No More Heroes

di Pietro Puddu
No More Heroes é atipico quanto prometteva di essere.
Lo si comincia a sperimentare durante l'incipit in medias res, dall'effetto straniante; il tratto aggressivo con cui é rappresentato il bislacco protagonista Travis Touchdown, insieme a quello fin troppo minimalista che delinea la villa del killer-ancora-per-poco chiamato Death Metal, sono un gustoso pugno nell'occhio. Le premesse sono campate per aria, senza alcuna pretesa, com'é giusto che sia in questi casi; da aspirante assassino, addestratosi per mezzo di strenue, ripetute visioni di film d'azione e d'incontri di wrestling messicano alla TV, Travis si trasforma in effettivo tale dopo l'incontro alcolico con una lasciva manager criminale, ormai deciso a scalare la classifica dei tagliagole fino al posto del migliore in circolazione. Perché porsi quest'obbiettivo? Per il puro gusto di farlo, sembrerebbe, così come tanti, magari, si dedicano ad aumentare a dismisura il proprio gamer's score solo per esibirlo online come orgoglioso attestato.


No More Heroes é ironico.
Se ne é quasi certi una volta messo piede nella propria dimora, un rifugio da otaku improvvisato nella stanza del più infimo dei motel della città. Action figure sulle mensole, affisso alla parete il poster dell'anime preferito, alcune riviste porno accanto alla spada laser (pardon, beam katana, vinta su eBay) custodita nel cassettone del letto. Sul retro, il cesso: una liberatoria seduta sul trono concede un respiro di sollievo ed il meritato salvataggio dei progressi. Scappa una risatina quando ci si accorge che la cassetta del videoclip jap-pop Heavenly Star si può infilare nel registratore e visionare sul serio, o quando un messaggio sulla segreteria telefonica sollecita la restituizione di un film hard a noleggio dal titolo strampalato.

No More Heroes é in parte derivativo. Ma solo per scherzo!
Santa Destroy, nome che é tutto un programma, potrebbe far pensare all'imitazione del sand-box di GTA, e suscitare uno scuotere di capo nel confronto in termini di estensione, resa del traffico e dei passanti, esplorabilità, bruta quantità di località ed edifici in cui bazzicare.
In realtà, l'ambientazione cittadina é da intendersi come la barocca versione navigabile di una mappa d'accesso alle attrazioni ludiche, i cui pochi punti di interesse sono tutti chiaramente segnalati, vicini tra loro e facilmente raggiungibili. E' l'espansione tridimensionale, a scopo d'interazione e svago supplementare, di un tramite che si sarebbe potuto sintetizzare in una banale schermata; a bordo del fido scooterone si sgomma, si impenna, si brucia la partenza con il turbo, si abbattono pali e palme come birilli, giusto per godersela un po'.
Questa sorta di hub, insomma, é un micromondo consapevolmente circoscritto, rassicurante, fatto da una palestra, un bar, un negozietto d'abbigliamento alla moda, una videoteca, un ufficio di collocamento.

No More Heroes é dalla parte del lavoratore, a modo suo.
Partecipare alla scalata verso la pole position dei sicari ha il suo prezzo d'iscrizione, e chi non suda non vede il becco di un quattrino. A chi ha voglia di rimboccarsi le maniche, l'agenzia trova subito un'occupazione; falciare l'erba di un prato e raccogliere noci di cocco si confanno ad una mezza calzetta, guardata a vista dal datore di lavoro, ma sono solo la copertura dei lavori underground, quelli in cui si menano le mani e si fanno i bei soldi, da versare in gran parte al bancomat per estinguere i debiti con la mala.
No More Heroes é stilosissimo, ma non va di certo per il sottile.
Lo si realizza al cospetto di ciascuno dei boss di fine livello, il piatto forte della casa, le cui caratterizzazioni appaiono ibride tra una parodia di certe topiche figure dei villain di cinema\fumetti\videogiochi e una personale, ricercata direzione artistica sopra le righe. Scambi di battute tanto fumose quanto d'effetto e una regia disinvolta rendono magnetiche le cut-scene; a Kojima e Tarantino fischieranno le orecchie.

