Armored Core VI: Fires of Rubicon, che le ultime braci ardano – Recensione PS5  

La recensione del nuovo capitolo di Armored Core, la storica saga mecha di FromSoftware, in uscita su PC, PS4, PS5, One e Series X|S 

di Jacopo Retrosi
Sono trascorsi dieci anni e due generazioni di console, ma finalmente Armored Core è tornato. È passato così tanto tempo da Verdict Day che molto probabilmente gran parte dei fan di FromSoftware, o chi più in generale conosce la compagnia nipponica, proviene da uno dei suoi "Soulslike", vuoi Dark o Demon Souls, Bloodborne, Sekiro o il più recente Elden Ring.
 
Sin dall'annuncio di Fires of Rubicon sono numerose infatti le voci che sembrano descriverlo come "Dark Souls coi mech", quindi voglio subito mettere in chiaro una cosa: Armored Core VI, o la serie in senso lato, non ha nulla da spartire con l'unico filone in cui si è cimentata FromSoftware nell'ultimo decennio; o meglio, ci sono indubbiamente elementi di contatto e non poche analogie tra i due universi, ma ciò perché Armored Core adottava queste filosofie ben prima dell'avvento dell'opera di culto di Miyazaki, addirittura sin dai suoi albori su PS1.
 
Parliamo di tutt'altra bestia, con le sue logiche in-game a cui attenersi e un temperamento ben diverso. Evitate quindi di approcciarlo pensando di conoscerne già la chiave di lettura, o non disdegnatelo per lo stesso motivo; se invece come il sottoscritto siete saliti sul carro da tempo immemore, preparatevi a un ritorno di fiamma in grande stile. Ma andiamo con ordine.

Callsign: Raven, la storia

Partendo dal presupposto che trovo inaccettabile l’assenza di un filmato introduttivo ignorante in CGI, come tradizione delle produzioni FromSoftware la storia ci catapulta in un mondo morente, reduce da una catastrofe apocalittica che ha distrutto la precedente società e lasciato solo ceneri. Poco più di 50 anni prima gli eventi narrati, sul remoto pianeta Rubicon 3, una scarica energetica di proporzioni continentali ha incendiato la superficie dell’astro, uccidendo ogni forma di vita nel raggio d’azione e lasciando l’area contaminata e in rovina. In seguito si scoprì la causa del disastro, una misteriosa risorsa altamente instabile, il Coral, attirando le attenzioni di svariate corporazioni, che ora si contendono i pochi territori ancora praticabili nella speranza di trarne profitto. 

Il giocatore piomberà dal cielo (letteralmente) nel bel mezzo della faida, infiltrandosi tra i ranghi dei mercenari e assumendo per l’occasione una nuova identità, Raven (e qui la prima lacrimuccia nostalgica NdR). Non sappiamo nulla del nostro pilota, eccetto la "matricola", 621, né della nostra missione, ma in quanto "liberi professionisti”, al guinzaglio del nostro operatore, Handler Walter, potremo accettare incarichi dalle varie fazioni in campo, svelando pian piano i misteri di Rubicon 3, la posta in gioco, le vicissitudini e il ruolo di superstiti e forze d’invasione, arrivando ad avere verso la fine un quadro abbastanza completo della situazione, a patto di prestare attenzione ai dettagli e a connettere bene i punti. 

Armored Core VI è un titolo FromSoftware, e come tale è solito sparpagliare qua e là informazioni che arricchiscono luoghi e personaggi, particolari che rinforzano il contesto ed espandono il canovaccio in modo impercettibile ma efficace, senza tuttavia imboccare il malcapitato davanti lo schermo, che rischia di perdersi un sacco di roba se poco avvezzo a “scavare” (ma, tornando alla premessa iniziale, se ti trovi a bordo di un AC nel bene o nel male conosci l’andazzo, sarebbe strano pretendere altrimenti NdR).

