, e grosso modo otterrete la formula vincente di Resident Evil 4, una delle più grandi produzioni Capcom e probabilmente il più importante action-game della generazione 128-bit.


A mi me gusta tirar a Los Ganados
Per la terza volta, sorprende notare come il sistema di locomozione funzioni egregiamente, nonostante la svolta action e un'evoluzione quasi nulla rispetto ai capitoli tradizionali; si può avanzare, retrocedere, ruotare sul posto o effettuare un rapido dietro-front, ma è bandita qualsiasi forma di strafe e si è impossibilitati a far fuoco a meno di rimanere fermi. Quella che potrebbe sembrare una forte limitazione è in realtà una caratteristica voluta del gameplay, in grado di instillare nel giocatore una forte dose di tensione, in particolare quando si trovi costretto a ripiegare voltando le spalle ai nemici. Ciò che da una parte viene tolto, è restituito con gli interessi dal punto di vista offensivo; non solo da un arsenale in continua espansione e da un generoso numero di munizioni a disposizione, ma anche dall'efficienza della vera e propria modalità di fuoco, la cui impostazione è già divenuta fonte d'ispirazione per titoli come Gears of War ed il futuro Dark Sector. La telecamera virtuale zooma sulla spalla di un Leon Kennedy ad arma spianata ed il mirino laser permette di scegliere con estrema precisione il proprio bersaglio, ovviando elegantemente all'assenza di interfacce di mira potenzialmente antiestetiche e intrusive; da parte loro, gli avversari reagiscono in maniera differente a seconda della parte anatomica colpita, portando le mani a protezione del volto o dell'arto ferito, sbandando, inciampando, cadendo dai tetti, subendo decapitazioni e mutilazioni, e aprendo in tal modo una serie di potenziali strategie offensive da perseguire. Il nemico indebolito offre l'occasione di sperimentare una delle tante interazioni avviabili alla sola pressione di un tasto; oltre ai vari calci girati e suplex performabili nel combattimento corpo a corpo, le istruzioni "context sensitive" permettono di volta in volta di smuovere leve, gettarsi dalle finestre infrangendo i vetri, salire scale a pioli, saltare staccionate o dare inizio a veri e propri quick time event a prova di riflessi.


La profondità del sistema di gioco è testimoniata anche da elementi apparentemente di secondaria rilevanza. La gestione dell'inventario, ad esempio, richiede una pianificazione attenta del posizionamento degli item in un'apposita griglia; quella che si potrebbe definire "ottimizzazione delle risorse" si risolve in pratica nella composizione di una sorta di puzzle, in cui gli oggetti-tessere, ruotabili a piacere, devono trovare giusta collocazione. Sorprendentemente complessa è anche la componente della scelta e potenziamento dei propri strumenti offensivi, acquistabili a suon di pesatas presso una sorta di ambulante guerrafondaio e progressivamente modificabili negli attributi di maneggevolezza, frequenza di sparo, numero di colpi e velocità di ricarica; la quantità di armi è così nutrita che difficilmente si avrà modo di sperimentarle tutte nel corso della prima campagna di gioco.
Il bello di Resident Evil 4 potrebbe concludersi qui, invece continua nella varietà delle locazioni da attraversare, che spaziano da villaggi rurali a castelli gotici, da miniere a insediamenti militari; continua nelle molteplici e mai monotone situazioni di gioco, fatte di azione concitata, tesa esplorazione, minigiochi e coreografiche boss-fight; continua nella solida longevità, che non abbandona il giocatore dopo poche ore ma si preoccupa di appagarne le esigenze, e nella sorpresa degli extra, vere e proprie modalità alternative tutt'altro che accessorie e capaci di riaccendere l'interesse.

L'orrore... l'orrore... la conversione
Aspettata pazientemente per anni, la conversione non può che lasciare esterrefatti... purtroppo in negativo. Non solo gli auspicabili miglioramenti tecnici sono stati disattesi, ma si è arrivati a peggiorare in maniera significativa la qualità dell'originale edizione Gamecube, con risultati estetici persino inferiori a quelli della conversione PS2.
L'elenco delle menomazioni al comparto grafico è lungo e alquanto doloroso; si va dalla riduzione del conteggio poligonale degli esterni e dei modelli, passando per le diminuite profondità di colore e risoluzione delle texture, fino ad arrivare alla semplificazione degli effetti speciali e alla rimozione netta e impietosa delle fonti di luce dinamiche. Tutto questo si traduce in una immagine sbiadita e a tratti quasi monocromatica, ulteriormente appiattita dalla mancanza di quella profondità originariamente conferita dai giochi di luce ed ombra; fa specie notare come le foreste risultino in buona parte spogliate di alberi, rami e fogliame ondeggiante al vento, come oscuri antri appena rischiarati da lampade elettriche oscillanti si siano tramutati in locazioni immerse in un indefinibile grigiore diurno, o come il volto mostruoso del Gigante appaia meno espressivo e caratterizzato. Una certa trascuratezza traspare anche dai dettagli; basti pensare alle cut-scene, non più in tempo reale ma presentate sotto forma di filmati registrati, la cui modesta risoluzione comporta un effetto sgranato e li fa apparire "spalmati" sul monitor. Assenti ingiustificate le opzioni video relative ad antialiasing e filtro anisotropico, fortunatamente forzabili attraverso gli appositi driver senza che l'immagine venga compromesse da artefatti di sorta.
Trattata la spinosa questione visiva, anche sul versante dei controlli c'è poco sui cui manifestare soddisfazione; l'agognato supporto del mouse è infatti latitante, e la sola tastiera rende proibitiva un'agevole gestione delle scene d'azione. Indispensabile in questo senso l'utilizzo di un pad analogico, magari tramite adattatore usb, che risolve ogni impiccio riportando il livello di giocabilità su quelli sperimentabili su PS2. Un'ultima appunto: per uscire dal gioco è obbligatoriamente necessario affidarsi alla classica combinazione alt+f4... a buon intenditor, poche parole.