Si respira una vaga atmosfera da beat 'em up a scorrimento, in cui il corridoio lineare infestato da buzzurri di basso rango é esplicitamente descritto come un riscaldamento pre-match, gentilmente offerto dall'associazione assassini americani.
La lotta non può dirsi fondata su tecnicismi o sottili equilibri, seppur intervengano nelle sue dinamiche la gestione di una doppia guardia alta o bassa da contrapporre alla stance del nemico, l'opportuno esercizio della schivata e dei colpi caricati e la gestione della scorta energetica della spada laser (innocua una volta rimasta a secco); si farà grosso affidamento sulla combo standard ad un solo bottone, con il rischio che nella mischia la situazione e le collisioni si facciano poco chiare.

Ad emergere oltre qualche sbavatura e semplificazione é una partecipazione trascinante, facente leva sulla configurazione motion sensitive di nunchuk e remote, che fa corrispondere la vittoria sul campo dell'avatar ad un impegno quasi fisico del giocatore reale, in una maniera che ricorda certe maratone button smashing di God Hand. I colpi di grazia sono impartiti mimando un fendente nella direzione suggerita su schermo, ma l'apice é raggiunto nelle prese di wrestling, performabili a seguito di un colpo corpo a corpo ben piazzato, che richiedono l'uso coordinato di entrambe le braccia. Una sorpresa é celata dall'icona della tigre che campeggia nella parte superiore dell'interfaccia; ogni esecuzione avvia la rotazione di una slot-machine, il giusto punteggio avvia il bonus temporaneo di uno stato di grazia distruttiva, ora sotto forma di smart bomb, ora di pixellosa modalità sparattutto, ora di rallentamento del flusso del tempo.

No More Heroes é cibo per le orecchie.
Un Masafumi Takada in gran forma ha composto delle tracce strumentali non solo integrate ad hoc in un contesto di cui costruiscono per grossa parte il carattere, operanti in stretta sinergia con l'immagine in movimento, ma dannatamente affascinanti anche prese a sé stanti e ascoltate nei tre dischi della OST; da sole varrebbero quasi il costo complessivo del biglietto. Una miriade di effetti e di stacchetti intriganti caratterizzano ogni singolo evento, alternando puntuali riff di chitarra elettrica a sonorità 8-bit deliziosamente retrò.

No More Heroes, con buona pace del motto "punk's not dead", é anche capace di rasentare pericolosamente la mediocrità, se non di piazzare un piede oltre il confine.
Le prime avvisaglie sono visive. Il motore grafico traballa sulle sue fondamenta; la fluidità é costante nella sua claudicanza, i profili degli oggetti sono sono confusi da un'aliasing persistente, il quadro dell'immagine é impastato in una risoluzione troppo bassa.
Le scorribande motorizzate evidenziano la lentezza d'aggiornamente del fondale, con strutture ed item che tendono ad apparire in differita.

Una certa approssimazione si propaga nelle missioni d'assassinio. Dal punto di vista tecnico, la telecamera é recalcitrante, soprattutto in prossimità delle mura perimetrali delle aree, causando degli stacchi disorientanti qualora si passi dal lock-on su un avversario al movimento libero; da quello del bilanciamento del gameplay, ci si può ritrovare a girare a vuoto dietro incarichi secondari quasi impossibili, senza nemmeno l'opzione istantanea di retry, o incapaci di garantire una ricompensa proporzionata agli sforzi.
Investire il patrimonio raggranellato in funzioni del tutto opzionali come il cambio d'abbigliamento presso la boutique Area51 o il potenziamente dell'arma, costringe a dedicare tempo e attenzioni ulteriori alle side-quest, rendendo pedanti incarichi studiati per essere intrapresi con minor frequenza.

No More Heroes é stato alterato.
La revisione della versione europea del titolo, secondo una sorta di autocensura preventiva stabilita, probabilmente, per scongiurare all'origine restrizioni di rating, intacca l'appeal stilistico e coreografico che é la chiave dello spirito del gioco. Il sangue, che esplode in un tripudio vermiglio nell'edizione americana, é stato sostituito con un più morigerato, nerastro effetto particellare; le menomazioni fisiche dell'avversario, il cui crudo impatto é sublimato dall'essenzialità del cell shading, non sono più chiaramente percettibili. Si affievolisce in questo modo lo stridore pungente tra la violenza consumata nell'azione e il vacuo, buffo non-sense che guida le motivazioni dei personaggi e ne tinge d'umorismo le gesta.