A conti fatti la storia non è poi così criptica, e il gioco si assicura regolarmente che lo spettatore resti al passo con l’evolversi degli eventi. La classica struttura a missioni adottata è perfetta per introdurre concetti e fare il punto della situazione, ci sono personaggi ricorrenti e noi siamo sempre al centro dell’azione, gli attori principali, ma non gli unici. C’è una guerra che va avanti mentre ce ne andiamo a zonzo, gente che va, viene e schiatta off-screen, alleanze che si formano, gruppi che si sgretolano; non è affatto raro quindi essere informati a posteriori di radicali mutamenti nei rapporti di forza, o vedere figure importanti sparire nel nulla, ma battendo ogni pista e setacciando ogni angolo si riescono a tappare quasi tutti i buchi; questo per dire che molto probabilmente non avrete bisogno di consultare spiegoni su YouTube o una Wiki a caso per capirci qualcosa. 

La struttura narrativa è piuttosto lineare, con gran parte delle missioni proposte in qualche modo legate alla trama, ma si rivela un’esperienza tutt’altro che concentrata, anzi Fires of Rubicon è senza dubbio l’Armored Core più longevo mai realizzato, con una campagna che vi porterà via almeno 20 ore, da raddoppiare grazie all’elevata rigiocabilità, dovuta ai percorsi alternativi, ognuno con missioni esclusive e ripercussioni sul lungo termine, avversari extra da scovare e sconfiggere, arena e valutazioni da conquistare e tanti segreti celati alla vista da scoprire.  

Nell’insieme un lavoro davvero ben svolto, in grado inoltre di deliziare gli appassionati con rimandi ai trascorsi capitoli della serie, ad altre saghe FromSoftware e ad esponenti del genere mecha; sono io o uno dei nostri principali alleati è una citazione ambulante ad Ace Combat Zero!? Avrei solo gradito essere avvisato prima della “scelta finale”, perché mi sono avviato senza volerlo verso il “bad ending” (non che l’altro sia meglio) e ho preso tanto di quelle bastonate da pentirmene (in tema però, ci può stare).

Armored Core VI, il gameplay: è tutto un Core-like!?

Pad alla mano, si nota subito l’esperienza acquisita dal team nipponico in fatto di action in terza persona. Gli AC di sesta generazione non sono certo agili come i Next, ma i loro movimenti sono più leggibili e “naturali”, meno scattosi dei modelli precedenti a cui siamo abituati; si pilotano che è una meraviglia. 

Le principali migliorie sono da ricercare in una telecamera che traccia in maniera più accurata i movimenti del bersaglio inquadrato e un sistema di controllo ottimizzato alla perfezione, che usa tutti i pulsanti del pad (contemporaneamente) ma senza soverchiare il giocatore, più la possibilità di personalizzare a piacimento lo schema dei comandi; da veterano ci ho messo 5 minuti per adattarmi al nuovo assetto; i neofiti però potrebbero metterci un po' a trovare la quadra. Fortunatamente il gioco si prende la briga di spiegare in maniera piuttosto esaustiva comandi basilari e funzioni avanzate, rendendo i primi passi molto piacevoli... fino all’arrivo del primo boss a tradimento proprio alla fine del tutorial. 

Da segnalare inoltre la nuova procedura di ingaggio nel corpo a corpo, con armi come spade laser o lance a impulsi che consentono rapidi scatti in direzione dell’obiettivo, cui segue una rapida combo da due o tre colpi, a seconda dell’equipaggiamento utilizzato. Una soluzione che rende il melee una strategia pratica, valida e azzarderei necessaria in molte circostanze; il framework di base tra l'altro sembra ripreso da Mobile Suit Gundam Unicorn per PS3, tie-in della serie animata a cui lavorò FromSoftware nel 2009 (e sono sicuro qui da noi conosciamo giusto io e il tizio che me l’ha venduto NdR).

Tra le altre novità l'indicatore dello “stagger”, stavolta proveniente da Sekiro: sia l’AC del giocatore che i nemici presentano infatti un ulteriore barra da tenere d'occhio, oltre alla carica dei propulsori e ai contatori di punti salute e munizioni residui (e occasionali status alterati), che sale quando si viene colpiti e scende nel corso del tempo in relazione ai valori di stabilità della build; se riempita, l’unità rimane stordita per alcuni secondi e in quel frangente si subiscono danni extra. Il focus dei combattimenti passa quindi dal mantenere un volume di fuoco costante, o a sfruttare il momento propizio per una salva di missili o un proiettile di railgun in faccia, a cercare la sequenza di attacchi più efficiente per rompere la guardia dell’avversario e avere ancora proiettili in canna (o essere a tiro di fendente) per partire all’assalto nell’attimo in cui gli scudi sono giù. 

Un approccio che introduce una complessità aggiuntiva agli scontri, e senza intaccare il generoso arsenale a disposizione nell’hangar, che anzi annovera un ventaglio di opzioni impressionante, con intere schermate di parametri da studiare e migliaia di potenziali combinazioni, in continua espansione e accessibili in toto (tra quelle sbloccate s’intende) già dopo una manciata di missioni, in quanto tutti i componenti in proprio possesso possono essere rivenduti a prezzo di listino, agevolando non poco le sperimentazioni, a patto di essere in vena ogni volta di smanettare tra i menù, almeno fino all'accumulo di abbastanza fondi da poterlo evitare. A tal proposito, poter accedere al negozio direttamente dalla pagina di assemblaggio renderebbe le procedure di comparazione assai più comode (come nel 4 per intenderci); strano non ci abbiano pensato.

La mole di parti selezionabili e i minacciosi muri di cifre e variabili da considerare durante la creazione del proprio AC possono scoraggiare i novizi; non nego che partendo da zero ci vorranno ore prima di avere ben chiaro a cosa serva ogni singolo parametro e come questi influenzano il resto del setup, ancor di più se si intende sfruttarli in modo oculato, ma non disperate, e usate il vostro "starter", un'ottima base di partenza, sebbene mediocre, come cavia per provare diverse configurazioni, approfittando come dicevo in precedenza della possibilità di vendere e riacquistare pezzi senza penalità di sorta.

Un AC è composto essenzialmente da 11 parti: 4 armi, 1 per ogni braccia, 1 per ogni spalla, testa, torso (o Core), braccia, gambe, FCS (o Fire Control System, il sistema di puntamento in pratica), propulsori e generatore; per ognuno esistono dozzine di varianti, ognuno con un ruolo specifico, una sua nicchia, e una sfilza di caratteristiche che si armonizzano in modo più o meno efficace con gli altri elementi. Vi risparmio una panoramica su tutto lo scibile presente (perché finirei tra una settimana NdR) e vi anticipo che non esiste una soluzione "corretta" per costruire una buona unità, l'importante è trovare l'assetto più adatto al proprio stile di gioco e soddisfare i requisiti di peso e capacità energetica, opportunamente segnalati; finché si è dentro i limiti potete operare come meglio credete, il resto verrà da sé. Parte del divertimento della saga è apprendere i rudimenti man mano, provando cose a caso finché non si rintraccia quella particolare sinergia che funziona, e Armored Core VI in tal senso ha fatto un lavorone per rendere l'intero processo fruibile e divertente.

Shadow of the (Mecha) Colossus

Il repertorio dello schieramento opposto comprende i classici AC, con nominativo unico e biografia del pilota, e una vasta gamma di MT di svariate forme, dimensioni e funzioni, con unità esclusive per ogni fazione. Una varietà niente male, ma i veri protagonisti di Fires of Rubicon sono i colossali e spettacolari boss che irrompono nelle fasi conclusive di alcune missioni.  

Armored Core non è nuovo alla presenza in campo di bersagli particolarmente grossi, ma in passato si trattava perlopiù di meri espedienti scenografici senza troppa ricerca alle spalle, limitati e facili da buttare giù una volta scoperto il “trucco”; qui invece sono avversari completi, con un parco mosse ben delineato, diverse fasi e abbastanza potenza di fuoco da abbattere anche i più esperti. 

Il primo incontro con ciascuno di loro è sempre piuttosto desolante: non ci si aspetta infatti di essere presi a schiaffi da un elicottero gigante, non si ha idea di come scansare i nugoli di pallottole e le esplosioni apparentemente random, e fa un po' strano essere assaltati da bizzarri marchingegni che sembrano avere vita propria, si muovono in modo tutt’altro che meccanico e utilizzano armi su cui non potremo mai mettere le mani.

Ogni battaglia è un’esperienza a sé, un enigma da decifrare, ma come i vari Soulslike insegnano (prima o poi andavano tirati in ballo NdR), leggere tra gli schemi e trovare il proprio ritmo è fondamentale. La curva di apprendimento è ripida, e la difficoltà spesso impenna all’improvviso, una prospettiva frustrante per i meno pazienti, ma il gioco mette sempre a disposizione tutti gli strumenti necessari per spuntarla, e non pare farne mistero.

Gran parte delle missioni proposte sono propedeutiche a momenti del genere, con un continuo apporto di materiale fresco, che intrattiene il giocatore e sfrutta nemici e level design per approcciare di volta in volta il gameplay da un’angolazione diversa, stimolando a sviluppare a tutto tondo le proprie abilità, sia in qualità di piloti che come meccanici. 

Non si smette mai di imparare, e quando finalmente si riesce a trionfare dopo aver passato ore a ottimizzare build e strategia la soddisfazione è tanta. Questo ciclo appagante però viene meno in occasione di due boss in particolare, nell’ultimo terzo dell’avventura, palesemente scappati da Elden Ring e “alieni” al contesto, sia in termini di stile di combattimento che livello di sfida.

I due infami hanno il vizio di schizzare da una parte all’altra dello schermo, si materializzano dal giocatore per infilzarlo anche da distanze siderali, schivano i colpi prima ancora che partano (sintomo di lettura degli input), e in generale attaccano senza sosta, da più angolazioni, da qualunque gittata e/o altitudine, lasciando finestre di apertura o schivata nell’ordine dei decimi di secondo.  

Dopo dozzine di tentativi, e studiando un equipaggiamento apposito, limato nei minimi dettagli, sono riuscito a farla franca, ma l’esperienza non è stata affatto divertente e ha rischiato seriamente di guastare l’ottimo lavoro svolto sinora. Non è questa la filosofia di Armored Core, non c’è gusto a sbattere la testa contro picchi di difficoltà artificiali e pretestuosi (sì, esiste Last Raven, ma lì almeno fronteggiamo degli AC, pompati all’inverosimile ma armati con roba convenzionale, non abominazioni uscite da Super Robot Wars). Sicuramente tempo un paio di settimane dal debutto nei negozi e usciranno video di persone in grado di farli fuori con il setup di partenza, ricorrendo solo ad armi da mischia o utilizzando le bonghette di Donkey Konga, ma da consumatore “medio” mi sono un attimo sentito preso per i fondelli, anche perché di solito i nemici sono abbastanza onesti (designer diverso?); queste due eccezioni alla regola stonano e risultano antitetiche allo spirito del gioco.

Tra l’altro, la loro presenza evidenzia due pecche di Fires of Rubicon: la prima è un’interfaccia non sempre leggibilissima, e mi riferisco nello specifico al radar e agli indicatori delle armi. Per qualche motivo, anziché il classico disco 2D, o una mini-mappa 3D dell’area circostante, si è optato per una minimale barra in basso allo schermo, incapace di tracciare bersagli multipli senza sovrapporli, o di segnalare correttamente obiettivi alle spalle del giocatore o ad una diversa altitudine (la freccetta è minuscola).

Per quanto riguarda invece la UI dell’arsenale, nel pieno dell’azione le minute barre di surriscaldamento e cooldown disposte sotto il mirino non si vedono granché. Avrei di gran lunga preferito una soluzione più spartana sulla scia dei MechWarrior della Piranha Games, con gli indicatori posizionati vicini alla relativa arma nell’elenco in basso a destra; lo spazio non manca e avrebbe reso il tutto più pulito. Idem per il discorso radar: parcheggiandolo nell’angolo in alto a destra, al momento vuoto, si sarebbe liberato spazio per i sottotitoli, non particolarmente comodi sugli attuali due quinti dello schermo, dove l’occhio casca di rado. Uno scivolone incomprensibile, ma degno della FromSoftware dei tempi d’oro (un passo avanti e mezzo indietro). 

La seconda lacuna menzionata in precedenza riguarda la disposizione dei boss all’interno dei livelli. Questi, infatti, si trovano sempre al termine di uno scenario standard, tra lunghe traversate, AC rivali e mini-boss assortiti; prima di ogni match un checkpoint consente di ricaricare salute e munizioni, e ripartire da lì in caso di morte, ma se volessi cambiare setup per affrontare meglio la sfida che mi attende sarei costretto a ricominciare la missione daccapo; una fregatura, soprattutto quando si punta al rango massimo, che premia efficienza e conservazione. Sarebbe bastato separare il boss dall’incarico corrente e averlo in uno dedicato, o permettere almeno di cambiare le armi durante la pausa, e invece niente. Il problema scema con l’esperienza, ma non si può non storcere il naso in circostanze simili. 

Pur dopo aver parlato così a lungo dei boss, riteniamo comunque che la massima espressione del combat system di Armored Core VI si manifesti nei duelli tra AC, e non c’è occasione migliore per testare questa teoria se non nell’Arena, immancabile modalità di contorno in cui scalare la classifica dei migliori piloti di Rubicon. Si tratta inoltre di un’attività fondamentale per accumulare chip per sbloccare i potenziamenti del sistema operativo, tra bonus secchi ai danni inflitti o all’attenuazione di quelli subiti, ad abilità secondarie come il calcio in corsa (scomodo ma spassoso) o barriere energetiche in stile Primal Armor della quarta gen. Aggiunte utili, ma avremmo preferito poter mettere mano ai singoli parametri dei componenti; ciò avrebbe garantito configurazioni ancora più flessibili e ulteriore varietà, specie nel multiplayer online (a cui purtroppo non siamo riusciti ad accedere durante la nostra prova).

50 sfumature di Coral

Dal punto di vista tecnico il livello di dettaglio degli AC è impressionante, a cui troviamo abbinata un’effettistica altrettanto eccellente, che trasmette tutto il perso dei mech e la potenza dei loro attacchi, più un level design variegato e ben congegnato, tanto nella realizzazione quanto nell’estetica, anche se un po' troppo dipendente da muri e scalini invisibili, forse funzionali ma bruttini quando vi si inciampa per sbaglio. 

Scie di luce e sbuffi di fumo delineano le animazioni dei vari componenti, rendendo le movenze di robottoni e mostri metallici convincenti e appaganti, una gioia da ammirare per gli amanti del genere. Avremmo giusto aumentato un pochino il senso di velocità quando si attiva l’Over Boost (pardon, la Spinta d’Attacco), in quanto a vedersi non sembra molto più veloce dei regolari propulsori. Su PS5 poi Fires of Rubicon mantiene ottimi standard, con tempi di caricamento pressoché immediati, prestazioni solide, mai un bug o un crash dell’applicativo.

Sul versante audio invece mi ritengo un tantino deluso. Intendiamoci, la drone music dal piglio elettronico, alle volte quasi synth, adottata è azzeccata al contesto e crea un’atmosfera niente male, ma manca l’energia e la creatività tipica dei vecchi capitoli, quel “vibe” particolare che ha sempre caratterizzato Armored Core; qui purtroppo manca, ed è ravvisabile giusto nel tema d’apertura (lo stesso del primo trailer) e nei titoli di coda. Rimane un’ottima colonna sonora d’accompagnamento, con un leitmotiv facilmente riconoscibile, ma non mi ci vedo a riascoltarla in loop per ore (lieto di sbagliarmi in caso NdR). 

Buono il doppiaggio, con molte voci familiari nel cast e un sacco di interpretazioni sopra le righe, strane e memorabili al tempo stesso, in puro stile FromSoftware; non importa quanto frastuono facciano i propri cannoni o quanto poco siano leggibili i sottotitoli, basta mezza parola per riconoscere chiunque nella nutrita cerchia di protagonisti, nemesi e comprimari, e questo è un pregio non da poco.